mercoledì 6 agosto 2014

Rapsodia in agosto

"Nelle stesse circostanze - e sottolineo «le stesse circostanze» sì, lo farei di nuovo. Eravamo in guerra da cinque anni. Stavamo combattendo un nemico che aveva la fama di non arrendersi mai, di non accettare la sconfitta. È davvero difficile parlare di moralità e di guerra nella stessa frase. In una guerra si compiono tante azioni discutibili. Dov'era la moralità nel bombardamento di Coventry, o nel bombardamento di Dresda, o nella marcia della morte di Bataan, o nel massacro di Nanchino, o nel bombardamento di Pearl Harbor? Credo che quando c’è una guerra, una nazione deve avere il coraggio di fare ciò che è in suo potere per vincerla con una minima perdita di vite umane". Colui che pronunciò questa frase, il 93enne Theodore Van Kirk, è morto una settimana fa, il 28 luglio. Era l’ultimo superstite dell’equipaggio del famigerato B-29-45-MO Superfortress, meglio conosciuto come “Enola Gay”, che nel 1945 era in forza al 393º squadrone bombardieri, 509º Gruppo Composito dell'USAF.
Il bombardiere era decollato alle 03:20 del 6 agosto da Tinian, un isola nell'arcipelago delle Isole Marianne, e si era diretto a nord, puntando verso una cittadina del sud ovest del Giappone, placidamente adagiata sulle sponde del mare interno. Era un caldo e soleggiato mattino d’estate e nessuno tra i 300.000 abitanti di Hiroshima poteva prevedere quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Alle 08:14 e 45 secondi, l'Enola Gay sganciò un ordigno atomico da 13 chilotoni sul centro di Hiroshima: dopo 45 secondi, a circa 600 metri dal suolo, la bomba deflagrò e 80.000 persone, le più fortunate, vennero vaporizzate all’istante. Altre 100.000 morirono nei mesi successivi. Si calcola che il totale delle vittime, incluse le persone i cui corpi verranno consumati dalle radiazioni nel corso degli anni, saranno infine oltre 300.000. A questo numero vanno sommate le vittime dell’attacco di Nagasaki, avvenuto tre giorni più tardi, che fu però meno devastante in quanto l’ordigno, sebbene di potenza superiore (25 chilotoni), cadde a 4 km dalla città e il suo effetto venne in parte attutito dalle colline circostanti.

Non sono qui per commentare le parole che Theodore Van Kirk usò nell’intervista che rilasciò al New York Times nel 1995 e che ho riportato in apertura. Non sono qui per giudicare né tantomeno per condannare le parole del colonnello Tibbets, che fu al comando dell’Enola Gay, il quale a domanda rispose: «No, nessun rimorso. Era un ordine, lo rifarei. Non sono orgoglioso di avere ucciso centomila persone, ma la notte dormo lo stesso. Non esiste nessuna dannata guerra al mondo dove non muoiano persone incolpevoli”. Così come non sono qui per assolvere un altro protagonista della tragedia, Claude Eatherly, il comandante del B-29 di appoggio, incaricato di verificare se le condizioni meteorologiche permettessero il rilascio della bomba: egli chiese di essere congedato, rifiutò la pensione di guerra e trascorse il resto della sua vita perseguitato dagli incubi e dal rimorso; tentò più volte il suicidio e finì i suoi giorni internato (su sua stessa richiesta) nell’ospedale psichiatrico di Waco, nel Texas.
Non sono qui per giudicare, ma sono qui per ricordare. Sì, perché oggi è il giorno della memoria, il giorno in cui occorre spendere almeno un minuto di silenzio per ricordare come in una frazione di secondo siano stati annientati centinaia di migliaia di esseri umani, spazzati via dal più folle strumento di morte che mai sia stato concepito.

