LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Siamo infine giunti alla terza e ultima parte di questo glorioso tuffo nella magia degli anni Ottanta. Non avrei mai pensato di poter riuscire a raccogliere in questo tutto sommato piccolo spazio tutti i ricordi di un decennio che, almeno per il sottoscritto, è stato indiscutibilmente tra i più ricchi di avvenimenti che poi, con il passare degli anni, si sarebbero rivelati decisivi.
Sarebbe stato forse necessario dedicare all'argomento un intero mese, anziché confinare tutto nell'angusto spazio di pochi giorni, ma certe cose alla fine restano interessanti solo finché rimangono episodi. Ascoltare i ricordi degli altri mantenendo un'attenzione costante non è affatto facile, e se devo dirla tutta, anch'io comincio a sentire il peso di tutto questo. Non sempre scavare nei ricordi è piacevole: si inizia a pensare a cosa, e a chi, ci si è lasciati alle spalle, a ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato, e soprattutto si inizia a pensare al tempo che è trascorso, alle persone che erano giovani, o nel pieno degli anni, e che ora sono invecchiate o se ne sono andate. Un sacco di tempo. Un sacco di fottutissimo tempo.
Sono stati in buona sostanza questi i pensieri con i quali mi sono coricato mercoledì scorso, dopo aver pubblicato il post precedente e spento il computer; pensieri dedicati a tutto questo tempo che è letteralmente volato via, mentre io continuo ad andare avanti un passettino alla volta.
Ma basta con questi discorsi! Cerchiamo di arrivare, possibilmente alla svelta, alla conclusione di questa storia. La volta scorsa avevamo ascoltato un po' di musica, ricordate? Oggi invece andiamo al cinema.
CINEMA
Chi segue questo blog da molto tempo sa bene che recensioni cinematografiche qui ne ho scritte parecchie, e che queste ultime di solito non riguardano film esattamente commerciali. Verrebbe quindi forse da pensare che il sottoscritto abbia trascorso i suoi anni Ottanta a guardarsi roba di nicchia, lontana anni luce dai grandi riflettori. Niente di più sbagliato. I miei anni Ottanta sono stati normalissimi, sempre che si possa definire normale un ragazzino che, a quattordici anni, si era già visto tutti gli horror che passavano nel piccolo cinema dalla parte opposta della strada.
Abbiamo già avuto modo di parlare di quel cinema in occasione delle recensioni di Phantasm e di Patrick, per cui non mi sembra il caso di tornare sull'argomento. Era però lo stesso cinema dove, sul finire degli anni Settanta, vidi Guerre Stellari e Grease e, ma qui eravamo già nei primi anni Ottanta, Il tempo delle mele. Che c'è di strano? Lo avevano, o lo avrebbero visto, tutti. Ignorarne l'esistenza era dopotutto impossibile: a scuola non si parlava d'altro, e io in fatto di gusti cinematografici non ero poi molto diverso dai miei coetanei. Se vogliamo, una piccola differenza c'era: quella mia innata (e mai sopita) passione per i film di Totò, che appena possibile guardavo e riguardavo, imparandone a memoria le battute. Un'attività, quella di imparare a memoria i film, che in seguito avrei ripetuto solo in due occasioni: la prima nel 1984 con Non ci resta che piangere, la seconda dieci anni più tardi con Pulp Fiction di Tarantino.
All'inizio degli anni Ottanta, complice l'inizio delle scuole superiori, non ebbi più modo di andare al cinema spesso come in precedenza. Avevo abbandonato anche la sala della parrocchia dove in precedenza mi ero gustato tutti i vecchi film di Godzilla e di Bruce Lee e avevo deciso di dedicarmi seriamente allo studio (si fa per dire), ma il cinema sembrava non poter fare a meno di me e, se io non andavo da lui, era lui che veniva da me.
All'inizio degli anni Ottanta, complice l'inizio delle scuole superiori, non ebbi più modo di andare al cinema spesso come in precedenza. Avevo abbandonato anche la sala della parrocchia dove in precedenza mi ero gustato tutti i vecchi film di Godzilla e di Bruce Lee e avevo deciso di dedicarmi seriamente allo studio (si fa per dire), ma il cinema sembrava non poter fare a meno di me e, se io non andavo da lui, era lui che veniva da me.
