venerdì 23 agosto 2024

Cronache della macelleria

"Chi ha detto che la carne è triste? La carne non è triste, è sinistra. Sta alla sinistra della nostra anima, ci cattura quando meno ce lo aspettiamo, ci trasporta su mari densi, ci affonda e ci salva; la carne è la nostra guida, la nostra luce nera e spessa, il pozzo d'attrazione in cui la nostra vita scivola a spirale, risucchiata fino alla vertigine...
E il macellaio che mi parlava di sesso per tutto il giorno era fatto della stessa carne, ma calda, e di volta in volta molle e dura; il macellaio aveva i suoi pezzi di prima e di seconda scelta, esigenti, avidi di bruciare la loro vita, di trasformarsi in polpa.
E lo stesso era delle mie carni, di me che sentivo il fuoco tra le gambe alle parole del macellaio".

Vagavo, poco prima di ferragosto, in uno di quei luoghi dove si vendono un tanto al chilo libri usati. Senza ombra di dubbio la mia attività estiva preferita, specie se costretto a trascorrere in città giornate in cui le persone normali si crogiolano spaparanzate sotto il sole. Il caldo ovviamente era soffocante, ma procedevo impavido nella mia ricerca di piccoli tesori, sollevando e spostando una montagna di libracci senza valore e impolverati dal tempo dalla bancarella sulla quale avevo posato gli occhi. Mia moglie a pochi passi di distanza stava facendo la stessa cosa, ma mentre io continuavo la mia ricerca in tutta comodità, i libri già nelle sue mani le rendevano difficoltosa la ricerca.

Avevo quasi perso ogni speranza, quando tra il solito John Grisham e l'ennesimo Dan Brown (due veri protagonisti dell'usato) ecco spuntare un piccolo libro bordato di rosso, una vecchia edizione Guanda con in copertina un Picasso dal contenuto vagamente pruriginoso. Prezzo del volume 2 euro, forse un po' troppo per un libretto di 70 pagine che avrebbero potuto essere la metà se fosse stato stampato con un font di dimensioni normali, ma la speranza di trovare uno spunto per lo speciale sul cibo mi ha infine convinto e l'ho portato in cassa. Il contenuto in quel momento ancora mi era ignoto. Nulla era riportato in quarta di copertina, nessuna prefazione o postfazione, e le uniche parole spese dall'editore erano quelle che ho riportato in apertura di articolo, chiaramente un estratto del libro che Guanda si era premurata di stampare sul risvolto di copertina.

Solo più tardi realizzai che fu da questo romanzo che il regista Aurelio Grimaldi, nel lontano 1998, si ispirò per il suo omonimo film, che da quanto mi risulta in pochi videro al cinema al momento della sua uscita nelle sale. Il qui presente, come immagino sia stato per la maggioranza degli italiani, non lo vide per un motivo tutto sommato banale: la scelta di Alba Parietti come protagonista. Una scelta, la mia, dettata più che altro da una sorta di pregiudizio che, ripensandoci un quarto di secolo più tardi, avrei potuto allontanare. In fondo furono numerosi i volti femminili che negli anni precedenti, trascinati da Tinto Brass, fecero il gran salto nell'erotismo cinematografico. Ma la carriera di Brass nel 1998 era già nella sua parabola discendente, e gli italiani, me compreso, erano stufi di assistere a situazioni al limite del grottesco nella vana speranza di vedere una mezza patata sullo schermo. E io stesso, che di Brass al cinema avevo visto solo "La chiave" con la Sandrelli, ero completamente disinteressato a quella che ritenevo essere spazzatura travestita da cinema d'autore. Peccato, perché, almeno da quanto lessi in seguito, la prova di Alba Parietti ne "Il macellaio" fu giudicata in maniera molto più che positiva (anche se non ho mai sentito il bisogno di verificare la questione di persona).

Qualcuno ha definito il romanzo (il racconto, direi invece) il più grande capolavoro dell'erotismo del ventesimo secolo. Si tratta ovviamente di un'iperbole, visto che potrei citarne almeno altri dieci che gli sono decisamente superiori; tuttavia l'ho trovato piacevole, ben scritto e posso ben comprendere il giudizio ultra positivo che alcuni ne danno. Nonostante ciò, l'autrice si è fatta forse prendere la mano in quel finale delirante, ma lì probabilmente il problema è più mio che suo. Circoscriverlo al recinto della cosiddetta letteratura erotica è certamente un errore; per certi versi lo si potrebbe definire quasi un romanzo di formazione, su una sorta di giovane Holden al femminile che rinuncia volontariamente alla propria adolescenza, alla purezza di un amore giovanile, per soddisfare un desiderio puramente carnale, rappresentato, guarda caso, da un maturo e volgare macellaio, uno che di carnalità è esperto a trecentosessanta gradi. 

