Partiamo subito dal titolo: "Ipnagogica". Bello, eh? Ma cosa diavolo significa? Questa parola, ammettiamolo, non è proprio di uso comune, anche se è probabile che ognuno di noi prima o poi l'abbia sentita pronunciare.
La definizione più comune è quella psicologica, composizione del prefisso ipno- (dal dio greco del sonno Hypnos) con il termine greco ἀγωγός (che conduce).
La definizione più comune è quella psicologica, composizione del prefisso ipno- (dal dio greco del sonno Hypnos) con il termine greco ἀγωγός (che conduce).
Secondo l'enciclopedia Treccani la fase ipnagogica è infatti "quella fase di sonnolenza che precede l’addormentamento", fase che si contrappone a quella ipnopompica (legata al risveglio). Viene subito da pensare, mal celando un sorriso, che un libro il cui titolo invia riferimenti così diretti alla sonnolenza non possa essere che mortalmente noioso. Ma, tranquilli, non è così; sono solo io ad essere un pelino malizioso.
"La fase ipnagogica - prosegue la Treccani - è caratterizzata da un particolare stato fluttuante della coscienza e dal carattere vago e sfumato dei pensieri, durante la quale possono prodursi fenomeni a tipo di illusioni o di allucinazioni", insistendo tra l'altro sulle loro caratteristiche generalmente terrificanti. Sarà perché di solito io mi addormento di schianto, ma non credo di aver mai avuto un'esperienza del genere. Posso forse ritenermi fortunato, non lo so, ma leggendo un po' qua e là in giro per il web si direbbe che tutti, almeno una volta nella vita, finiscano per sperimentare questo fenomeno. Evidentemente la mia "volta nella vita" deve ancora arrivare; oppure è già arrivata, ma ha trovato in me un soggetto poco adatto.
Non dubito affatto, intendiamoci, che il fenomeno sia reale. Ciò che avviene nel breve passaggio attraverso la soglia della coscienza è qualcosa di veramente difficile da focalizzare e non escludo che sia proprio a quel breve attimo che andrebbero ricondotti i cosiddetti sogni lucidi, certe esperienze fuori dal corpo, le paralisi del sonno celebrate da Johann Heinrich Füssli o, più in generale, illusioni e allucinazioni nel loro senso più ampio. Ed è forse qui che dovremmo cercare di riformulare il significato di "Ipnagogico": non più ciò che conduce al sonno, bensì ciò che conduce a uno stato alterato di coscienza, non necessariamente indotto da fattori fisiologici.
Sono infatti proprio illusioni e allucinazioni il filo conduttore dei cinque micidiali racconti che Christian Sartirana ci propone nella sua breve raccolta, uscita già lo scorso anno per i tipi di Acheron Books e al cui titolo si deve questa mia lunga premessa.
Illusioni e allucinazioni sono quelle che ruotano attorno a "La porta", forse non il più riuscito dei cinque racconti ma sicuramente quello più inquietante ed evocativo. Una trama piuttosto semplice e forse nemmeno tanto originale, ma dannatamente efficace. In fondo, cosa più di una porta ha un legame così stretto con la paura? Una porta chiusa è l'incarnazione dell'ignoto: temiamo ciò che vi si nasconde perché non ha forma ai nostri occhi. Non è un caso se così tanti film ci hanno messo in guardia dall'aprirle con leggerezza. Una porta chiusa scatena la nostra repulsione per gli spazi chiusi, il terrore per la solitudine, l'angoscia per l'abbandono con derive psicologiche che sfociano nei territori della sessualità . E qui siamo già dal lato opposto della porta, nel "dark side of the moon" delle soglie fisiche, per certi versi non meno preferibile dell'altro. Una porta aperta, viceversa, scardina definitivamente le nostre difese, ci rende vulnerabili, ci sottrae quel minimo sicurezza che pensavamo di esserci ritagliati attorno. E se infine quella porta aperta si dovesse improvvisamente chiudere? Magari sbattendo fragorosamente? Ecco che le due opposte paure si sommano, si elevano a potenza. E che dire di una porta, che teoricamente non può né aprirsi né chiudersi perché è dipinta su una tela, dovesse cambiare impercettibilmente e gradualmente il suo stato? Da che parte vorreste stare?
