L’occasione di un viaggio. Erano anni che questo piccolo volumetto faceva capolino nella mia libreria. Come lui, d’altra parte, centinaia di altri volumi che ho comprato nella speranza di avere il tempo di leggere.
Vado a consultare la data di pubblicazione: 1993. Diciotto ani sono passati da quando ho comprato questo libro… Comprato? Forse no.
In copertina trovo scritto: “Edizione speciale l’Unita multimedia”. Credo sia un libro distribuito assieme ad un quotidiano a costo zero o comunque per poche lire. Il prezzo sul retro è stato cancellato. Forse un regalo? Chissà. Diciotto anni sono tanti per ricordare. Ad ogni modo l’occasione di un viaggio lo ha spinto in valigia. Si tratta di un breve racconto, consumabile nel paio d’ore in cui sarei stato costretto nello scomodo posto centrale di un volo Milano-Berlino. Yukio Mishima (三島由紀夫), pseudonimo di Hiraoka Kimitake (平岡公威) è tuttora uno tra gli autori giapponesi più letti. Complessivamente ha realizzato un totale di 400 opere letterarie che variano tra i generi più disparati: dal romanzo a forme di teatro tradizionale giapponese fino al saggio.
Mishima (1924-1970) è uno dei pochi autori giapponesi che hanno riscosso immediato successo all'estero (più che in Giappone stesso, dove la critica lo ha più volte stroncato). Le sue numerosissime opere spaziano dal romanzo alle forme rimodernizzate e riadattate di teatro tradizionale giapponese Kabuki e Nō, quest'ultimo rivisitato in chiave moderna. Una stanza chiusa a chiave (Kagi no kakura heya) risale al 1954, quando Mishima aveva già ottenuto il riconoscimento di critica e pubblico grazie ad opere precedenti quali “Confessioni di una maschera” (Kamen no Kokuhaku).
Leggo nelle note in quarta di copertina: “Il mondo di Kazuo crollava, i significati si disperdevano. Rimaneva soltanto la carne. Lacerare, possedere la tenera carne di una bambina di nove anni in una camera chiusa a chiave, silenziosa e segreta come la tomba in cui si estenuavano nelle voluttà gli incestuosi fratelli di Le mille e una notte: è l’estrema trasgressione che il caotico, edonistico Giappone del dopoguerra pareva consentire al giovane protagonista del racconto".
La storia di un pedofilo, quindi? La tentazione di abbandonare la lettura è forte. Se c'è qualcosa che mi ha sempre dato fastidio è la violenza sui bambini. Perché mai dovrei leggere un racconto dove il protagonista è uno schifoso. D'altra parte è anche vero che conoscere il male è una maniera per esorcizzarlo e, comunque, questo è l'unico libro che ho in valigia. Mi tappo il naso e vedo avanti. Per fortuna, dirò a posteriori. Si tratta di un piccolo gioiellino.
Quello che apparentemente sembra essere un carnefice, si rivelerà essere una vittima. Vittima della bambina stessa, con la quale instaura una relazione morbosa, e della sua bizzarra tata. Vittima della società moderna, in un Giappone i cui valori tradizionali sono in dissoluzione (argomento caro a Mishima) che lo costringe ad un lavoro impiegatizio presso il ministero degli affari interni, tra personaggi ai quali poco importa delle tragedie interiori del nostro protagonista. Vittima di una società che da poco valore alla vita. Emblematici sono i seguenti passaggi: Un mese fa Kiriko ha avuto un improvviso attacco di cuore mentre era riversa sul mio petto. Ha vomitato un poco. Si è premuta un fazzoletto sulla bocca e ha detto: “Vattene presto”. Al termine della notte Kiriko era morta - Il giorno seguente Kazuo ricevette una cartolina da un amico che non vedeva da mesi. Una sola frase: “Sono in vita. Ossequi.” Due o tre giorni dopo ricevette una telefonata dalla madre. Si era suicidato. Kazuo non provò alcuna tristezza. Meditava forse il suicidio quando mi ha scritto “sono in vita”? Una cartolina-alibi. Oppure mi ha semplicemente comunicato una cosa reale. Capiva che sarebbe stata una pura illusione supporre che il mondo sarebbe crollato. Gli altri sapevano come sopravvivere in eterno. A chi ne era perfettamente consapevole non rimaneva che suicidarsi. – Perché mai si era ucciso un giovane così promettente? Promettente era solo il presuntuoso giudizio di un estraneo. Esistono persone che si uccidono proprio a causa del loro avvenire promettente.