Durante tutto il quinquennio delle superiori, almeno tre o quattro volte l'anno era diventata tradizione riunirci tutti nell'auditorium per guardare film a scopo didattico. Inutile dire che i film che venivano proposti non erano esattamente quelli a cui può aspirare un ragazzino, ma a posteriori devo ammettere che le scelte fatte dal corpo insegnante furono decisamente centrate. I titoli proposti ovviamente non li ricordo tutti, ma di sicuro nel giro di pochi anni mi guardai Koyaanisqatsi (1983) e La guerra del fuoco (1982), due film privi di dialoghi (belli, per carità) che all'epoca non contribuirono granché al mantenimento del mio stato di veglia. Guardai però anche capolavori entusiasmanti come Apocalypse Now (1979) di Coppola o prodotti immediatamente dimenticati come Gente Comune (1980) di Robert Redford, Il verdetto (1982) di Sydney Lumet, Sul lago dorato (1982) di Mark Rydell o Birdy, le ali della libertà (1984) di Alan Parker. Ci fu naturalmente la "fase atomica" (che, ricordo, a scuola anticipò di gran lunga i fatti di Chernobyl): i film che ricordo vennero proiettati sono Sindrome Cinese (1979) di James Bridges e Silkwood (1983) di Mike Nichols. Questo è più o meno il cinema scolastico ufficiale, quello per il quale noi ragazzi dovevamo poi scrivere un resoconto critico nel corso dei giorni successivi (ecco quindi spiegata l'origine del blogger cinefilo che conoscete). Esisteva anche un cinema scolastico non ufficiale, quello che l'insegnante di religione, un tipo bizzarro con la fissa de "l'apocalisse è vicina", ci faceva vedere in gran segreto nelle sue ore: facemmo in tempo a vedere tutti gli horror del momento, come L'esorcista (1973), Shining (1980), Poltergeist (1982) e tutta la saga di Omen (1976-1981), prima che la preside se ne accorgesse e mandasse all'aria il nostro simpatico appuntamento settimanale.
Terminata la scuola, tornai comunque ad andare al cinema per conto mio, e finalmente potei di nuovo scegliere i titoli da me anziché subire le scelte degli altri. In realtà non fu proprio così, visto che eravamo una piccola compagnia e che era nostra abitudine scegliere a turno, in maniera piuttosto democratica. Inevitabilmente andai incontro ai classici di quegli anni come Terminator (1985) e Ritorno al futuro (1985), così come ai grandi maestri della comicità, al cui confronto gli pseudo-comici di oggi scompaiono. Cito solo alcuni tra i migliori di quegli anni, e ditemi voi se esiste qualcosa di recente che anche solo ci si avvicina: Fantozzi contro tutti (1980), Bianco, rosso e Verdone (1981), Eccezzziunale veramente (1982), Vieni avanti cretino (1982), L'allenatore nel pallone (1984), Troppo forte (1986)...
Potrei andare avanti per ore, ma mi ero ripromesso di essere telegrafico in quest'ultimo post, per cui passiamo rapidamente ad altro. Ad ogni modo, per approfondimenti, c'è sempre questo post qui.
Terminata la scuola, tornai comunque ad andare al cinema per conto mio, e finalmente potei di nuovo scegliere i titoli da me anziché subire le scelte degli altri. In realtà non fu proprio così, visto che eravamo una piccola compagnia e che era nostra abitudine scegliere a turno, in maniera piuttosto democratica. Inevitabilmente andai incontro ai classici di quegli anni come Terminator (1985) e Ritorno al futuro (1985), così come ai grandi maestri della comicità, al cui confronto gli pseudo-comici di oggi scompaiono. Cito solo alcuni tra i migliori di quegli anni, e ditemi voi se esiste qualcosa di recente che anche solo ci si avvicina: Fantozzi contro tutti (1980), Bianco, rosso e Verdone (1981), Eccezzziunale veramente (1982), Vieni avanti cretino (1982), L'allenatore nel pallone (1984), Troppo forte (1986)...
Potrei andare avanti per ore, ma mi ero ripromesso di essere telegrafico in quest'ultimo post, per cui passiamo rapidamente ad altro. Ad ogni modo, per approfondimenti, c'è sempre questo post qui.
PICCOLE COSE SPARSE E CONCLUSIVE
Non ho voglia di parlare di televisione. Ne usufruivo poco, tutto sommato, e a quanto ricordo non c'era veramente nulla che valga la pena rivangare ora. Parliamo invece di svaghi nel loro concetto più generale.
Giochi e videogiochi? Non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi. Anche molti anni dopo, alle prese con la prima playstation, mi sarei rotto le balle quasi subito. Giusto qualche Tomb Raider e nulla più. Negli anni Ottanta, come accadde a molti miei coetanei, ebbi però anch'io modo di venire in possesso di un fiammante Commodore 64. Lo scopo principale di quella macchina era ovviamente il divertimento e, ve lo assicuro, mi impegnai parecchio nel trovare una logica nel muovere avanti e indietro un joystick senza interruzione. Tutto quello che vedevo erano solo pixel colorati che si muovevano di qua e di là senza uno scopo e... lasciai perdere. Il Commodore però lo utilizzai parecchio per imparare da autodidatta i primi rudimenti della programmazione Basic, esperienza che mi sarebbe servita in futuro (e mi serve ancora oggi) per poter affrontare certi problemi della vita con un minimo di logica. Se invece vogliamo espandere il concetto di "giochi" oltre lo schermo di un monitor, come non ricordare i lunghi pomeriggi rubati allo studio attorno a un tavolo da biliardo? Ricordo con nostalgia la piccola compagnia del Bar Mauro... A sedici anni ero anche bravino, sapete? Non bravissimo, ma bravo quanto bastava per riuscire a farmi offrire qualche spuma gratis, quando la sete si faceva sentire. E vogliamo parlare di quelle adrenaliniche bigiate mattutine trascorse alla sala biliardi dietro la scuola? E di quella volta che il professore di meccanica, giustamente sospettoso, ci venne a prelevare a domicilio proprio mentre il sottoscritto stava approcciando un "sette sponde" difficilissimo?
