domenica 10 febbraio 2013

Kuchisake-Onna

Le ombre della sera erano ormai calate da tempo sulle strade di Shinjuku, ma l’uomo pareva non accorgersene. Da tanto ormai era abituato a non fare troppo caso all’alternarsi del giorno e della notte. Da quando era stato assunto come responsabile della sicurezza della Tomahashi Electronics aveva dovuto rinunciare a tutto il suo tempo libero. Il suo lavoro non gli permetteva più quei dolci momenti di relax che aveva vagamente assaporato negli anni dell’università, e dei quali conservava ormai solo un malinconico ricordo. Erano quasi le undici di sera quando l’uomo varcò la soglia del grande edificio e si diresse pensieroso verso la vicina fermata dell’autobus. Nel giro di una quindicina di minuti sarebbe rientrato a casa, non prima naturalmente di aver effettuato la sua solita sosta presso la drogheria “24-ore” all’angolo, dove avrebbe acquistato per pochi Yen una confezione di pollo fritto. Quella sarebbe stata la sua cena, uguale a quella del giorno prima e, quasi certamente, uguale a quella del giorno dopo. Non c’era tempo per nulla di più elaborato: la mattina successiva avrebbe dovuto essere al suo posto alle otto in punto. Non ci sarebbe stato nessuno ad attenderlo a casa quella sera, così come tutte le sere da quando aveva deciso di trasferirsi a Tokyo alla ricerca di quella indipendenza economica che, se non altro, gli permetteva di sollevare i propri anziani genitori di un peso non indifferente. Aveva anche avuto una ragazza qualche anno prima, ai tempi della laurea, ma si sa come vanno a finire queste cose…  oggi ormai non ci pensava quasi più.
L’idea di poter conoscere una ragazza e di costruire, giorno per giorno, qualcosa di solido era totalmente fantasiosa. Un giovane della sua età aveva per prima cosa la responsabilità di costruirsi una posizione sociale e questo, lo sapeva bene, poteva farlo solo attraverso il duro lavoro. Ad una compagna ci avrebbe pensato tra qualche anno, quando i suoi colleghi avrebbero cominciato a farsi delle domande e, in un modo o nell’altro, sarebbe stato costretto a “regolarizzare” il suo status sociale attraverso un matrimonio. Si sarebbe rivolto ad un’agenzia specializzata: avrebbero pensato a tutto loro. Per il momento gli bastava sognare le ragazze delle riviste, sfogliate senza troppa convinzione all’interno del drugstore. Gli piacevano in realtà le ragazze semplici, tutto il contrario di quelle tizie ritratte in pose ammiccanti su quelle luccicanti riviste. Ecco, magari una come quella ragazza con l’impermeabile grigio proprio di fronte a lui, dai lunghi capelli corvini, che stava già aspettando l’autobus alla fermata prima del suo arrivo. L’uomo guardò l’orologio: l’autobus sarebbe passato a momenti. Si guardò in giro, fece due passi avanti e indietro sotto la pensilina della fermata e, con l’occasione, cercò di guardare meglio in volto la sua compagna di attesa: la ragazza indossava una mascherina chirurgica che le celava quasi completamente il volto. I suoi occhi però erano bellissimi, almeno di quello poteva dirsi certo. La ragazza gli lanciò uno sguardo algido, poi abbassò gli occhi e si strinse nell’impermeabile. “Serata fredda, non è vero?” disse l’uomo, ma non ottenne risposta e così lasciò perdere. L’autobus finalmente arrivò. L’uomo salì ed andò a sedersi in fondo. La ragazza salì immediatamente dopo e ne percepì per un attimo la presenza alle sue spalle. Dopo qualche istante di esitazione, anch’ella andò a sedersi in fondo al veicolo, proprio di fronte a lui. I loro occhi si incrociarono più volte nel corso del breve tragitto verso casa.
Doveva proprio essere molto bella dietro quella mascherina. Più di una volta ebbe la tentazione di rivolgere di nuovo la parola, ma si trattenne. C’era qualcosa di dannatamente attraente in quello sguardo. Quando le luci della sera le illuminavano il volto attraverso i finestrini dell’autobus, poteva quasi percepire un senso di tristezza nell’animo della sua compagna di viaggio. Era solo una sua impressione o la ragazza stava cercando dentro di sé il coraggio di rompere il silenzio? Forse anche lei lo trovava in qualche modo attraente. Forse.
Quel gioco di sguardi venne interrotto bruscamente dal conducente che segnalava la fine della corsa e invitava i presenti a lasciare l’autobus. L’uomo si riscosse da quella specie di trance ipnotica nella quale lo avevano costretto i propri pensieri, scese dall’autobus e si incamminò verso casa. Aveva completamente dimenticato la propria cena. La sua attenzione era completamente assorbita dal rumore di passi femminili alle sue spalle. La ragazza abitava forse nel suo stesso quartiere? O lo stava seguendo di proposito? E a quale scopo? Non capiva, quella sciocca, che avrebbe potuto essere pericoloso per lei pedinare in quel modo uno sconosciuto? A pochi passi dalla sua abitazione l’uomo si voltò. Lei era lì, proprio di fronte a lui. Lo guardava. Si guardarono. Il tempo sembrò congelarsi. Fu lei infine a rompere il silenzio. Mosse un passo verso di lui e disse: “Mi trovi bella?”. L’uomo probabilmente arrossì, ma il buio tutt’attorno fece in modo che ella non lo ebbe a notare. “Sì”, balbettò lui. La ragazza avvicinò lentamente la mano destra all’orecchio e, con un gesto delicato, rilasciò l’elastico che fino a quel momento aveva tenuto al suo posto la mascherina. “E adesso? Mi trovi ancora bella?”. La mostruosità che era stata appena rivelata era insopportabile. L’uomo urlò, indietreggiò di qualche passo e cadde a terra. L’ultima cosa che vide fu lo scintillio di un enorme paio di forbici che calava sopra di lui. Poi un dolore indicibile. Poi più nulla.

