È un fatto singolare, ma forse non più di tanto, che un numero spropositato di omicidi, il più delle volte irrisolti, siano andati in scena tra le mura impersonali di una camera d’albergo. Credo di non essere completamente fuori strada se dico che è l’ambiente stesso dell’hotel, così freddo, anonimo, distaccato, a essere ispiratore dei crimini più efferati. Il suo essere uno spettatore imparziale, testimone silenzioso di piccoli frammenti di esistenza che durano lo spazio di una notte e poi finiscono, per lasciare il posto ad altri frammenti, diversi ma uguali nella sostanza, lo rende uno scenario perfetto per irrompere nelle vite delle persone e farle a brandelli, spesso anche in maniera non figurata.
Basti pensare al famigerato Cecil Hotel di Los Angeles, che nell’arco di un secolo ha ospitato un paio di serial killer e ha assistito a oltre quindici fra omicidi, suicidi e strani incidenti che hanno finito per appassionare migliaia di detective da tastiera e ispirare serie tivù come “American Horror Story” e, più recentemente, la docu-serie Netflix “Sulla scena del delitto”, incentrata sul caso di Elisa Lam.