Appena siglata la pace di Santo Stefano del 1878, che mette fine alle ostilità fra Russi e Turchi che incendiano i Balcani, c’è finalmente possibilità di viaggiare tranquillamente per avventurieri curiosi come il nostro eroe: Nikolaj Aleksandrovič Notovič. (Il suo nome conosce molte varianti a seconda della lingua utilizzata: per comodità lo chiamerò all’inglese, Nicolas Notovitch.)
Stabilire chi sia egli veramente è impresa ardua e destinata al fallimento, in quanto gli avventurieri del suo livello non hanno mai amato divulgare troppe informazioni personali (o divulgarle vere), e visto che dopo lo scandalo del suo “ritrovamento” egli scomparirà nel nulla, tanto che si ignora persino la sua data di morte, non val la pena perdere tempo in una biografia che sarebbe solo ipotetica. Non possiamo fare altro che fidarci delle parole di Notovitch stesso: da quel 1878 egli intraprende una serie di viaggi che lo portano dai Balcani all’Asia centrale, alla Persia e, nel 1887, in India. Come possa permettersi un decennio di viaggi continui, non si sente in dovere di spiegarlo: si parlerà di viaggi mercantili e addirittura di missioni di spionaggio, ma in mancanza di prove certe è necessario sospendere il giudizio.
Dal suo racconto sappiamo che il 15 ottobre 1887 Notovitch entra a Ravalpindi, nel Pakistan, ma per l’argomento che ci interessa dobbiamo saltare le lunghe e dettagliate descrizioni e arrivare al momento in cui il nostro eroe, sul finire di ottobre, mette piede ad Hemis (nel Kashmir) e va a visitare il celebre gompa del luogo: l’antico monastero buddhista tibetano che risale probabilmente al X secolo.
Qui Notovitch assiste a cerimonie folkloristiche e discetta amabilmente di princìpi religiosi con il lama, il quale per caso si ritrova a raccontargli che nel buddhismo i lama di più alto grado venerano anche un certo Buddha Issa, la cui vita è raccontata in molti rotoli conservati nel monastero. Scopriamo che durante il suo tempo libero questo lama si diverte a leggersi la vita di quell’Issa, la cui dottrina è giunta in India per passa-parola attraverso mercanti ed esuli che hanno adottato i princìpi da lui insegnati. Dopo vari altri riferimenti più che palesi, Notovitch ha ormai ben capito che quell’Issa altri non è che Gesù Cristo – e il fatto che quest’ultimo nell’islam venga chiamato Isa dev’essere stato certo un indizio prezioso – così chiede in modo vago: «In che lingua sono scritti i principali rotoli sulla vita di Issa?»
«I rotoli originali sono stati portati dall’India al Nepal e dal Nepal al Tibet», risponde il lama dimostrando di essere molto informato sulla questione, «sono scritti in lingua Pali e attualmente si trovano a Lhasa; ma una copia nella nostra lingua, cioè in tibetano, si trova in questo convento». È ovvio che dopo questa esauriente spiegazione il nostro Notovitch ponga l’unica domanda possibile: può leggere dei brani dalla vita di Issa? A questo punto il lama chiacchierone ha bisogno di una scusa per sfuggire alla richiesta dell’ospite, ma nonostante la sua grande saggezza non sa trovare di meglio di un deludente: «Al momento non so dove siano i manoscritti». Dovremmo credere che egli conosca con esattezza il viaggio di quei rotoli negli ultimi duemila anni, in che lingua siano stati trascritti nelle varie località, e che però ignori dove siano riposti in casa propria? Poteva anche inventarne una migliore, di scusa. Si sbriga comunque ad aggiungere: «Se mai dovessi tornare a visitare il gompa di nuovo, sarà mio piacere mostrarteli.»