Forse vorreste scomparire, forse vorreste nascondervi dietro una maschera, dietro un nickname o un profilo farlocco. Forse vorreste omologarvi ai vostri simili, non abbastanza simili, confondervi come una goccia in un oceano in tempesta, in modo che nessuno possa puntarvi il dito addosso, parte insignificante di un intero che pensa per voi, che vive per voi. È il principio su cui si basa "Le facce bianche", altro interessante inganno dei sensi e della mente, metafora di una società tendente all'annullamento, dalla quale il difforme è dispensato dal far parte, spesso perché più terrificante di qualsiasi orwelliana distopia. Realtà? Illusione? Cosa conta, in fondo?
Realtà? Illusione? Cosa ci fa più orrore? Forse è la realtà stessa che ci fa orrore, quella realtà a cui apparteniamo e alla quale cerchiamo ogni giorno di sfuggire. Allucinazione? Magari potessimo rifugiarci in essa, con la certezza di non essere parte di questo mondo di sciacalli, sempre con lo sguardo diabolicamente rivolto alle sfighe degli altri. Lo sa bene Anna, perversa protagonista di "Una collezione di cattiverie", fra i cinque racconti quello dai presupposti all'apparenza più realistici. Solo all'apparenza, perché la realtà inizia a distorcersi ben presto, avvolgendosi in un uroborico ciclo di terrore, tra oggetti di aspetto innocente e di corrotta sostanza.
Lo stesso aspetto innocente che può avere un luogo familiare come la propria casa, quella che magari si è scelta, dopo anni di sacrifici e di risparmi, per investirci la propria vita e i propri affetti, proprio come hanno fatto Filippo e Serena con quella casetta di campagna dalle parti di Casale Monferrato. È la premessa che ci introduce in quello che senz'ombra di dubbio è il segmento più potente della raccolta. Non è certamente la casa perfetta, quella che ci viene presentata ne "La memoria della polvere", ma per un attimo ci viene lasciato credere che possa esserlo, nonostante i fantasmi di un non lontano passato provino insistentemente a bussare alla porta. Questo è un racconto che secca la gola, che opprime i polmoni, che contamina la mente. Chi vive in quella vecchia casa, laggiù oltre gli alberi, in quella radura ormai inselvatichita? Chi guida quel carro funebre dai vetri così sporchi da non poter scorgere nulla al suo interno? Chi aspetta tutti i giorni, così pazientemente, quella donna davanti a una fabbrica chiusa tanti anni prima? E quella gente giù in paese? Realtà? Illusione? Allucinazione?
Lo avevamo pur detto che il vero orrore non è là fuori ma è dentro di noi, no? Anzi, il vero orrore siamo noi. Non siete convinti? Andate a chiederlo a Danny, il kafkiano possessore di una mano che non vuole fare il suo dovere. Premetto che di storie di mani che prendono il sopravvento sul resto del corpo sono piene le librerie. Ma ciò è poco male: vorrà dire che dopo William Fryer Harvey, Maurice Renard e Lucius Etruscus, da oggi mi verrà in mente anche "La manina" di Christian Sartirana, il racconto che apre l'antologia e che chiude questa piccola recensione. In questi frangenti sarebbe opportuno uscirsene con un preconfezionato "Last but not least", ma la verità è che "La manina" si discosta nettamente da tutti gli altri racconti e la formula di cui sopra dovrebbe prevedere un collegamento anche se minimo con tutto quello che lo ha preceduto. O sbaglio?
Siamo qui invece più dalle parti di Gregor Samsa, solo che fa mille volte più vomitare del suo corrispettivo kafkiano ("vomitare" nel senso buono del termine, ovviamente, sempre che un "senso buono" esista), perché se il personaggio dell'autore praghese era a suo modo simpatico, Danny riesce a rendersi insopportabile anche nella sua sventura. Mi chiedo però se fosse davvero quello l'intento dell'Autore, visto che il primo attore è circondato da personaggi se possibile ancora più sgradevoli, a partire dal padre ipocrita per arrivare ai colleghi stronzi, passando da uno spacciatore famelico.
Un noir dalle tinte forti, che rappresenta il degrado fisico e morale di un singolo all'interno di una società anch'essa decadente fino all'inevitabile apocalisse. E lì, tutto trova il suo senso.
