giovedì 11 maggio 2017

Da zero a infinito

Tutto iniziò [...] nella biblioteca del professor Kohen, il cuore pulsante della sua casa. La biblioteca era una stanza austera, poco luminosa, foderata da alte scaffalature in noce. [...] Edizioni rare, curiosità del mondo letterario, riviste esaurite in pochi numeri e ignote anche ai lettori più attenti. [...] Tra essi, il pezzo forte erano i libri della collana «Uroboros», la serie di pubblicazioni più interessanti che il professore possedesse nella loro completezza. Si trattava di una sessantina scarsa di titoli, mai più ristampati, usciti a Parigi per i tipi delle scomparse edizioni «Keter» a cavallo tra il 1946 e il 1965. [...] Le pagine di «Uroboros», rappresentavano un laboratorio di idee nel quale la saggistica e la narrativa più eccentrica trovavano un’adeguata cornice. Molto tempo e molto denaro erano occorsi per ricostruire pezzo dopo pezzo, questo arabesco della cultura del Novecento. Lui c’era riuscito e ne andava fiero. Fu una sorpresa tutt’altro che gradita quindi ricevere la notizia portata da Myriam insieme alla dannazione che implicitamente questa accompagnava. Esisteva un numero «0» che aveva preceduto verso la fine del 1945 la serie regolare conosciuta.
Da zero a infinito. Zero come il tempo che mi è bastato per capire che questo testo, recensito in ogni dove sul finire dello scorso anno, faceva al caso mio. Infinito come il tempo che ho impiegato, tra un impegno e l'altro, a intraprendere questa avventura in quindici tappe che Fabio Lastrucci ha pianificato per me e per tutti i suoi lettori.

Un volume che si legge abbastanza in fretta, nonostante le 170 pagine virtuali nelle quali la versione ebook, almeno secondo il misterioso metodo di calcolo di Amazon, viene proposta. Tutto ciò si deve ovviamente allo stile di Fabio, che è riuscito a rendere meravigliosamente scorrevole un testo anche là dove le mie difficoltà con i termini dialettali sono solite incagliarsi.
Quindici racconti precedentemente apparsi su Fata Morgana e Alia tra il 2002 e il 2014 e per la prima volta qui riuniti in un'antologia; racconti nei quali la fanno da padrone le più improbabili creature, che, come sottolinea il buon Massimo Citi nell'introduzione, sono "incerte, perplesse, obbligate a misurarsi con la propria natura – ferina o metodica, rabbiosa o malinconica – e sforzarsi di immaginare un mondo privo di un'umanità chiassosa e impudica.".

Tre mondi (Escher, 1955)
È il caso del cane protagonista di "Specchi e confini", uno dei racconti a mio parere più riusciti di questa raccolta. "Si drizzò a sedere sulla strada prendendo corpo da un grosso imballo di computer. Quel cartone ondulato di colore marroncino si torse come un origami per formare rozzamente un torace. Quattro tronconi arrotolati costruirono le gambe, e la testa ripiegata sotto il busto si girò di scatto. Due pezzi di scotch saltarono scoprendo i buchi degli occhi. Sbucarono punte di graffe metalliche a mo’ di denti. [...] Una coda scese giù dalla schiena. Niente più di una cordicella sporca di terra che muoveva spontanea la sua voglia di scodinzolare.".
Un cartone animato, quindi, ma non nel senso tradizionale del termine. Il cane di cartone è il simbolo di un'umanità ormai allo sbando, che si trascina inevitabilmente verso la fine dei suoi giorni attraverso ciò che resta di un pianeta ogni giorno sempre più distratto. Un cane nato dagli scarti della civiltà, che ben rappresenta la solitudine dei derelitti e degli emarginati. Un cane che non è poi molto diverso dai tanti cani che nei mesi estivi vengono abbandonati lungo le autostrade, inevitabilmente destinati a fare i conti con un mondo che non è fatto per loro. L'immagine di un cane che non è nemmeno così diversa da quella di chi, più o meno coscientemente, più o meno volontariamente, si è trovato escluso dalle regole di questa società, abbandonandosi a uno stato di precarietà in cui solo l'istinto di sopravvivenza rimane, ultimo alleato, al suo fianco. L'ultimo alleato, un istinto primordiale, che un giorno potrà anch'esso venire sopraffatto. Non c'è nulla che lo possa impedire.
Le pagine di "Specchi e confini" abbondano di una tristezza infinita, ma anche di un'attualità disarmante. Difficile non immedesimarsi nel cane di cartone: il suo stesso essere "di cartone" lo rende fragile, vulnerabile a qualsiasi avversità della vita. Avvenimenti per noi apparentemente banali, come la pioggia, sono fatali per chi è fatto di cartone. Non ce ne accorgiamo, o forse non vogliamo accorgercene, ma là fuori il mondo è pieno di cartone bagnato del quale non sappiamo più che farcene. Non ce ne accorgiamo, o forse non ce ne vogliamo accorgere, ma noi stessi siamo fatti di cartone e le previsioni del tempo, là oltre il vetro della finestra, non promettono niente di buono.

