D'altra parte qui si è sempre sposata la politica dello slow-blogging, e non c'è niente di meglio di una sana festa comandata per mettere in naftalina questa piccola attività.
venerdì 23 dicembre 2016
It's Christmas!
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Comunicazioni di servizio
D'altra parte qui si è sempre sposata la politica dello slow-blogging, e non c'è niente di meglio di una sana festa comandata per mettere in naftalina questa piccola attività.
venerdì 16 dicembre 2016
Una luce su Carcosa
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Howard Phillips Lovecraft,
James Blish,
Yellow Mythos
Ed Emshwiller illustration for A Case of Conscience, If (September 1953). |
In questo anno duemilasedici che volge
ormai al termine, provo a riprendere il filo del discorso lasciato interrotto
senza una spiegazione ormai un anno fa.
Non starò qui a sciorinare scuse o
giustificazioni, perché non c'è davvero nulla, se non la pigrizia, che mi abbia
impedito di trovare il modo per proseguire, in un tempo accettabile, il lungo
viaggio verso Carcosa e i suoi misteri. Riprendo oggi più o meno da dove ero
rimasto, sperando che non sia troppo difficile, almeno per chi era abituato a
seguire questa serie di post, affrontare lo stress da rientro.
Sì, ma dove ero rimasto? Beh, tecnicamente
non sarebbe del tutto esatto affermare che degli Yellow Mythos da queste parti
non si è più parlato da un anno. Quel breve racconto che avevo pubblicato nel
mese di luglio (Yuggoth, ndr), unitamente a quel breve pezzo sul lovecraftiano
"The Whisperer in Darkness", erano in un certo senso l'anticamera di
questo agognato ritorno. Perché dico questo? Perché ancora una volta è Howard
Phillips Lovecraft il passaggio attraverso il quale, abbastanza
prevedibilmente, decidiamo di a procedere. Ad accompagnarci in questa tappa del
nostro cammino un virgilio d'eccezione, uno degli autori di fantascienza più
controversi del ventesimo secolo: ladies and gentelmen, Mr. James Blish!
domenica 11 dicembre 2016
Orizzonti del reale (Pt.10)
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John Marco Allegro,
Orizzonti del reale,
Religione
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Mangiare un frutto significa far entrare in noi una cosa viva, bella, come noi nutrita e favorita dalla terra; significa consumare un sacrificio nel quale preferiamo noi stessi alla materia inanimata. (Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)
Nelle scorse puntate di Orizzonti del reale abbiamo esaminato alcune delle idee che costituiscono l'ossatura del saggio di John Marco Allegro “Il fungo sacro e la croce”. Prima di tutto, abbiamo discusso delle radici filosofiche della religione, secondo le quali la madre terra forniva sostentamento agli animali e all'uomo per intercessione del dio, e di come questo abbia dato origine al concetto di rimborso, una compensazione o sacrificio per il mantenimento dell’equilibrio della natura, che doveva essere altrettanto prezioso di ciò che alla natura era stato sottratto: il miglior frutto del raccolto, il più forte e prezioso dei figli. Non occorre che rammenti io quanto il Vecchio e il Nuovo Testamento ricorrano al tema del primogenito: Isacco, Samuele e lo stesso Gesù, solo per fare degli esempi, erano dei primogeniti. Ricordiamo anche che la decima piaga inviata da Dio sul paese d'Egitto secondo Esodo 12:29-30 era proprio la morte dei primogeniti, inclusi quelli del bestiame.