Non dubito affatto, intendiamoci, che il fenomeno sia reale. Ciò che avviene nel breve passaggio attraverso la soglia della coscienza è qualcosa di veramente difficile da focalizzare e non escludo che sia proprio a quel breve attimo che andrebbero ricondotti i cosiddetti sogni lucidi, certe esperienze fuori dal corpo, le paralisi del sonno celebrate da Johann Heinrich Füssli o, più in generale, illusioni e allucinazioni nel loro senso più ampio. Ed è forse qui che dovremmo cercare di riformulare il significato di "Ipnagogico": non più ciò che conduce al sonno, bensì ciò che conduce a uno stato alterato di coscienza, non necessariamente indotto da fattori fisiologici.
Sono infatti proprio illusioni e allucinazioni il filo conduttore dei cinque micidiali racconti che Christian Sartirana ci propone nella sua breve raccolta, uscita già lo scorso anno per i tipi di Acheron Books e al cui titolo si deve questa mia lunga premessa.
Una porta aperta scardina definitivamente le nostre difese, ci rende vulnerabili. |
Forse vorreste scomparire, forse vorreste nascondervi dietro una maschera, dietro un nickname o un profilo farlocco. Forse vorreste omologarvi ai vostri simili, non abbastanza simili, confondervi come una goccia in un oceano in tempesta, in modo che nessuno possa puntarvi il dito addosso, parte insignificante di un intero che pensa per voi, che vive per voi. È il principio su cui si basa "Le facce bianche", altro interessante inganno dei sensi e della mente, metafora di una società tendente all'annullamento, dalla quale il difforme è dispensato dal far parte, spesso perché più terrificante di qualsiasi orwelliana distopia. Realtà? Illusione? Cosa conta, in fondo?
Realtà? Illusione? Cosa ci fa più orrore? Forse è la realtà stessa che ci fa orrore, quella realtà a cui apparteniamo e alla quale cerchiamo ogni giorno di sfuggire. Allucinazione? Magari potessimo rifugiarci in essa, con la certezza di non essere parte di questo mondo di sciacalli, sempre con lo sguardo diabolicamente rivolto alle sfighe degli altri. Lo sa bene Anna, perversa protagonista di "Una collezione di cattiverie", fra i cinque racconti quello dai presupposti all'apparenza più realistici. Solo all'apparenza, perché la realtà inizia a distorcersi ben presto, avvolgendosi in un uroborico ciclo di terrore, tra oggetti di aspetto innocente e di corrotta sostanza.
Chi guida quel carro funebre dai vetri così sporchi da non poter scorgere nulla al suo interno? |
Lo avevamo pur detto che il vero orrore non è là fuori ma è dentro di noi, no? Anzi, il vero orrore siamo noi. Non siete convinti? Andate a chiederlo a Danny, il kafkiano possessore di una mano che non vuole fare il suo dovere. Premetto che di storie di mani che prendono il sopravvento sul resto del corpo sono piene le librerie. Ma ciò è poco male: vorrà dire che dopo William Fryer Harvey, Maurice Renard e Lucius Etruscus, da oggi mi verrà in mente anche "La manina" di Christian Sartirana, il racconto che apre l'antologia e che chiude questa piccola recensione. In questi frangenti sarebbe opportuno uscirsene con un preconfezionato "Last but not least", ma la verità è che "La manina" si discosta nettamente da tutti gli altri racconti e la formula di cui sopra dovrebbe prevedere un collegamento anche se minimo con tutto quello che lo ha preceduto. O sbaglio?
Siamo qui invece più dalle parti di Gregor Samsa, solo che fa mille volte più vomitare del suo corrispettivo kafkiano ("vomitare" nel senso buono del termine, ovviamente, sempre che un "senso buono" esista), perché se il personaggio dell'autore praghese era a suo modo simpatico, Danny riesce a rendersi insopportabile anche nella sua sventura. Mi chiedo però se fosse davvero quello l'intento dell'Autore, visto che il primo attore è circondato da personaggi se possibile ancora più sgradevoli, a partire dal padre ipocrita per arrivare ai colleghi stronzi, passando da uno spacciatore famelico.
Un noir dalle tinte forti, che rappresenta il degrado fisico e morale di un singolo all'interno di una società anch'essa decadente fino all'inevitabile apocalisse. E lì, tutto trova il suo senso.
