sabato 13 marzo 2021

Il re ne comanda una

Edizione Cliquot, 2019
Il re ne comanda una, Madama Dorè. Il re ne comanda una! 
Il re ne comanda, o domanda, una è un verso della famosa filastrocca per bambini “Oh quante belle figlie, Madama Dorè”. Di certo tutti la conoscete, anche se ormai è in disuso, come molte delle nostre tradizioni che si rifanno a un passato lontano e spesso indecifrabile. Questa filastrocca si recitava facendo il girotondo: erano esclusi una bambina che restava al centro (e che impersonava appunto Madama Dorè) e un bambino al di fuori (nella parte dello scudiero del re); i due, cantando, si scambiavano domande e risposte, e quest’ultimo sceglieva le bambine da togliere dal cerchio. Il gioco finiva quando concordato, oppure quando alla fine il cerchio si scioglieva perché non restavano più bambine. La bambina chiamata fuori dal girotondo simboleggia la fanciulla che esce dalla comunità per sposarsi, e la filastrocca ci rammenta di un tempo in cui il matrimonio era un patto sociale: nelle sue forme più arcaiche la sposa si acquistava, o si cedeva in cambio di una dote, per non parlare del matrimonio per ratto simulato dallo sposo, a significare che la partenza della sposa era una vera e propria perdita (affettiva e materiale) non solo per la sua famiglia di origine, ma per tutta la comunità. In seguito, con lo svilimento della figura femminile, fu la donna a dover fornire una dote, al tempo in cui ormai era vista come un peso, una “bocca da sfamare”, e poco più. 
Un romanzo che si intitola “Il re ne comanda una” non può dunque che portare con sé, che lo voglia o no, un’impronta sociale, e forse una critica ai costumi di un mondo che dovrebbe essere ormai scomparso, e che invece sotto molti aspetti è ancora vivo e pulsante. L’autore è il triestino Stelio Mattioni (1921-1997), scrittore “eccezionale” e “misterioso” nelle parole di Italo Calvino, come giustamente ricordano la prefazione del libro e la quarta di copertina (parlo dell’edizione Cliquot in mio possesso: la prima edizione Adelphi, ormai introvabile, risale al 1968). Gli stessi aggettivi si possono utilizzare anche per descrivere questo romanzo, una sorta di fiaba dal finale amaro che riesce a dispensare a piene mani l’ironia mentre descrive la tirannia del matrimonio e delle convenzioni sociali in genere, che finiscono, principalmente, per stringersi come un cappio attorno alla donna. Questo aspetto viene sviscerato dall’autore fin dal titolo, perché cos’è il protagonista maschile se non il re di una corte, il sultano di un harem che soggioga le donne barattando la loro libertà e dignità con la sicurezza? E difatti, pur avendo un nome (Orlando), spesso viene definiti semplicemente “Lui”; quasi fosse un’istituzione, un archetipo, più che un semplice essere umano. 

Stelio Mattioni (1921-1997)
La storia comincia con la fuga di Tina dal marito Franco, nullafacente e alcolizzato, assieme alle figlie Pupetta e Millina. Una fuga che la porta, in piena notte, in un quartiere misconosciuto di Trieste, davanti alla casa di un creditore di Franco, Orlando, e dalla padella nella brace. Era stato l’uomo a invitarla, sventolandole davanti al naso le cambiali in suo possesso e assicurandola che, se lei si fosse recata a casa sua, avrebbero trovato il modo di risolvere “la faccenda”. All’apparenza Tina dovrebbe saldare il debito lavorando, ma ciò che quella convivenza sottindende è ben altro e la donna ne è consapevole, e se così non fosse ci sarebbero a rammentarglielo di continuo le altre donne della casa, infuriate per gli scossoni che il suo arrivo apporta al ménage “familiare” (la moglie sfiorita anzitempo, l’amante quasi spodestata, la figlia che vorrebbe sposarsi ma probabilmente non ne avrà mai la possibilità). La presenza delle figlie di Tina, e soprattutto della più grande, che è già quasi più donna che bambina, avrà invece un esito imprevisto. 