Una stanza chiusa a chiave è prevalentemente un racconto sulla solitudine: uno dei principali problemi delle metropoli non solo in Giappone. Dicono che la solitudine sia bella, perché ti permette di riflettere e di cercare interiormente le risposte che si vanno cercando. La solitudine in realtà può essere devastante. Anche solo pochi giorni può portare al completo disfacimento dell'essere umano. Era sabato e pioveva. Aveva portato da casa la colazione pensando che forse sarebbe andato al cinema, quel pomeriggio, invece di rincasare subito. Consumò la colazione. Non desiderava vedere alcun film in particolare. Prese l’ombrello e uscì. La pioggia invernale gli penetrava nelle ossa. Sentì di avere i calzini bagnati. Non aveva voglia di rincasare. Tornò sui propri passi ed entrò in una sala da tè davanti alla stazione. Un vecchio con indosso un cappotto gli si sedette accanto e incominciò ad intonare un aria di Nō. Il canto del vecchio era intollerabilmente fastidioso. Presto anch’io giungerò all’età in cui ci si diletta infastidento il prossimo. Tutte le persone sane alleviano in tal modo la solitudine. Dalla finestra uomini in cappotto che andavano e venivano sotto la pioggia. Volti ignoti. Chissà perché il mondo era pieno di sconosciuti. Quando Mishima si suicidò, il 25 novembre del 1970, non era solo. Con lui si tolse la vita anche lo studente Morita, che insieme al grande scrittore e agli altri membri dell’Associazione dello scudo avevano preparato con meticolosità maniacale l’estremo gesto. Yukio Mishima occupò l'ufficio del generale Mashita dell'esercito di autodifesa. Dal balcone, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, oltre che a giornali e televisioni, tenne il suo ultimo discorso: l'esaltazione dello spirito del Giappone. Al termine del discorso si squarciò il ventre seguendo alla lettera il rituale giapponese del Seppuku.
In copertina trovo scritto: “Edizione speciale l’Unita multimedia”. Credo sia un libro distribuito assieme ad un quotidiano a costo zero o comunque per poche lire. Il prezzo sul retro è stato cancellato. Forse un regalo? Chissà. Diciotto anni sono tanti per ricordare. Ad ogni modo l’occasione di un viaggio lo ha spinto in valigia. Si tratta di un breve racconto, consumabile nel paio d’ore in cui sarei stato costretto nello scomodo posto centrale di un volo Milano-Berlino. Yukio Mishima (三島由紀夫), pseudonimo di Hiraoka Kimitake (平岡公威) è tuttora uno tra gli autori giapponesi più letti. Complessivamente ha realizzato un totale di 400 opere letterarie che variano tra i generi più disparati: dal romanzo a forme di teatro tradizionale giapponese fino al saggio.
Mishima (1924-1970) è uno dei pochi autori giapponesi che hanno riscosso immediato successo all'estero (più che in Giappone stesso, dove la critica lo ha più volte stroncato). Le sue numerosissime opere spaziano dal romanzo alle forme rimodernizzate e riadattate di teatro tradizionale giapponese Kabuki e Nō, quest'ultimo rivisitato in chiave moderna. Una stanza chiusa a chiave (Kagi no kakura heya) risale al 1954, quando Mishima aveva già ottenuto il riconoscimento di critica e pubblico grazie ad opere precedenti quali “Confessioni di una maschera” (Kamen no Kokuhaku).
Leggo nelle note in quarta di copertina: “Il mondo di Kazuo crollava, i significati si disperdevano. Rimaneva soltanto la carne. Lacerare, possedere la tenera carne di una bambina di nove anni in una camera chiusa a chiave, silenziosa e segreta come la tomba in cui si estenuavano nelle voluttà gli incestuosi fratelli di Le mille e una notte: è l’estrema trasgressione che il caotico, edonistico Giappone del dopoguerra pareva consentire al giovane protagonista del racconto".
