sabato 2 luglio 2016

Yuggoth! (Pt.1)

Ripensandoci a mente fredda oggi, due mesi dopo l’epilogo degli avvenimenti che andrò tra poco a narrarvi, mi chiedo per quale strana e assurda combinazione tutto ciò abbia potuto avere inizio. In altri momenti avevo riso di gusto di quei gustosi aneddoti sull’inefficienza del servizio postale. Li avevo sempre considerati più che altro luoghi comuni, quasi impossibili da riscontrare nella vita reale.
Eppure quella mattina di maggio avevo davanti a me la prova che i “viaggi nel tempo” non erano del tutto impossibili, anche se, beninteso, tali viaggi non erano da intendersi come quelli immaginati nei libri e nel cinema di fantascienza.
Un pacco postale, il cui viaggio era iniziato ben ottantacinque anni prima, si era infine materializzato sotto i miei occhi, un reperto di un passato remoto la cui stessa esistenza era rimasta sospesa nel tempo fino a che un impiegato curioso non lo aveva scovato sul fondo di qualche scaffale polveroso, in qualche ufficio o magazzino statale, e non aveva provveduto a metterlo in consegna. Davvero difficile a credersi.
Ottantacinque anni: l’equivalente esatto di tre generazioni, visto che il nome del destinatario, indicato, con una scrittura incerta ma ancora leggibilissima, sulla carta giallo-ocra dell’imballo, era chiaramente quello del mio nonno paterno, Albert Wilmarth.
Mi chiamo Andrew e sono il direttore del dipartimento di letteratura alla Miskatonic University, la medesima posizione che un tempo fu del padre di mio padre. Forse fu proprio per via di tale coincidenza, stesso cognome, stesso indirizzo, che quel vecchio pacco postale destinato al mio avo poté, infine, finire sulla mia scrivania. Certo è che, pensai solo a osservarne l'imballo così consumato e ingiallito dal tempo, chiunque avrebbe potuto rendersi facilmente conto dell'errore. Evidentemente, chi lo aveva consegnato non aveva ritenuto necessario perdere tempo in questioni tutto sommato marginali.
Una cosa simile capita una sola volta nella vita, perciò, dopo aver sbrigato pochi convenevoli con la segreteria di direzione e dopo aver congedato alcuni impiccioni, decisi che la mia curiosità non poteva attendere. Aperto senza indugio ma con estrema attenzione il pacco secolare, ne estrassi uno strano manufatto di colore nero, ben avvolto in carta di giornale, alcune fotografie e una breve lettera di accompagnamento, scritta in una grafia appena comprensibile. Il timbro postale riportava il nome di una cittadina del Vermont chiamata Bellows Falls; il mittente era tale Henry Wentworth Akeley, residente a Townshend, nella Contea di Windham, sempre nel Vermont. Cosa potesse avere in comune mio nonno con un tizio che abitava così distante dal Massachusetts non lo potevo sapere, ma probabilmente la loro conoscenza aveva a che fare con la mania di mio nonno per il folklore americano, una mania di cui venni a conoscenza dai, seppur rari, racconti di mio padre.

Sollevai e soppesai lo strano manufatto: era una pietra di colore nero, probabilmente di ossidiana, la cui forma mi ora è difficile descrivere ma di cui, osservandone il taglio, era impossibile escludere senza ombra di dubbio l’artificiosità. Diedi un’occhiata anche alle fotografie, che rappresentavano quelle che sembravano orme lasciate su un terreno fangoso. Ma non orme di piedi: sarebbe forse più corretto parlare di orme di zampe, nonostante fosse difficile stabilire a quale specie potessero appartenere. Posso limitarmi a dire che ricordavano vagamente delle pinze di granchio, anche se c'era da rimanere indecisi riguardo il loro orientamento. Da una specie di cuscinetto centrale partivano in tutti i sensi altre pinze dentellate di cui non si poteva capire l'uso, dando per scontato che le impronte fossero state lasciate da un organo di locomozione. Un'altra fotografia meno chiara, perché scattata evidentemente all'ombra, rappresentava l'ingresso di una caverna chiuso da un masso tondeggiante. Sulla terra nuda che si estendeva davanti alla grotta si poteva notare una rete di impronte che, esaminate alla lente, risultavano identiche a quelle della foto precedente. Delle altre fotografie, tre rappresentavano paesaggi montagnosi o paludosi mentre nell’ultima si vedeva una fattoria, una graziosa casa bianca a due piani con un prato ben tenuto. Un viale fiancheggiato da bassi muriccioli conduceva all'ingresso, molto bello, e parecchi cani di grossa taglia erano sdraiati sul prato vicino a un uomo dal viso simpatico, con una corta barba grigia, che non poteva che essere il padrone di casa: a giudicare dal filo che teneva in mano, doveva essersi fotografato da solo.