Edizione Adelphi, 1968
La casa si rivela una sorta di labirinto perfettamente circolare; ci sono numerosi corridoi e stanze, ognuna con un uso ben preciso, e il cuore è un giardino impervio e incolto come una selva (il regno di zio Massimo: altro personaggio ambiguo che resta nella casa per abitudine o forse perché, anche lui, non saprebbe dove altro andare). C’è una zona adibita a magazzino e un’altra a laboratorio, dove forse si producono cosmetici e forse, invece, qualcosa di più pericoloso e proibito. C’è pure una stanza chiusa che ricorda la famosa stanza degli orrori di Barbablù, ma è solo una suggestione passeggera: l’orrore si annida nel mistero ma, una volta che questo è svelato, si svela anche la natura grottesca della narrazione. Nella fiaba, Barbablù proibisce alla moglie di entrare nella stanza chiusa, nel romanzo di Mattioni la chiave è a portata di mano ma nessuno può usarla tranne una: la “favorita”. Tutti gli equilibri della casa si fondano sul rapporto di sudditanza fra le donne e il padrone di casa, cui piace essere servito e riverito, anche ricorrendo all’uso della forza. Tina è soltanto l’ultima di una lunga serie di donne che si sono assoggettate al rito della chiave. Chiave che è ambitissima, ma è anche il prezzo della resa e dell’umiliazione: è il potentissimo simbolo della prevaricazione maschile da un lato, e della competizione fra donne dall’altra. 
L’aspetto erotico è ben delineato e sempre presente, il che pare in contrasto con la figura di Tina così com’è descritta all’inizio del libro, ovvero come colei che rompe le convenzioni con un gesto modernissimo: fuggire da un marito fannullone e violento, saldare un debito, lavorare. La straordinarietà di questo approccio però viene subito meno: perché Tina non ha mezzi, non sa dove altro andare, quindi accetta una situazione imbarazzante che se da un lato la mortifica, dall’altro la intrappola in una tensione erotica che lei, insoddisfatta della vita coniugale, più o meno inconsciamente agogna. Tra le minacce del marito abbandonato, le ingerenze dei fratelli e della madre, la donna avrà mai il coraggio di sottrarsi all’attrazione di quel luogo? 
Dire di più sarebbe un delitto, perché la lettura di questo romanzo è un piacere; l’autore è abile nel descrivere senza spiegare troppo, lasciando ampio margine all’immaginazione del lettore; i personaggi sono approfonditi con poche efficaci pennellate; il linguaggio elegante sa quando calcare la mano e quando agire di sottrazione, per esempio nei dialoghi, che sono sempre credibili e mai ridondanti. Lo stile è, obiettivamente, senza tempo: si capisce però che non si tratta del presente per via della psicologia dei personaggi e delle dinamiche non del tutto scomparse dal nostro tessuto sociale, ma tipiche di un tempo che fu. Per concludere, questa è una lettura che consiglio di cuore, ma sappiate che l’autore, come in tutte le opere migliori, non offre scappatoie, soluzioni definite né consolazione alcuna.

21 commenti:

  1. C'è molta carne al fuoco in questo romanzo e, devo dire, siamo veramente nel campo delle letture che preferisco (anche perché uscita in un periodo a me caro).
    Il dualismo madre-figlia come amante di un uomo (mi sembra di capire che si vada a parare lì, come per gli "indifferenti" di Moravia, mio titolo cult), povertà materiale che poi diventa povertà spirituale.
    Lo devo assolutamente leggere.

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    1. Non posso dare una risposta precisa per non spoilerare troppo, ma "povertà materiale che poi diventa povertà spirituale" mi sembra esprima molto bene uno dei temi del libro. Molto spesso per ottenere qualcosa, si sacrifica qualcos'altro e non è detto che nel cambio ci si guadagni.

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    2. I fratelli Carla e Michele sono due giovani incapaci di provare veri sentimenti, senza desiderio e in balia della noia.
      Il declino sociale della borghesia investe tutta la famiglia.
      Per me il romanzo, scritto da Moravia diciottenne, è un capolavoro.

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    3. In altre parole state cercando di convincermi a leggere Moravia?

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  2. Da come ne parli mi sembra una critica da un lato ad una cultura patriarcale che non ha più (semmai ne ha avuta veramente una) ragione di esistere, dall'altro alle difficoltà di emancipazione delle donne all'interno della società. Il tutto velato da un'atmosfera malsanamente goticheggiante. M'interessa e m'interessa anche parecchio.

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    1. Per come ti conosco e visto che molto spesso finiamo per apprezzare le stesse cose, ero sicuro ti avrebbe incuriosito. Questo libro è un gioiellino per le tematiche e anche per lo stile, se deciderai di leggerlo non te ne pentirai.