Anche Akira Kurosawa (黒澤 明), una delle personalità cinematografiche più significative del XX secolo, a modo suo scelse di non giudicare quando, nel 1991, presentò fuori concorso al 44’ Festival di Cannes il suo penultimo film “Rapsodia in agosto” (八月の狂詩曲, Hachigatsu no kyōshikyoku), tratto da un soggetto di Kiyoko Murata, un film toccante che tratta temi importanti come quelli della memoria e del perdono. Perché se qualcuno deve essere giudicato, condannato, perdonato, a mio parere, quel qualcuno non può essere il singolo. E non può forse nemmeno essere il gruppo. E forse nemmeno un’intera nazione. Com’è possibile giudicare, condannare o perdonare? Alzi la mano chi è convinto di aver capito tutto!
Rapsodia in agosto” è un film straordinario anche per questo. Ed è un peccato che da molti sia ritenuto una delle opere meno riuscite di Kurosawa, perché anche solo quel finale, con l’anziana Hibakusha (così vengono chiamati i sopravvissuti alla bomba) che affronta il vento e la pioggia e con l’ombrello che si rovescia, è indiscutibilmente uno dei momenti più intensi del cinema di tutti i tempi. Ed è un peccato che da molti sia stato frainteso, perché il messaggio di Kurosawa altro non è che un messaggio di pace.

Tecnicamente, ma questo è solo un dettaglio, “Rapsodia in Agosto” nasce sulle ceneri della seconda bomba atomica, quella che rase al suolo Nagasaki il 9 agosto 1945. Si narrano le vicende di Kane, un’anziana sopravvissuta alla bomba, e dei suoi nipotini. Approssimandosi la ricorrenza della tragedia, nella quale Kane perse il marito, noi spettatori ci ritroviamo ad immaginare con lei, attraverso i suoi racconti, quello che successe quel giorno. "Eravamo qui, in questo punto, quando suonarono le sirene. Io e Suzushiki allora guardammo lassù, all’orizzonte, oltre le montagne, in direzione di Nagasaki, ma non si vedeva niente. Tutt’a un tratto il cielo si squarciò in due. Ci fu un bagliore accecante e un occhio apparve nel cielo. Un occhio gigantesco, che ci guardò con una cattiveria che non si era mai vista. Noi guardavamo l’occhio come annichiliti. E poi ci fu un grande tuono e la terra si squassò. Suzushiki non riusciva più a muoversi, fissava il cielo con gli occhi spalancati pieni di terrore. E da quel giorno fu come posseduto dall’occhio e non fece altro che disegnarlo, come se non riuscisse più a dimenticare. E neanch’io riesco a dimenticare. Quanta cattiveria in quell’occhio".

L’anziana Kane scopre di avere un fratello maggiore di cui aveva sempre ignorato l’esistenza (o di cui forse si era semplicemente dimenticata). Un fratello che nei lontani anni ’20 si era trasferito nelle Hawaii dove, una volta naturalizzato americano, si era creato una famiglia e una fortuna. Un fratello che, sentendo ormai approssimarsi la morte, chiede ai propri nipoti di provare a contattare la perduta sorella, unica superstite di undici fratelli, per poterla abbracciare un’ultima volta. I sentimenti di Kane, di fronte alla possibilità di prendere un aereo e volare in America, appaiono da subito contrastanti. Il dubbio la rode. Cosa fare?
Davvero struggente il dialogo che avviene tra i suoi quatto giovanissimi nipoti: “Alle Hawaii la nonna non ci va. E perché? Perché lei li odia gli Stati Uniti. E ha ragione. È tutta colpa loro se il nonno è morto bruciato nella sua scuola. Quello che dice è vero. Noi la guerra non l’abbiamo conosciuta, non ne sappiamo niente. La storia della bomba atomica ce l’hanno raccontata sì, ma come una favola per far paura ai bambini. Quello che prova la gente che è sopravvissuta a quell’orrore non possiamo capirlo. Non ci proviamo neanche.” Lo avevo scritto prima, ricordate? Com’è possibile giudicare, condannare o perdonare? Il dialogo tra i quattro ragazzini è davvero eccezionale se solo si pensa alla loro giovane età. Ragazzini che dimostreranno più volte, nel corso del film, di essere la nuova speranza per il Giappone, quella speranza che si è spenta con la generazione della bomba atomica e che è stata negata alla generazione di mezzo.