«I rotoli originali sono stati portati dall’India al Nepal e dal Nepal al Tibet», risponde il lama dimostrando di essere molto informato sulla questione, «sono scritti in lingua Pali e attualmente si trovano a Lhasa; ma una copia nella nostra lingua, cioè in tibetano, si trova in questo convento». È ovvio che dopo questa esauriente spiegazione il nostro Notovitch ponga l’unica domanda possibile: può leggere dei brani dalla vita di Issa? A questo punto il lama chiacchierone ha bisogno di una scusa per sfuggire alla richiesta dell’ospite, ma nonostante la sua grande saggezza non sa trovare di meglio di un deludente: «Al momento non so dove siano i manoscritti». Dovremmo credere che egli conosca con esattezza il viaggio di quei rotoli negli ultimi duemila anni, in che lingua siano stati trascritti nelle varie località, e che però ignori dove siano riposti in casa propria? Poteva anche inventarne una migliore, di scusa. Si sbriga comunque ad aggiungere: «Se mai dovessi tornare a visitare il gompa di nuovo, sarà mio piacere mostrarteli.»
Il lama chiacchierone pensa di essere stato furbo, contando sul fatto che il viaggiatore russo non tornerà mai in una località così sperduta nelle montagne del Tibet. E in effetti Notovitch lascia il gompa e raggiunge la vicina città di Leh come tappa successiva del suo viaggio (per dove, non si sa), ma proprio non si dà pace: non può aspettare un ipotetico secondo viaggio, deve mettere ora le mani su quei rotoli. Dopo due giorni invia al monastero di Hemis, all’attenzione personale del lama, un orologio, una sveglia e un termometro come regali, accompagnati da una lettera che suona davvero “intimidatoria”: essa informa che prima di lasciare la regione Notovitch è fermamente intenzionato a tornare al monastero per vedere i manoscritti, e farsi raccontare il loro contenuto. Non è una richiesta, sta semplicemente comunicando ciò che avverrà.
Il nostro eroe deve rendersi conto che regalini e lettere intimidatorie non possono sbloccare la situazione, e così durante una escursione a cavallo fuori città... lascia che ci pensi il Fato. Attraversando un valico di montagna il suo cavallo si imbizzarrisce, si impenna e lo disarciona facendolo cadere pesantemente in terra: il risultato è una gamba rotta. L’escursione ovviamente non può continuare e anzi Notovitch deve farsi trasportare in barella alla località più vicina... che neanche a farlo apposta, guarda a volte il destino, è il monastero di Hemis.
Possiamo solo immaginare la faccia del lama quando vede entrare nel proprio gompa il viaggiatore immobilizzato su una barella: l’idea di aver risolto la questione “manoscritti” svanisce, così come la speranza di toglierselo dai piedi in tempi rapidi. Gli offre ospitalità e cure, e nel giro di due giorni le condizioni di Notovitch migliorano sensibilmente, grazie ai monaci che gli bendano stretta la gamba con delle fasciature e dei legni. Appena è in grado di farlo, il nostro eroe fa chiamare il lama e gli ricorda la promessa fatta: anche se per incidente (dice lui), è tornato al monastero e quindi ha diritto a vedere i manoscritti della vita di Issa. Sebbene provi a temporeggiare, facendosi spiegare come funzioni la chincaglieria ricevuta in dono giorni prima, il lama è pur sempre un’autorità morale e religiosa e non può sottrarsi alla parola data.
La storia che sto raccontando è tratta dalla ricostruzione che Notovitch stesso fa degli eventi di cui è stato testimone, e si sta rivolgendo prima alla Francia poi al resto dell’Europa – e presto anche all’America – per spiegare ad un Occidente allibito come abbia potuto ritrovare un testo la cui importanza è seconda solo ai Vangeli canonici. Il momento in cui il lama cede alle insistenze del viaggiatore, e per magia ricorda dove erano nascosti i manoscritti, dovrebbe essere l’apice di un racconto quasi epico, invece il tutto si svolge velocemente e la narrazione di un momento storico è sbrigata con poche righe.
«[Il lama] mi portò due grandi libri, le cui grandi pagine erano fatte di carta ingiallita dall’età, da cui mi lesse la biografia di Issa mentre io trascrivevo con cura sul mio taccuino da viaggio seguendo la traduzione fatta dall’interprete. Questo curioso documento è compilato sotto forma di versi isolati che spesso non hanno collegamenti apparenti fra di loro, o relazione d’alcun tipo.»