Abbiamo anche visto come l'uomo si servisse delle piante a scopo curativo e di come la farmacologia avesse permesso il nascere di una casta di medici-astrologi che, col tempo, dovettero trovare la maniera più opportuna per tramandare le proprie conoscenze relative ai nomi segreti e all'uso delle piante: questo probabilmente costituì il nucleo dei culti misterici che caratterizzarono l'antichità, i cui iniziati erano i discendenti dei medici-astrologi delle epoche precedenti.
martedì 6 dicembre 2016
Il violino dell’impiccato
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Alexandre Chatrian,
Émile Erckmann,
Letteratura,
Nero Press
È da diverso tempo ormai che la mia attenzione sembra essere attratta dai vecchi autori del fantastico vissuti nel diciannovesimo secolo. Credo che in primo luogo questa mia piccola mania potrebbe essere nata grazie a quella vecchia intervista che feci qui sul blog ad uno dei più curiosi cercatori di tesori dimenticati che mi sia mai capitato di incontrare; in secondo luogo, parte della responsabilità di quanto sta accadendo è da ricondursi alla (ri)scoperta di alcuni libri ritornati sorprendentemente alla luce spolverando le seconde file della mia fagocitante libreria, in terzo e ultimo luogo… beh, si direbbe che la mia curiosità venga continuamente stimolata dai numerosi titoli che, quasi come se ne fossi l’unico destinatario, continuano ad essere proposti da alcune realtà editoriali che sono solito tenere d’occhio, anche se non necessariamente per lo stesso motivo. È questo il caso della Nero Press che, solo poche settimane fa, ha voluto riesumare alcuni incredibili racconti usciti dalla fantasia di una coppia scrittori francesi di origine alsaziana che sinceramente non conoscevo: Emile Erckmann e Alexandre Chatrian.
Sebbene la mia lista di letture abbia ormai abbondantemente superato il punto di non ritorno (nel senso che non credo mi rimangano abbastanza anni da vivere per poter arrivare a leggere tutto ciò che vorrei), ho deciso di promuovere le 150 paginette di cui è composto “Il violino dell’impiccato e altri racconti" in posizione privilegiata e, stavolta davvero a tempo di record, sono qui a parlarne e a condividere con voi ciò che da questa lettura è scaturito. Proporrò due righe sugli Autori in calce, nel caso vi stiate chiedendo chi siano (righe che andrò per inciso a prelevare spudoratamente dal sito della casa editrice).
giovedì 1 dicembre 2016
Vasi comunicanti... artificiali
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Letteratura
Dennis Stock - James Dean walking in the rain in Times Square New York - February 1955 |
Dopo circa un mese dal mio post precedente dedicato ai paesaggi naturali, eccomi di ritorno per ritentare lo stesso con paesaggi di tutt'altro tipo. Mi ricollego naturalmente all'articolo "I quadri, i romanzi e... i paesaggi artificiali" pubblicato qualche settimana fa dalla collega blogger Cristina Rossi de "Il Manoscritto del Cavaliere". Come già ebbi modo di dire, si tratta di un progetto molto più vasto che ha come comune denominatore i "vasi comunicanti", ovvero quei luoghi (o non-luoghi) dove un unico elemento fa da filo conduttore fra altri completamente diversi. In questo caso si tratta di individuare prima di tutto un paesaggio artificiale (reale o immaginario che sia) e quindi associare ad esso un libro, (romanzo, racconto, prosa, poesia) in cui l'autore abbia sfruttato al meglio le caratteristiche di tale paesaggio, vuoi per averne esaltato l'atmosfera, vuoi per averci costretto indissolubilmente i suoi personaggi. Anche in questo caso il secondo passo è quello di identificare un'opera d'arte (un dipinto, ma non necessariamente) che, sulla base del gusto di chi scrive, possa rappresentare quel paesaggio.
Io ho scelto di prendere in esame, in rigoroso ordine di apparizione: la frontiera, la bottega, la biblioteca, il ponte e... l'ippodromo. Per quanto riguarda i dipinti, come al solito mi sono affidato più alle sensazioni che questi mi sanno evocare che alla loro fedeltà agli ambienti e alle descrizioni dei romanzi. Mi auguro comunque di non essere andato troppo fuori tema...
E la foto di Dennis Stock che ho inserito qui sopra? Tecnicamente non c'entra nulla: mi piaceva solo l'idea di un singolo scatto che richiamasse alla mente tutti e cinque i paesaggi artificiali da me utilizzati (provate a indovinare in che modo).
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