La storia di un pedofilo, quindi? La tentazione di abbandonare la lettura è forte. Se c'è qualcosa che mi ha sempre dato fastidio è la violenza sui bambini. Perché mai dovrei leggere un racconto dove il protagonista è uno schifoso. D'altra parte è anche vero che conoscere il male è una maniera per esorcizzarlo e, comunque, questo è l'unico libro che ho in valigia. Mi tappo il naso e vedo avanti. Per fortuna, dirò a posteriori. Si tratta di un piccolo gioiellino.
Quello che apparentemente sembra essere un carnefice, si rivelerà essere una vittima. Vittima della bambina stessa, con la quale instaura una relazione morbosa, e della sua bizzarra tata. Vittima della società moderna, in un Giappone i cui valori tradizionali sono in dissoluzione (argomento caro a Mishima) che lo costringe ad un lavoro impiegatizio presso il ministero degli affari interni, tra personaggi ai quali poco importa delle tragedie interiori del nostro protagonista. Vittima di una società che da poco valore alla vita. Emblematici sono i seguenti passaggi: Un mese fa Kiriko ha avuto un improvviso attacco di cuore mentre era riversa sul mio petto. Ha vomitato un poco. Si è premuta un fazzoletto sulla bocca e ha detto: “Vattene presto”. Al termine della notte Kiriko era morta - Il giorno seguente Kazuo ricevette una cartolina da un amico che non vedeva da mesi. Una sola frase: “Sono in vita. Ossequi.” Due o tre giorni dopo ricevette una telefonata dalla madre. Si era suicidato. Kazuo non provò alcuna tristezza. Meditava forse il suicidio quando mi ha scritto “sono in vita”? Una cartolina-alibi. Oppure mi ha semplicemente comunicato una cosa reale. Capiva che sarebbe stata una pura illusione supporre che il mondo sarebbe crollato. Gli altri sapevano come sopravvivere in eterno. A chi ne era perfettamente consapevole non rimaneva che suicidarsi. – Perché mai si era ucciso un giovane così promettente? Promettente era solo il presuntuoso giudizio di un estraneo. Esistono persone che si uccidono proprio a causa del loro avvenire promettente.
Una stanza chiusa a chiave è prevalentemente un racconto sulla solitudine: uno dei principali problemi delle metropoli non solo in Giappone. Dicono che la solitudine sia bella, perché ti permette di riflettere e di cercare interiormente le risposte che si vanno cercando. La solitudine in realtà può essere devastante. Anche solo pochi giorni può portare al completo disfacimento dell'essere umano. Era sabato e pioveva. Aveva portato da casa la colazione pensando che forse sarebbe andato al cinema, quel pomeriggio, invece di rincasare subito. Consumò la colazione. Non desiderava vedere alcun film in particolare. Prese l’ombrello e uscì. La pioggia invernale gli penetrava nelle ossa. Sentì di avere i calzini bagnati. Non aveva voglia di rincasare. Tornò sui propri passi ed entrò in una sala da tè davanti alla stazione. Un vecchio con indosso un cappotto gli si sedette accanto e incominciò ad intonare un aria di Nō. Il canto del vecchio era intollerabilmente fastidioso. Presto anch’io giungerò all’età in cui ci si diletta infastidento il prossimo. Tutte le persone sane alleviano in tal modo la solitudine. Dalla finestra uomini in cappotto che andavano e venivano sotto la pioggia. Volti ignoti. Chissà perché il mondo era pieno di sconosciuti. Quando Mishima si suicidò, il 25 novembre del 1970, non era solo. Con lui si tolse la vita anche lo studente Morita, che insieme al grande scrittore e agli altri membri dell’Associazione dello scudo avevano preparato con meticolosità maniacale l’estremo gesto. Yukio Mishima occupò l'ufficio del generale Mashita dell'esercito di autodifesa. Dal balcone, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, oltre che a giornali e televisioni, tenne il suo ultimo discorso: l'esaltazione dello spirito del Giappone. Al termine del discorso si squarciò il ventre seguendo alla lettera il rituale giapponese del Seppuku.
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