"Le boucher", opera prima della scrittrice francese Alina Reyes, narra la sconvolgente scoperta della sessualità di una studentessa d'arte che, per pagarsi gli studi, decide di trascorrere l'estate lavorando come cassiera in una macelleria. L'opera è narrata in prima persona dalla ragazza e proposta sotto forma di una sorta di diario le cui pagine, almeno nella prima parte, alternano immagini del presente e immagini del suo recentissimo passato, quello dei giorni in cui avviene il suo incontro con Daniel, il più puro degli amori adolescenziali che una ragazza potrebbe mai sognare. La ragazza aveva incontrato Daniel a casa del fratello, con il quale questi aveva formato un gruppetto rock e condivideva un piccolo appartamento. Nel gruppo c'era anche la vocalist, una ragazza con i capelli rasati sempre vestita con abitini provocanti e che mai si ribellava agli accidentali palpeggiamenti dei suoi compagni. 
La nostra protagonista, dal canto suo, si sentiva sempre fuori posto quando passava del tempo con loro, con la sua aria da sorellina minore, la passione per la pittura e la poesia e, più in generale, con le sue mille incertezze. Ma gli occhi neri di Daniel, che "andavano e venivano come merli, che a tratti si posavano su di me pizzicandomi con il becco feroce", stavano inaspettatamente facendosi largo nel suo immaginario, fino a trascinarla di peso fuori dalla fanciullezza e scatenare in lei una moltitudine di nuove sensazioni. Finché un giorno, rientrata tardi da un concerto e invitata dal fratello a fermarsi a dormire, la nostra protagonista prende l'ardua decisione: si alza in piena notte come una sonnambula e va a sdraiarsi accanto a Daniel. 
Colma di passione, il giorno successivo torna a cercarlo, ma lui è già partito, in vacanza con i genitori. La ritroviamo quindi alla cassa della macelleria. Ma ormai il danno è fatto; la narratrice, già travolta da un erotismo disperato e insaziabile esasperato dal caldo, dal sangue e dagli afrori della macelleria, arriva infine, per placarlo, ad avvicinarsi al grasso e maturo macellaio. Inizialmente si limita a fantasticare, ma, quando lo vede all'opera con la macellaia nella cella frigorifero, tra file di carcasse sospese, finisce per cedere all'uomo, che diventa, oltre che il suo amante, anche il suo carnefice.

Non è una lettura facile, "Le boucher", ma non per quello che pensate voi: sono infatti le descrizioni della macelleria a dare il voltastomaco, sono le mezze bestie appese ai ganci e svuotate del loro sangue a provocare disgusto. Ed è naturalmente la metafora della carne, intesa come prodotto della macellazione, che avvolge tutto il libro, trasformando l'atto sessuale in un'esperienza primordiale. 

"La lama affondò con delicatezza nel muscolo, poi lo attraversò speditamente da parte a parte. Un gesto dominato dalla perfezione. La fetta cadde piegandosi mollemente sul ceppo. La carne scura luccicava, ravvivata da contatto con la lama. Il macellaio posò il palmo della mano sinistra sulla larga fetta e con la destra tagliò ancora di piatto. Sentii la massa fredda ed elastica sul mio stesso palmo. Vidi il coltello entrare nella carne molle e compatta, aprirla come una ferita splendente. L'acciaio scivolò dentro lo spessore scuro; lama e parete scintillarono."

Eros e thanatos in senso canonico (la petite mort, che nell'immobilità post-coito accomuna per un attimo il corpo umano allo scarto morto di macelleria) e in senso più personale e inquietante, per la lucidità con la quale la protagonista usa scientemente il sesso per uccidere, come se non avesse altra scelta: per uccidere sul nascere la sua relazione con Daniel, in effetti. E anche più tardi, in quel finale (che ho definito delirante) in cui cerca ancora di afferrare la bellezza della vita a costo di ferirsi e di degradarsi. Ma qui il racconto è affidato a una persona sia priva del comune senso del pudore che affetta dall'assolutismo della gioventù, e questo rende impossibile distinguere la realtà da una (possibile) esperienza onirica scatenatasi al nascere della ninfomania o di una forma di masochismo.

Sapete che non amo definirmi un recensore, ma a questo punto un giudizio sul libro devo pur darlo. Il testo è breve, la trama esile, lo stile è affascinante e tenta qualche affondo filosofico (non del tutto riuscito, secondo me), ma il vero problema è che il racconto provoca semmai disgusto, non certo eccitazione, perlomeno per quanto riguarda il sottoscritto, ma questo potrebbe non essere un difetto, bensì l'intento preciso dell'autrice. Il giudizio finale resta quindi sospeso fino a che non deciderò, in un futuro per ora remoto, di leggere altre opere della Reyes.



6 commenti:

  1. Anch'io non ho mai sentito il bisogno di "approfondire" come dici tu. E poi ammetto che se proprio voglio concedermi un film con molta carne, diciamo così, preferisco che sia carne non al sangue ;-)

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    1. E sono sicuro che non sei l'unico a preferire i film "ben cotti"...

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  2. l'accostamento eros - bistecche non lo colgo, ma la faccenda comunque rimane inquietante.

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    1. L'accostamento è un po' forzato, ma in un certo qual modo funziona.

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  3. Mi sa che non approfondisco, anche se mi è piaciuta molto la tua recensione (anche se non ti definisci recensore!). :--)
    Da vegano (e vegetariano da 25 anni) temo che il disgusto mi impedirebbe proprio la lettura...

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    1. La lettura potresti anche in teoria affrontarla, tanto le parole, alla fine, non sono che macchioline nere ben disposte sulla carta bianca. Il problema dovrebbe essere più nel film, che invece le immagini te le butta lì belle chiare.

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