Numerosi risvolti sociali sono offerti anche dal racconto "DB", ovvero "DeadBook", altro episodio esemplare di questa raccolta. "Come da copione, mi registrai in una sera piovigginosa di ottobre sbattendomene dei rischi penali. I rischi psicologici non li considerai, e invece avrei dovuto. DB spalancò le braccia aprendomi il proprio immenso registro. Ci cascai. Solo allora mi resi conto dell’ampiezza di quei corridoi infiniti, della loro mostruosità [...] Avanzavo a tentoni, senza un indizio, una guida. Mi ero perduto come gli altri folli dentro al database dell’aldilà.".
Il concetto non è nuovo e anch'io, nel mio piccolo, ne sono un diretto, involontario, testimone. Da qualche parte ho letto che sulla sola piattaforma Facebook esistono oltre trenta milioni di morti il cui profilo è tuttora attivo. È la nostra assicurazione sulla vita, nel senso che il network assicura la sopravvivenza di una parte piuttosto importante di noi, quella impalpabile fatta di bit e di byte. È in buona sostanza il nuovo metodo per affrontare il lutto nel ventunesimo secolo: poter continuare ad interagire con i defunti, superando i limiti della fisicità, anche lasciando un semplice commento su un profilo in disuso. È la cultura del cordoglio che è cambiata senza quasi che ce ne accorgessimo. Abbiamo svuotato i cimiteri e abbiamo riempito il web. In fondo a cosa servono i cimiteri, visto e considerato che la nostra presenza nella vita degli altri è prevalentemente digital? I cimiteri, lasciatemelo dire, non sono abbastanza social: non sono altro che distese di terra sotto le quali vengono sistemate delle ossa. Molto meglio interagire (sì, ho detto interagire) altrove. Naturalmente stando bene attenti a non finire in un racconto di Fabio Lastrucci, dove l'improvviso successo di Deadbook provoca controindicazioni piuttosto spiacevoli, sebbene tutt'altro che inattese.

Drago (Escher, 1952)
Sebbene piuttosto diversi, i due racconti appena citati hanno diversi punti in comune, primo fra tutti quello di attirare l'attenzione sulla nostra... disattenzione. Ma tutti e quindici sono racconti attraverso i quali i concetti di realtà e di fantastico si mescolano sapientemente, offrendo al lettore numerosi spunti su cui riflettere, come nel caso de "Il paradosso G", nel quale, attraverso l’oggettività di un processo matematico, è possibile dimostrare la realtà fisica del Maligno.
Potrei stare qui delle ore a raccontare di questa antologia, ma lo spazio a mia disposizione non è infinito e, soprattutto, temo di finire per annoiare chi si è preso la briga di leggere sin qui. In rete si trovano decine di altre blog-recensioni, per cui il mio invito è quello di provare a cercarle, anche perché (e questo a mio parere è un fatto piuttosto singolare), la maggior parte dei miei colleghi blogger si è focalizzata su tutt'altri aspetti e tutt'altri racconti. Prova, questa, della ricchezza di "Da zero a infinito".
Solo due ultime parole sul racconto che dà il titolo all'antologia, e di cui un breve stralcio ho riportato in apertura: non è certo un mistero che temi come la "biblio-archelogia" (o la "pseudo-biblio-archeologia") sono fra quelli che ritengo essere più affascinanti, così come non è un mistero che lo siano anche per molti lettori del mio blog.
Il racconto in questione è ovviamente molto di più della cronaca della ricerca di un dimenticato "Uroboros numero zero". Il titolo della pseudo-rivista è ovviamente la chiave: il “serpens qui caudam devorat”, simbolo esoterico che rappresenta la natura ciclica di tutte le cose, è lo specchio della nostra evoluzione che si chiude su sé stessa, dopo un periodo involutivo di cui magari non ci rendiamo nemmeno conto. L'eterno ritorno di tutte le cose, l'eterna rinascita di miti quali il Minotauro o il Licantropo (protagonisti involontari di altri due racconti di Lastrucci), i percorsi compiuti dalle civiltà del passato, delle quali oggi ci rimangono solo piccoli frammenti, le espressioni sociali ricorrenti, sono tutti indizi dell'ineluttabilità del nostro destino. E non serve essere credenti per sostenerlo. 