Posai perplesso le fotografie e passai alla lettera. Mio caro amico – presi a leggere - come già ebbi modo a dirle sono sul punto di decifrare l'iscrizione di questa pietra; grazie ai suoi studi di demonologia, forse potrà fornirmi lei gli elementi che mi mancano. Suppongo che non ignori gli spaventosi miti anteriori alla venuta degli uomini sulla Terra, i cicli di Yog-Sothoth e di Cthulhu menzionati nel Necronomicon. Ho avuto occasione di scorrere quest'opera, e mi pare che ce ne sia un esemplare nella biblioteca della vostra università. Per concludere, caro amico, penso che, in base alle nostre rispettive cognizioni, ognuno di noi possa essere utile all'altro. Non vorrei compromettere la sua sicurezza, e ritengo sia mio dovere avvertirla che il possesso del rullo e della pietra potrà esporla a certi rischi: ma sono certo che lei non esiterebbe a correrli nell'interesse della scienza. 
I miei più cari saluti. Henry W. Akeley

Una volta terminata la lettura di quella vecchia lettera, mi sorpresi a bocca aperta. Avevo letto nomi e parole che avevo già sentito nominare migliaia di volte ma che sapevo riferirsi ad artifici letterari ideati da uno scrittore, mio illustre concittadino, vissuto quasi un secolo fa. Esisteva realmente, e lo dico per dovere di cronaca, una vecchia leggenda metropolitana secondo la quale una copia del mostruoso Necronomicon era conservata in chissà qualche segreto archivio all’interno di questa stessa università. Una leggenda che portava ogni anno, con mai sopito fervore, centinaia di appassionati a frugare disperatamente tra gli scaffali più angusti della biblioteca, fino ad introdursi nottetempo (ebbene sì, capitava anche quello) nei locali dell’Università con la pretesa di svelare chissà quale machiavellico segreto.
Naturalmente, le speranze di quegli “archeologi del fantastico” non avevano alcuna possibilità di essere soddisfatte: il Necronomicon, lo sapevano tutti, non era altro che uno pseudobiblium, ovvero un libro che non esiste e che non è mai esistito, la creazione di quel mio concittadino che, anni addietro, si divertì a seminare tracce di una mitologia pagana di sua invenzione tra le pagine di una rivista letteraria dell’epoca. Non ne sarebbe rimasto nulla se quell’anonimo scrittore, anni dopo la sua scomparsa, non fosse divenuto un caso letterario internazionale. Ma questa è un’altra storia.

Mi sorpresi a bocca aperta, stavo dicendo, anche perché su quella strana pietra nera c’era davvero una specie di iscrizione, che di primo acchito non avevo notato. C’erano degli strani segni, come dei geroglifici o delle figure stilizzate che a un occhio impreparato tutto potevano sembrare meno che un linguaggio. Qualcuno di quei geroglifici mi turbò profondamente. I miei studi mi avevano infatti portato a identificare alcuni di quegli ideogrammi con entità empie e terrificanti appartenenti a culture remote…
Mio nonno Albert era un tipo sicuramente bizzarro, a quanto sentivo raccontare da bambino, ma era anche tutt’altro che un ingenuo. Come avrebbe potuto quindi quel tizio, Henry Akeley, prendersi gioco di lui? Decisi che avrei dovuto saperne di più. E così feci. Presi il telefono e composi il numero di una mia vecchia conoscenza che viveva appunto in uno sperduto paesino nella Contea di Windham, nel Vermont. Ezra Noyes era un professore in pensione, appassionato di ufologia e parapsicologia, che per diletto scriveva su una piccola rivista chiamata Intelligencer, organo di un singolare gruppo di individui, una sorta di club esclusivo, che si autodefiniva Vermont Unidentified Flying Object Intelligence Bureau. Lo avevo conosciuto anni prima a Boston in occasione di una conferenza e mi era parso una persona preparata, per quanto bizzarra. Non che i suoi interessi c’entrassero qualcosa con ciò di cui avevo bisogno, ma ero certo che Noyes, più di chiunque altro, potesse darmi qualche notizia su un tizio vissuto dalle sue parti negli anni Trenta che rispondeva al nome di Henry Wentworth Akeley.
Mentre attendevo che qualcuno rispondesse al telefono, il mio sguardo cadde su quella pagina di giornale che aveva avvolto il curioso manufatto fino a pochi istanti prima. Era un quotidiano risalente al 14 marzo 1930 nel quale, in un trafiletto, gli astronomi dell’epoca annunciavano la scoperta del primo pianeta transnettuniano, il nono del nostro sistema solare. “Che curiosa combinazione”, pensai tra me e me.