Kurosawa non risparmia una violenta critica sociale ai suoi connazionali e dipinge nel peggiore dei modi la suddetta “generazione di mezzo”, quella rappresentata dai figli di Kane, che sono in un certo senso molto meno “adulti” dei quattro ragazzini loro figli. Attraverso la loro condanna, Kurosawa condanna tutti i cambiamenti sociali e di costume che hanno caratterizzato il Giappone del dopoguerra, condanna il cinismo consumistico dei nuovi giapponesi, che ha contribuito a cancellare la dignità e i valori del Giappone tradizionale. Ma questa visione non preclude un’apertura verso il mondo esterno, non è d’ostacolo al dialogo con lo “straniero”. In poche parole quello di Kurosawa non è un discorso puramente nazionalista, come si potrebbe essere portati a credere (e come si è ritenuto fosse). Il significato vero del film, quello più profondo, poetico, è la condanna della guerra stessa. Non è una condanna agli uomini o alle nazioni che l’hanno combattuta, qualunque fossero le loro ragioni o le loro intenzioni, perché, ricordiamocelo, la ragione non è mai tutta da una parte sola. Quello che Kurosawa fa dire all’anziana Kane rappresenta uno dei momenti più poetici dell’intero film: “Certo, è vero: l’America io l’ho odiata veramente, ma è successo tanti anni fa. Sono già 45 anni ormai che è morto il nonno. Per l’America non provo più nessun sentimento adesso, né in un senso né nell’altro. Perché la colpa è tutta della guerra, non c’è niente di peggio della guerra. È vero: sono morti centinaia di migliaia di giapponesi, ma sono morti anche tanti americani…..” e, più avanti, “Hanno detto che la bomba l’hanno lanciata per mettere fine alla guerra. Oramai la guerra è finita da quasi 50 anni ma la bomba continua a fare la sua guerra. Non passa giorno che non uccida ancora. Tutto questo è solo colpa della guerra.”

Eccola qui, devastante nella sua semplicità, la vera chiave di volta. “La bomba continua a fare la sua guerra. Non passa giorno che non uccida ancora.” Credo sia davvero tutto qui. L’odio non va esasperato, va combattuto. E dove sta l’odio se non nell’ignoranza? “Credevo di sapere, ma solo ora, vedendo questa gente, so cosa è stato”, dice il nipote americano di fronte ad una realtà per lui scomoda. Com’è quindi possibile giudicare, condannare o perdonare? Giudicare, condannare o perdonare equivale a permettere alla bomba di continuare fare la sua guerra anche oggi. Meditate, gente.

Non so quanti tra di voi se ne sono accorti, ma è da una settimana abbondante che alcuni bloggers stanno inviando un messaggio antimilitarista tutt’altro che subliminale. In un periodo in cui gli equilibri mondiali sono particolarmente instabili (vedi la crisi ucraina o l’inasprimento del conflitto arabo-israeliano) si cerca, in questo microscopico angolino del web, di coinvolgere nella riflessione lettori assidui del blog e internauti occasionali.
L’iniziativa è partita lo scorso 28 luglio, in concomitanza con il centenario dello scoppio della grande guerra, e termina oggi, 6 agosto, anniversario della bomba atomica su Hiroshima. Un post al giorno, un film al giorno: Il mestiere delle armi, Good Morning Vietnam, Starship Troopers, La grande guerra, Full Metal Jacket, Principessa Mononoke, Spies of Warszaw, Platoon, E Johnny prese il fucile e La guerra lampo dei fratelli Marx.

16 commenti:

  1. Purtroppo non conoscevo questo film e chino il capo davanti a una simile ignoranza. E' anche vero che pellicole simili mi lasciano distrutta, quindi tendo ad evitare ma è come nascondere la testa sotto la sabbia davanti alla bruttura del mondo... Grazie quindi per il recupero!

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    1. Questo film è un bellissimo messaggio di speranza. Non ti lascerà distrutta, vedrai.

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  2. Non lo conoscevo questo.
    Sicuramente non è il mio genere, non riesco a guardare film (o a leggere romanzi, fumetti ecc) del genere.
    Però sicuramente Kurosawa sa il fatto suo e non stento a credere alle tue parole: dev'essere un film delicato nella sua forza.