Tutto qui? Centocinquanta pagine di introduzione scritta di proprio pugno, densa di lunghissime storie di viaggio, e il momento in cui dopo duemila anni si scoprono eventi ignoti della vita di Gesù... viene risolto in pochissime righe?
Da questo momento la fretta sembra la firma di Notovitch, che ora ha una gran voglia di chiudere il racconto della sua visita al monastero di Hemis. Al terzo giorno – mai numero fu più azzeccato – Notovitch risorge e si sente in grado di affrontare un viaggio di ritorno di venti giorni di cammino, con una gamba rotta e senza antibiotici o disinfettanti. Dove altri sarebbero morti di cancrena o di setticemia, fra dolori lancinanti, il nostro eroe se la ride: perché lui ha in tasca la vita di Issa...
Grazie come sempre dell'ospitalità e dello spazio: Issa saprà ricompensarti ^_^
RispondiEliminaLode a Issa! Oh Issa! Oh Issa!
EliminaIssa alla fine ritorna sempre.^^
RispondiEliminaA volte. ^^
EliminaBuffo come tutto sembri ricalcare l'esperienza di viaggio compiuta da Georges I. Gurdjieff negli stessi anni. Anche lui sparisce per dieci anni in una zona dell'Asia Centrale e ricompare nel mondo civilizzato con i frammenti di un intero insegnamento sconosciuto. La differenza è che dal momento della ricomparsa in poi di Gurdjieff si conosce praticamente ogni mossa, fino alla morte.
RispondiEliminaIn realtà, usando lo sguardo disincantato dello scettico, è un percorso quasi obbligato. Joseph Smith agli inizi dell'Ottocento poteva "trovare" il Libro di Mormon a Manchester, ma con la fine della guerra greca e l'invasione di avventurieri britannici in Grecia, Egitto e Turchia, tutto cambia: ora le "trovate" si fanno in terre lontane. A metà Ottocento il Codex sinaiticus - la cui autenticità è tutt'altro che limpida, visto che è stato rivendicato dal più grande falsario dell'epoca - ha rilanciato una moda antica ma ormai dimenticata: il libro trovato nel monastero lontano, custodito da gente ignara. Da quel momento le "trovate" avvengono in monasteri lontani. Ancora nei primi decenni del Novecento gli adepti di Voynich potevano abboccare all'amo citando "un antico monastero italiano" come custode ignaro di un antico manoscritto, storia che ancora oggi è ripetuta come un mantra semplicemente perché nessuno va a controllare, come nell'Ottocento nessuno poteva andare negli stessi monasteri a sbugiardare i "trovatori". Oggi si potrebbe, ma tanti preferiscono la leggenda.
EliminaNon voglio sembrare cinico, ma la storia della "caccia al libro" ci insegna che quando qualcuno dice d'aver trovato qualcosa in un posto lontano, non è vero: sta solo condendo con elementi di fiction di provata efficacia la sua "storia da non credere". Uno poi può crederci e fidarsi, e in fondo è esattamente quello su cui contano quelli che raccontano di monasteri lontani... ;-)
Molto romanzato e già questo fa propendere poco a favore della veridicità... Ma la fantasia di uno scrittore spesso è assai più interessante della verità.
RispondiEliminaInfatti tutti quelli che hanno voluto convincere grandi fette di pubblico della veridicità dei propri ritrovamenti hanno inserito elementi romanzanti talmente assurdi e incredibili... che tutti ci hanno creduto! Sottolineo che ancora oggi Notovitch è creduto più che veritiero e il suo testo viene ristampato come assolutamente degno di fede.
EliminaIl lama chiacchierone e che poi viene preso in contropiede è in assoluto il personaggio più simpatico di tutta la combriccola! :) Non appena avrò tempo, andrò a leggere anche la terza parte.
RispondiEliminaSenza saperlo, né volerlo, Notovitch col suo racconto ci ha regalato un personaggio delizioso che meriterebbe di essere protagonista di una serie di gialli umoristici: ad ogni puntata arriva un visitatore e il lama lo intorta in qualche modo :-P
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