21 commenti:

  1. Rientro dopo un mese di assenza dalla blogosfera e mi ritrovo questa chicca meravigliosa. Affascinato, letteralmente affascinato. Storia intrigante. Bella prosa, scorrevole, stuzzicante. Bravissimo.

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    1. In realtà è più merito di HPL, il mio ispiratore. Il mio è solo un bel gioco di citazioni e di rimandi... MI pare venuto abbastanza bene... voi me lo direte alla fine.

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  2. Ben fatto! Il primo racconto sui Miti di questa parte della blogosfera! ;)

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    1. Non so se sono davvero il primo. In tal caso è un record che mi piace... anche se dipende da quanto è grande "questa parte" della blogosfera! ^^

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  3. Una storia Ma che bravura!
    Una storia interessante e, soprattutto, ben scritta.
    Cristiana

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  4. Molto bello, scritto bene e ci sono tanti riferimenti illustri eh! *__* (Google aiuta, non ne so quasi nulla!)
    Ora si attende... poco, vero? ^_^
    Buona domenica ^_^

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    1. Google aiuta ma mai abbastanza! Si, stavolta si attende poco, anzi pochissimo. ;)

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  5. TOM, questo inizio è davvero intrigante! Non vedo l'ora di sapere come continua :)

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    1. Tutta la parte iniziale, con la faccenda del (dis)servizio postale, mi era sembrata un po' banalotta mentre scrivevo. Poi ho cambiato idea....

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  6. Il trafiletto di giornale mi ricorda un certo episodio della giovinezza di Lovecraft che ha a che fare con una sua lettera spedita a un giornale scientifico. Mi sono spinto troppo in là con le deduzioni?

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    1. Tranquillo! Non hai spoilato nulla! Parlerò anche dell'episodio che hai citato, ma solo un accenno, dopo la metà di luglio, in un post dove racconterò della genesi di "Yuggoth!".

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  7. Bell'inizio, peccato che il link "continua" non porti da nessuna parte... per adesso.

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    1. Ahahah! Stavi cercando di furbare? Ok, quel link funzionerà magicamente tra poche ore...

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  8. Splendido inizio, pieno di mistero: inizia un bel viaggio ;-)

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    1. Ma non sarà un viaggio lunghissimo, te lo dico sin d'ora...

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  9. Personalmente non apprezzo granché i racconti in cui vengono usati i personaggi o i mondi letterari creati da altri.
    Senza nulla togliere, eh.

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    1. Comprensibile. È la stessa critica che è stata mossa per anni nei confronti di Derleth.
      A me invece piacciono questi "esercizi" di citazioni: la mia serie di post sugli "Yellow Mythos" si basano praticamente su quelli.
      È comunque, detto tra noi, chiunque ancora oggi si metta a scrivere una storia di vampiri o di morti viventi, non fa altro che saccheggiare ambienti e personaggi inventati da altri...

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    2. Sì e no. Un conto è scrivere di vampiri, un conto è scrivere, per esempio, di Sherlock Holmes.

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    3. Sherlock Holmes è stato effettivamente uno dei casi letterari dal quale derivano il maggior numero di apocrifi. Naturalmente potrei dirti che qualsiasi romanzo in cui prendi un investigatore, gli affianchi un ingenuotto come spalla (rendendolo magari voce narrante) e lo inserisci in una trama gialla è praticamente la stessa cosa. In fondo le coppie Poirot/Hastings e Rouletabille/Sinclair a loro modo non sono che dei cloni di Holmes/Watson (e che cloni, mi verrebbe da dire!)
      Credo che sia però molto più difficile scrivere un giallo dove i tuoi protagonisti si chiamano Holmes e Watson: se si sceglie di farlo è necessario prestare massima attenzione ai particolari e alle atmosfere, altrimenti è meglio lasciar perdere. Tanto più che nessun apocrifo è mai passato alla storia, così come nessun autore di apocrifi è mai diventato ricco e famoso con i personaggi di un altro...

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