10 commenti:

  1. Ovviamente non posso esprimermi sui racconti, sia perché ne sono stato editore, curatore, prefattore eccetera, sia perché li ho letti fino a conoscerli a memoria, sia per ALIA e FM che per questa edizione. Con tutto ciò non posso che dirmi d'accordo con questa tua recensione, e sottolineare il valore assoluto di questi racconti, sorprendenti, assurdi e malinconici, qualcosa che non è facile incontrare.

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    1. Sorprendenti è la parola giusta. Ammetto che mi sono immerso nella lettura pensando di affrontare racconti di genere fantastico (che poi in realtà lo sono anche) ma è evidente, a conti fatti, che è un'etichetta che a Fabio veste piuttosto stretta. C'è molto di più, decisamente molto di più.

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  2. Grande stima per il lavoro di Fabio. Lui lo sa. Ottimo questo approfondito e articolato post dedicato a "Da zero a Infinito". Merita.

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    1. Avrei potuto anche articolarlo di più, questo articolo, ma perché rovinare la sorpresa a chi ancora non conosce questa raccolta?

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  3. Tutto molto intrigante. Merito senz'altro del libro, ma anche di un recensore con i controfiocchi.

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    1. Improvvisarsi recensore è molto più facile quando il testo offre gli spunti adatti...

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  4. Ciao TOM! Sai che ho adorato questa raccolta, e sì, io mi sono dedicata a chiacchierare di altri racconti rispetto a questi che tu hai scelto: è verissimo, la ricchezza narrativa permette che ciascun lettore trovi più affinità con alcuni temi, suggestioni, atmosfere.
    Per quanto mi riguarda il libro è stato uno tra i migliori letti l'anno scorso, mi ha fatto star bene e credo sia cosa non da poco!
    Molto belle le tue riflessioni, leggendole ho ripercorso le mie letture, perché quei quindici racconti sono davvero indelebili ^_^
    Una cifra e una voce uniche, quelle di Lastrucci.

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    1. Sì, so benissimo che l'hai adorata, così come so che hai adorato Babe Hardy. In fondo molte delle mie "scoperte" sono merito tuo e del tuo sempre puntuale blog.

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  5. Sembra interessante il racconto Paradosso G.

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    1. Ti rispondo riportando un estratto da quel racconto, chissà se riesco a solleticare ulteriormente la tua curiosità...
      Durante una tappa in una stazione ferroviaria, il professore aveva trovato nella sala d’aspetto un settimanale di giochi abbandonato […] Cruciverba, rebus, sudoku, le varie sciarade si susseguivano senza che nessuna solleticasse la sua attenzione. […] Tranne che per una voce. L’enunciato dell’aporia di Giacobelli, l’irrisolvibile paradosso matematico, campeggiava tra le curiosità accompagnato da qualche appunto tracciato da un ignoto lettore. […] Nelle ore seguenti […] non fece altro che perdere treni su treni per sviluppare quelle prime espressioni. Contro ogni aspettativa, davano risultati coerenti. Ogni formula ne produceva delle successive che proliferavano ancora invadendo poi tutto il giornale. Seguire il filo di quei calcoli richiedeva altro, si rese conto con stupore.

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