Se le geometrie del biliardo non avevano segreti, quelle tridimensionali del cubo di Rubik mi facevano andare invece in paranoia dura. Mai riuscito a completare nulla di più di una singola faccia. Non ho mai avuto abbastanza pazienza. Era un marchingegno diabolico di cui mi liberai alla prima occasione buona.
Ed è proprio scrivendo di bigiate che mi sono venuti in mente poco fa i due momenti gastronomici cult degli anni Ottanta, con i quali vado a congedarmi. Nei miei patetici tentativi di sfuggire alle interrogazioni capitava talvolta che finissi in Duomo (sto parlando di Milano, se non lo si fosse capito), dove mi aspettavano due gloriosi simboli della "Milano da bere": il mitologico Burghy in Galleria Vittorio Emanuele (che preferivo a quello in San Babila perché c'erano meno paninari) e lo storico panzerottificio Luini in Santa Redegonda, ancor oggi tappa obbligatoria per chi ha voglia di un po' di sano street food e non si lascia intimorire dalle lunghe code iniziate, guarda caso, negli anni Ottanta. Milano!
Il mio viaggio termina qui, anche se mi sto trattenendo dal citare luoghi culto come l'Astra Games e il Rolling Stones. Grazie a chi ha sopportato le mie interminabili storie. Un saluto particolare a Moz che ha innescato la miccia e a Ivano che l'ha cosparsa di benzina. (Dannati!)
Giochi e videogiochi? Non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi. Anche molti anni dopo, alle prese con la prima playstation, mi sarei rotto le balle quasi subito. Giusto qualche Tomb Raider e nulla più. Negli anni Ottanta, come accadde a molti miei coetanei, ebbi però anch'io modo di venire in possesso di un fiammante Commodore 64. Lo scopo principale di quella macchina era ovviamente il divertimento e, ve lo assicuro, mi impegnai parecchio nel trovare una logica nel muovere avanti e indietro un joystick senza interruzione. Tutto quello che vedevo erano solo pixel colorati che si muovevano di qua e di là senza uno scopo e... lasciai perdere. Il Commodore però lo utilizzai parecchio per imparare da autodidatta i primi rudimenti della programmazione Basic, esperienza che mi sarebbe servita in futuro (e mi serve ancora oggi) per poter affrontare certi problemi della vita con un minimo di logica. Se invece vogliamo espandere il concetto di "giochi" oltre lo schermo di un monitor, come non ricordare i lunghi pomeriggi rubati allo studio attorno a un tavolo da biliardo? Ricordo con nostalgia la piccola compagnia del Bar Mauro... A sedici anni ero anche bravino, sapete? Non bravissimo, ma bravo quanto bastava per riuscire a farmi offrire qualche spuma gratis, quando la sete si faceva sentire. E vogliamo parlare di quelle adrenaliniche bigiate mattutine trascorse alla sala biliardi dietro la scuola? E di quella volta che il professore di meccanica, giustamente sospettoso, ci venne a prelevare a domicilio proprio mentre il sottoscritto stava approcciando un "sette sponde" difficilissimo?
Se le geometrie del biliardo non avevano segreti, quelle tridimensionali del cubo di Rubik mi facevano andare invece in paranoia dura. Mai riuscito a completare nulla di più di una singola faccia. Non ho mai avuto abbastanza pazienza. Era un marchingegno diabolico di cui mi liberai alla prima occasione buona.
Ed è proprio scrivendo di bigiate che mi sono venuti in mente poco fa i due momenti gastronomici cult degli anni Ottanta, con i quali vado a congedarmi. Nei miei patetici tentativi di sfuggire alle interrogazioni capitava talvolta che finissi in Duomo (sto parlando di Milano, se non lo si fosse capito), dove mi aspettavano due gloriosi simboli della "Milano da bere": il mitologico Burghy in Galleria Vittorio Emanuele (che preferivo a quello in San Babila perché c'erano meno paninari) e lo storico panzerottificio Luini in Santa Redegonda, ancor oggi tappa obbligatoria per chi ha voglia di un po' di sano street food e non si lascia intimorire dalle lunghe code iniziate, guarda caso, negli anni Ottanta. Milano!