Se vi doveste trovare in Giappone a camminare, una sera, lungo una strada poco frequentata, e incontraste una donna con il volto celato da una mascherina che vi chiedesse "Sono bella?", state attenti a come rispondete perché, con ogni probabilità, avrete incontrato una Kuchisake-Onna!
La Kuchisake-Onna (口裂け-女, donna dalla bocca spaccata), è la protagonista di una delle più famose ed inquietanti leggende metropolitane giapponesi… ma sono in molti laggiù a giurare che non si tratti solo di una leggenda.
Tutto cominciò nell’estate del 1979, quando il paese fu sconvolto da una terribile sequenza di omicidi: i cadaveri delle vittime, quasi esclusivamente bambini in età scolastica, presentavano tutti dei profondi tagli sul volto. Evidentemente il serial killer aveva un preciso motivo per agire in questo modo, sfigurando le vittime, e fu proprio su questa pista che si lanciarono subito gli inquirenti. Dopo diverse settimane di ricerche fu ritenuta colpevole delle uccisioni una giovane donna che, si disse, a seguito di un intervento di chirurgia plastica finito male aveva il volto sfigurato da un orrendo sfregio che andava da un orecchio all'altro. La sua colpevolezza non fu tuttavia mai chiarita: la donna morì, investita da un’auto, pochi istanti prima di venire arrestata. Gli omicidi cessarono ma ancora oggi, di tanto in tanto, l’ombra della Kuchisake-Onna risorge dall’oblio nei racconti degli studenti più giovani: si dice che la Kuchisake-Onna sia solita vagare nelle notti di nebbia con il volto coperto da una mascherina e che, una volta individuata la propria vittima, le si avvicini e le rivolga una domanda secca: "Sono bella?". Visto che si tratta effettivamente di una bella donna, la risposta del predestinato non potrà che essere positiva. La donna a quel punto si toglierà la mascherina, rivelando così l'orrendo sfregio, e ripeterà la domanda: "Mi trovi ancora bella?" Una risposta negativa sarà la scelta più sbagliata: la Kuchisake-Onna estrarrà un enorme paio di forbici e il malcapitato verrà ucciso sul posto. Una risposta positiva regalerà alla vittima qualche ora di vita: la Kuchisake-Onna si allontanerà, apparentemente soddisfatta, per poi riapparire improvvisamente alle spalle del prescelto non appena quest’ultimo sarà in procinto di varcare la soglia della propria casa. Il tragico destino verrà quindi soltanto rimandato di poco, ma alla fine sarà identico.