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  3. Suggestiva il rimando alla filastrocca. Però dalle mie parti non c'erano "re", i bambini cantavano "ma quante belle figlie madama Doré, me ne darebbe una?"

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    1. Confermo, ed addirittura in un albo di Sandman che lessi all'epoca, la filastrocca era riportata allo stesso modo.

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    2. Sicuramente esistono numerose varianti della filastrocca e sono certo che l'incipit "quante belle figlie" sia comune a tutte. In quella che conosco io, nelle strofe immediatamente successive, viene introdotto lo scudiero del Re che, per conto del sovrano, si presenta a Madama Dorè e comanda una delle figlie per farla maritare.
      A questo link potete trovare il testo completo della filastrocca (perlomeno una sua variante).

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  4. Davvero intrigante, aggiungo alla mia lista! Sai che mi hai riportato nel mondo di "Lanterne rosse"?
    La filastrocca del titolo, quella chiama da sé, come il pifferaio magico.
    Salutoni!

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    1. Ciao Lory, per certi versi sì, anche io sono stato riportato nel mondo di "Lanterne rosse", però c'è da dire che in Cina la concubina aveva un ruolo sociale ben definito, per quanto terribile e umiliante per la donna. La concubina, cioè, era una figura comune e accettata, diversamente dall'Italia degli anni del romanzo, in cui, invece, una donna che lasciasse il tetto coniugale per vivere in casa di un altro uomo diventava automaticamente una poco di buono.

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  5. La Cliquot non ne sbaglia una. Riportare alla luce romanzi e racconti meritevoli di essere riscoperti è uno scopo encomiabile! Per questo seguo assiduamente questa piccola, ma agguerrita e appassionata, casa editrice. (Anche se, confesso, mi manca tantissimo il blog che l'ottimo Federico Cenci ha tenuto per anni, sui fumetti vintage italiani)

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    1. Ti dirò che un po' invidio Federico Cenci e la sua attività di archeologo librario. Certo, questo non è il periodo più felice per praticarla ma di sicuro la maniera per restare in piedi la si trova.

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    2. Mi fate arrossire... Grazie per i complimenti. Posso dire di essere felice del mio lavoro, che ha i suoi lati romantici ma è anche molto meno romantico di come appare! ;)
      Federico

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    3. Ok, non aggiungere nulla. Preferisco pensare che sia molto romantico....

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  6. Grazie infinite per la bella disamina. Hai centrato tantissimi aspetti importanti del romanzo. Mattioni scrive quasi un'allegoria, ma spiazzante perché non si capisce dove voglia andare a parare, che cosa voglia simboleggiare. Si possono dare tante interpretazioni ma c'è sempre un dubbio di fondo, ci sono tante domande e poche risposte.

    Federico

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    1. Grazie a te, e spero di aver detto abbastanza senza svelare troppo. In effetti, in molti punti sembra che l'autore possieda una saggezza più profonda rispetto alla materia narrata, che però non vuole svelare fino in fondo. Mi sarebbe piaciuto vedere questo romanzo trasposto al cinema...

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  7. Mi piace moltissimo questa riscoperta di autori dimenticati o volutamente messi da parte, anch'io ho ritrovato delle vere e proprie chicche per esempio nei romanzi del Ventennio. E, a proposito della sudditanza femminile e delle "lanterne rosse" richiamate nei commenti precedenti, sto leggendo "Cigni selvatici" di Jung Chang del 1991 con la nonna dell'autrice che a inizio Novecento era diventata la giovanissima concubina di un generale cinese...

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  8. Anche a me, Cristina. Sogno sempre di trovare un giorno, in qualche soffitta dimenticata, un romanzo che nessuno hai mai letto o ricorda più. L'ho già detto che un po' invidio Federico Cenci? Sarà il periodo storico abbastanza lontano dal nostro, ma trovo in molti casi delle atmosfere stranianti in opere che pure non sono proprio ascrivibili al genere fantastico o weird. La stessa sensazione la provo leggendo libri ambientati in società molto distanti dalla nostra... a questo si deve probabilmente anche il mio amore per la letteratura orientale.

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  9. Ne avevo sentito parlare molto bene e le tematiche sembrano interessanti (anche se forse un po' desuete) lo metterò in lista per una futura lettura.

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