Il mio viaggio termina qui, anche se mi sto trattenendo dal citare luoghi culto come l'Astra Games e il Rolling Stones. Grazie a chi ha sopportato le mie interminabili storie. Un saluto particolare a Moz che ha innescato la miccia e a Ivano che l'ha cosparsa di benzina. (Dannati!)
Che titoli hai citato. In effetti, come ho già detto, penso che gli anni '80 siano stati meno belli di altri decenni riguardo la musica, ma per quanto riguarda il cinema sono indimenticabili.
RispondiElimina"Apocalypse now" è straordinario, un film indimenticabile, come pure - sebbene in modo diverso - "Shining". "Birdy" è stato un po' dimenticato ma resta una pellicola stupenda.
I film di Totò invece li ho un po' accantonati, come pure quelli di Villaggio / Fantozzi. Forse sto diventando troppo serio ;-)
Il caso "Birdy" infatti è anomalo... mi viene in mente solo quando mi imbatto nella locandina, che reputo una delle più belle di sempre. Del film ricordo poco o nulla.... a malapena lo associo al faccione inespressivo di Nicholas Cage.
EliminaNon avevo idea che avessimo in comune la passione per il biliardo e nella stessa fascia di età. Io passavo ore a giocare ogni giorno nel seminterrato di un bar che non era neanche quello ufficiale della mia "compagnia", ma di una compagnia rivale. Fu uno dei motivi per cui alla fine l'incanto si ruppe, ma è una storia troppo lunga per poterla raccontare qui.
RispondiEliminaPer il cinema, condivido la nomina del Fantozzi e dei Verdone citati, ancora guardabili, però non so dirti per il confronto con i comici odierni visto che non li seguo. E Totò è stata una vera e propria maschera, come Charlot. Personalmente, gli affianco Franco e Ciccio. "Capriccio all'italiana" (1968) rimane un documento straordinario da questo punto di vista.
Un plauso, per finire, all'insegnante apocalittico ;-)
Nemmeno io conosco i comici odierni, ma da quel poco che ho visto il paragone è inesistente. Interessante questa cosa dell'andare a giocare a stecche dai rivali... non poteva che finire male :)
EliminaIo alle medie avevo visto a scuola sia Il tempo delle mele che Il tempo delle mele 2. Poi qualche anno dopo avrei visto in TV Sposerò Simon Le Bon, un orrore che - mi spiace dirlo - nemmeno Poltergeist avrebbe mai potuto sperare di eguagliare...
RispondiEliminaIl tempo delle mele 2 (e 3) probabilmente mi manca. Mi sono perso qualche cosa? Mi manca anche "Sposerò Simon Le Bon", così come mi manca "Volevamo essere gli U2" che secondo me, a sensazione, non si discostava molto...
EliminaAnch'io ho sempre avuto una passione per Totò, tanto che i suoi film probabilmente li ho visti tutti, ed alcuni più e più volte ;)
RispondiEliminaTotò è indiscutibile. Alcuni li ho visti talmente tante volte dal poter anche solo ascoltare la traccia audio per riviverli. Tra i suoi primissimi, quelli anni Trenta e Quaranta, mi sa che me ne mancano invece parecchi.
EliminaTutti i film che hai visto a scuola io li ho visti per puro caso "liberamente", e li ho amati molto. Il basic lo adoravo e provavo molta più soddisfazione a programmare che a giocare: quelle stringhe rendevano l'universo ordinato e gestibile, erano molto rassicuranti! ;-)
RispondiEliminaSe può servire, anch'io ho vissuto la mia cocente "fase biliardo" ma non sono mai entrato in uno dei locali che l'avevano: mi feci comprare il mini-biliardo da casa dove facevo rigorosamente schifo. Però ricordo di aver letto dei bei libri sull'argomento: almeno a leggere non ero una frana :-D
Non eri tu che facevi schifo: era il mini biliardo che aveva tutte le sponde storte. Davvero, so quello che dico, ne aveva uno anche un mio amico e mi capitava di giocarci. Se aggiungi che le stecche erano mal bilanciate e che le palline non permettevano effetti di sorta...
EliminaAllora mi consoli :-P
EliminaFra videogiochi, libri e film, mi manca solo il biliardo "vero" :-P
Ancora una volta penso a quanto siano stati ricchi quegli anni.
RispondiEliminaE a quanto li si guardi anche con un pizzico di nostalgia.
Proprio vero. Peccato solo che siano finiti troppo presto...
Eliminaquoto Guerre Stellari, Verdone e i panzerotti di Luini tutta la vita! :D
RispondiEliminaNon c'è un milanese che non conosca i panzerotti di Luini!
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