Naturalmente, trattandosi di una leggenda metropolitana, nel corso degli anni hanno cominciato a diffondersi i più disparati suggerimenti per coloro che, malauguratamente, si dovessero trovare a fare i conti con la Kuchisake-Onna. Visto che rispondere “sì” o “no” alla seconda domanda porta invariabilmente alla morte, la via d’uscita più ovvia è quella di impedire che questa venga posta. Quindi, cari lettori, se foste in Giappone ed una sconosciuta vi dovesse chiedere cosa ne pensate del suo aspetto... beh, mettete a freno le vostre fantasie e fuggite subito a gambe levate! E voi, care lettrici, non crediate di essere al sicuro! La Kuchisake-Onna può fermare anche voi e, se avete anche solo per un attimo sottovalutato questo mio post, zac zac, vi troverete trasformate voi stesse in novelle Kuchisake-Onna assetate di vendetta. Sì, perché secondo quella che sembra essere la regola imprescindibile attorno a cui ruotano tutte le storie giapponesi del terrore, è proprio la vendetta che muove le gesta della Kuchisake-Onna da ormai un migliaio di anni. La leggenda affonda infatti le sue radici addirittura nel periodo Heian (794 - 1185 d.C.): a quel tempo c'era una giovane donna, molto bella e molto vanitosa, sposata con un samurai, che per vincere la noia del suo matrimonio usava concedersi ai pellegrini di passaggio. Scoperto il tradimento e  accecato dalla gelosia, il samurai estrasse la sua katana e sfregiò la donna aprendole una ferita che andava, passando sulla bocca, da un orecchio all'altro. A quel punto il samurai disse alla moglie : "Adesso chi penserà che tu sia ancora bella?". Da allora lo spirito della donna è alla continua ricerca di vittime sulle quali scatenare la propria vendetta.


9 commenti:

  1. La leggenda è molto interessante ed è un post di pubblica utilità per chi si trova ad andare in Giappone...
    L'ultima foto è inquietante, però... l'hai scelta per traumatizzare me, confessa!

    P.S. Grazie per aver aderito a "Una parola al mese".

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    1. Ebbene si, lo confesso: sono una carogna. Ma prova a pensare a questa cosa dal punto di vista terapeutico: un giorno sarai talmente assuefatta dai miei post che li potrai finalmente affrontare in totale serenità.

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    2. No, non lo sei. Tranquillo! Ma esiste davvero qualcuno che affronta questi post in totale serenità? Massima stima!

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  2. Ultimamente c'è un gran interesse per le leggende e il folklore nipponico, questa è una delle più inquietanti.
    Adesso starò ben attento a tutte le ragazze che incontrerò sopra gli autobus.

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    1. Lascia stare gli autobus. Concentrati sulle tizie con la mascherina.

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  3. Se pensiamo che i poveri giapponesi (ma anche altri popoli asiatici) sono quasi costretti a indossare quelle mascherine, per evitare di respirare l'aria mefitica delle città, è ancora più inquietante. Ora, se mai deciderò di recarmi in Giappone, farò attenzione alle ragazze che tengono alla propria salute!

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    1. In realtà l’inquinamento non c’entra nulla: quelle che i giapponesi indossano non sono mascherine antismog, bensì delle vere e proprie mascherine chirurgiche.
      Anch’io come te ero convinto che i giapponesi le usassero per proteggersi dall’inquinamento, poi sono stato in vacanza laggiù e me lo hanno spiegato.
      Il loro scopo è esattamente opposto: le mascherine vengono indossate da tutti coloro che hanno un raffreddore o un’influenza, in segno di rispetto verso gli altri, per evitare di diffondere germi e bacilli.

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    2. Non si finisce mai di imparare. Grazie per la spiegazione!
      Molto premuroso da parte loro, fra l'altro.

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  4. Ciao lo sfregio mi ha fatto ricordare la vicenda di Elizabeth Short , la Dalia nera.
    Complimenti per l'articolo .
    Son sempre affascinanti e inquietanti queste storie.
    Massimiliano

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