    Moz-

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    1. Un film delicato nella sua forza... Sì, perché no?

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  3. Grazie davvero per aver partecipato all'inziativa, oltrtutto con splendida recensione di un grande classico: 'War no more' (che, con grande soddisfazione, ha coinvolto diversi altre bloggers oltre a quelli della ns 'combriccola') ha abbracciato due ricorrenze che hanno lasciato il segno nella storia moderna: l'anniversario dell'inizio della Grande Guerra (28/7) e quello della bomba su Hiroshima (6/8). Mi auguro fortemente che i film che abbiamo recensito abbiano fatto riflettere e prendere coscienza sull'insensatezza di tutti i conflitti, specialmente alla luce delle tragiche cronache dei giorni nostri. Come dico sempre, i film non cambiano la vita (nè tantomeno la storia) ma possono contribuire a rendere il mondo migliore. Noi, nel nostro piccolo, ci abbiamo provato...

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    1. Non devi ringraziarmi. E' stato un piacere partecipare a questo speciale "No More War". Se i film di cui abbiamo parlato hanno fatto riflettere? Forse. Diciamo che mi basterebbe che fosse successo anche a una sola persona...

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  4. Gran bella rece, un Kurosawa che mi manca, ma che devo recuperare!

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  5. Noto che stai dedicando molto spazio al Giappone nel blog ultimamente. E' stato un paese che ho amato molto nel lontano passato, anche se solo per la cultura tradizionale (manga e anime non mi hanno mai interessato minimamente). Ero anche in grado di parlare e scrivere la lingua a un livello di base e ho visto diversi film di Kurosawa (ma questo mi sembra di no). Però ha smesso di interessarmi sotto ogni aspetto, insieme a tutto il resto dell'Oriente, quando ho interrotto la pratica delle arti marziali.

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    1. Non solo "ultimamente". Al Giappone ho già dedicato una quarantina di post finora e sicuramente altri ne verranno. Le tradizioni, la cultura, ma anche cinema, fumetti e quant'altro sono una miniera irresistibile...

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  6. Ciò che fecero le due bombe su Hiroshima e Nagasaki è qualcosa che, lo posso garantire da docente, viene trattato ampiamente a scuola, nella speranza (purtroppo spesso disattesa) che serva a evitare altre vicende simili. Ma a fare la differenza, ad aiutare a comprendere, sono le storie dei tanti sopravvissuti, la testimonianza semplice e diretta delle loro perdite (parenti, amici, speranza). Occorrerebbero, forse, meno parole e più film come questo, che non conoscevo. Grazie della preziosa segnalazione.

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    1. Verissimo quello che dici. Le parole ormai contano poco o nulla, vista l'enorme quantità di messaggi con cui siamo inondati ogni giorno. Sperare di attirare l'attenzione di qualcuno narrando storie di una tragedia lontana è ormai una lotta ai mulini a vento. Ci siamo ormai assuefatti alle tragedie lontane come fossero dei brevi intermezzi tra le notizie di sport e le previsioni meteo.

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  7. Un'iniziativa che avete fatto bene a portare avanti. Le notizie di questi ultimi mesi non sono incoraggianti, e anche per questo contribuire a un pensiero di pace, per quanto ci è possibile, diventa quasi una necessità.

    Ammetto la mia ignoranza riguardo a questo film di Kurosawa, regista che onestamente conosco poco (non sono un'esperta di cinema). Tuttavia, dopo questa tua intensa presentazione, cercherò senz'altro di vederlo. E di portare avanti il messaggio di pace, nel mio piccolo.

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    1. Essere riuscito ad incuriosire anche poche persone è per me un gran successo. Grazie.

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  8. il film mi sembra recentemente di averlo visto in chiaro su class tv,per vedere gli effeti simili alla bomba avevo visto un documentario su Chernobyl,mi sembra che c'er un'altro film giapponese in bianco e nero sulla bomba che raccantava gli effetti della bomba su una ragazza.
    Ciao.

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    1. Ho un vago ricordo di un vecchio film giapponese in bianco e nero che potrebbe essere quello di cui tu parli. Il titolo non lo ricordo ma mi sembra fosse di taglio documentaristico....

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