"La memoria della polvere" sembra il più interessante dei cinque.
RispondiEliminaP.S. Mi chiedo però se fosse davvero quello l'interno dell'Autore... (intento?)
Arghh! Un refuso! Vado subito a picchiare la testa contro il muro!
EliminaQuesto post mette i brividi.
RispondiEliminaProbabilmente tutti, almeno una volta, abbiamo vissuto questo stato di alterazione della coscienza che ha a che vedere con il sonno ma non è del tutto tale. Lo avrò vissuto io stessa? Mi hanno raccontato che una sera, avrò avuto quindici o sedici anni, mi sono addormentata dinanzi alla tv e poi, a tarda sera mi sono svegliata, seduta, e ho raccontato una storia. I miei familiari erano stupiti, dicono che fu breve ma perfettamente logica. Poi mi riaddormentai.
Io non ricordo niente di niente.
Mi è salito un brivido, giuro. Sarebbe interessante a questo punto saperne di più di quella tua vecchia storia. Uno in gamba potrebbe tirarci fuori un bel racconto...
EliminaAvendo problemi a prendere sonno, spesso mi capita di trovarmi in una fase "a metà strada" di questo tipo. Decisamente opportuno che io NON legga questo libro ;-)
RispondiEliminaPotrei consigliarti una grappetta prima di coricarti... dicono che funzioni per vincere l'insonnia. Personalmente a me gli spiriti (quelli nelle bottiglie) fanno l'effetto contrario: mi tengono sveglio.
EliminaIo invece non ho problemi a dormire ed il libro di Sartirana m'interessa parecchio. ;)
RispondiEliminaIo già dormo sei ore per notte. Se non riuscissi nemmeno a sfruttarle tutte sarebbe un vero casino.
EliminaCiao sembra un libro molto interessante e dei racconti quello che mi incuriosisce di più è La memoria della polvere.
RispondiEliminaLeggendo l'articolo mi viene da chiederti se ce correlazione tra fase REM (no quelli di losing my religion ;) dei sogni e la fase ipnagogica?
Forse però non ha senso parlare di allucinazioni, ne di esperienze extracorporee ...ma alla fine i sogni cosa sono?
Credo che metaforicamente si potrebbe parlare di limbo non credi?
Un pò come stare sul bagniasciuga di una spiaggia , non sei completamente sulla sabbia ne dentro il mare.
Stai nel mezzo.
Spero di non annoiarti.
Voglio raccontarti un anedotto che mi è successo molti anni fa.
Ho partecipato senza crederci troppo con un gruppo di amici studenti a una seduta spiritica .
Era la classica seduta spiritica "de casa nostra" cioe eravamo seduti attorno a un tavolo.
Tutti appoggiavamo senza toccarlo un dito sopra quello che mi ricordo fosse un piattino in rame.
Naturalmente il piattino era sopra un cartellone con disegnati numeri e lettere alfabetiche.
A turno facevi delle domande all'ipotetico spirito de turno e questo ti "rispondeva" muovendo il piattino sulle varie lettere e componendo delle parole.
Era il piattino che si muoveva e noi lo seguivamo.
Non scendo nei particolari dell'esperienza che non ho piu' ripetuto per paura, sostanzialmente.
Ma del momento continuo ad avere un ricordo vago ...come se fosse reale tutto il resto tranne la seduta spiritica ( finito la seduta abbiam mangiato una pizza).
Come questa fosse stata un sogno , la seduta quasi un esperienza ipnagogica.
Ciao
Cosa sono i sogni? Bella domanda. DI primo acchito mi piacerebbe risponderti che sono viaggi in dimensioni parallele e in un certo senso potrebbe essere proprio così. Il problema è che quando siamo nati non ci hanno dato un manuale d'istruzioni che ci spiegasse come far funzionare quel corpo nel quale ci trovavamo intrappolati. Il funzionamento del cervello in particolare, che è la chiave di tutto il sistema, ci è quasi del tutto sconosciuto (e quello che sappiamo ha ben poco si scientifico, mi pare).
EliminaSeduta spiritica? Ne avevo fatta una anch'io da adolescente, ma non giungemmo a nulla... forse meglio così.