venerdì 23 dicembre 2016

It's Christmas!

Mi perdonerà il compianto Gene Wilder se ho voluto usare la sua immagine e parafrasare una delle battute più celebri (It's alive!) del suo film più geniale. Ma d'altra parte, sebbene si stiano approssimando giorni che ci vorrebbero felici e sereni, come non concedere un piccolo pensiero a chi in questo anno funesto ci ha lasciato. Questo duemilasedici ci ha portato via tanti di quei miti che non oso nemmeno tentare un riassunto, certo come sono di dimenticarne a decine. Ma non è tempo per le lacrime, oggi è il giorno dei saluti e degli auguri. Oggi è il giorno in cui il blog, come di consueto, abbandona i lettori alle loro gozzoviglie e si infila nella sua solita tana nella quale trascorrerà una quindicina di giorni (anche venti, via) di letargo assoluto.
D'altra parte qui si è sempre sposata la politica dello slow-blogging, e non c'è niente di meglio di una sana festa comandata per mettere in naftalina questa piccola attività.

venerdì 16 dicembre 2016

Una luce su Carcosa

Ed Emshwiller illustration for
A Case of Conscience, If (September 1953).
In questo anno duemilasedici che volge ormai al termine, provo a riprendere il filo del discorso lasciato interrotto senza una spiegazione ormai un anno fa. 
Non starò qui a sciorinare scuse o giustificazioni, perché non c'è davvero nulla, se non la pigrizia, che mi abbia impedito di trovare il modo per proseguire, in un tempo accettabile, il lungo viaggio verso Carcosa e i suoi misteri. Riprendo oggi più o meno da dove ero rimasto, sperando che non sia troppo difficile, almeno per chi era abituato a seguire questa serie di post, affrontare lo stress da rientro. 
Sì, ma dove ero rimasto? Beh, tecnicamente non sarebbe del tutto esatto affermare che degli Yellow Mythos da queste parti non si è più parlato da un anno. Quel breve racconto che avevo pubblicato nel mese di luglio (Yuggoth, ndr), unitamente a quel breve pezzo sul lovecraftiano "The Whisperer in Darkness", erano in un certo senso l'anticamera di questo agognato ritorno. Perché dico questo? Perché ancora una volta è Howard Phillips Lovecraft il passaggio attraverso il quale, abbastanza prevedibilmente, decidiamo di a procedere. Ad accompagnarci in questa tappa del nostro cammino un virgilio d'eccezione, uno degli autori di fantascienza più controversi del ventesimo secolo: ladies and gentelmen, Mr. James Blish!

domenica 11 dicembre 2016

Orizzonti del reale (Pt.10)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Mangiare un frutto significa far entrare in noi una cosa viva, bella, come noi nutrita e favorita dalla terra; significa consumare un sacrificio nel quale preferiamo noi stessi alla materia inanimata. (Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)

Nelle scorse puntate di Orizzonti del reale abbiamo esaminato alcune delle idee che costituiscono l'ossatura del saggio di John Marco AllegroIl fungo sacro e la croce”. Prima di tutto, abbiamo discusso delle radici filosofiche della religione, secondo le quali la madre terra forniva sostentamento agli animali e all'uomo per intercessione del dio, e di come questo abbia dato origine al concetto di rimborso, una compensazione o sacrificio per il mantenimento dell’equilibrio della natura, che doveva essere altrettanto prezioso di ciò che alla natura era stato sottratto: il miglior frutto del raccolto, il più forte e prezioso dei figli. Non occorre che rammenti io quanto il Vecchio e il Nuovo Testamento ricorrano al tema del primogenito: Isacco, Samuele e lo stesso Gesù, solo per fare degli esempi, erano dei primogeniti. Ricordiamo anche che la decima piaga inviata da Dio sul paese d'Egitto secondo Esodo 12:29-30 era proprio la morte dei primogeniti, inclusi quelli del bestiame.
Abbiamo anche visto come l'uomo si servisse delle piante a scopo curativo e di come la farmacologia avesse permesso il nascere di una casta di medici-astrologi che, col tempo, dovettero trovare la maniera più opportuna per tramandare le proprie conoscenze relative ai nomi segreti e all'uso delle piante: questo probabilmente costituì il nucleo dei culti misterici che caratterizzarono l'antichità, i cui iniziati erano i discendenti dei medici-astrologi delle epoche precedenti. 

martedì 6 dicembre 2016

Il violino dell’impiccato

È da diverso tempo ormai che la mia attenzione sembra essere attratta dai vecchi autori del fantastico vissuti nel diciannovesimo secolo. Credo che in primo luogo questa mia piccola mania potrebbe essere nata grazie a quella vecchia intervista che feci qui sul blog ad uno dei più curiosi cercatori di tesori dimenticati che mi sia mai capitato di incontrare; in secondo luogo, parte della responsabilità di quanto sta accadendo è da ricondursi alla (ri)scoperta di alcuni libri ritornati sorprendentemente alla luce spolverando le seconde file della mia fagocitante libreria, in terzo e ultimo luogo… beh, si direbbe che la mia curiosità venga continuamente stimolata dai numerosi titoli che, quasi come se ne fossi l’unico destinatario, continuano ad essere proposti da alcune realtà editoriali che sono solito tenere d’occhio, anche se non necessariamente per lo stesso motivo. È questo il caso della Nero Press che, solo poche settimane fa, ha voluto riesumare alcuni incredibili racconti usciti dalla fantasia di una coppia scrittori francesi di origine alsaziana che sinceramente non conoscevo: Emile Erckmann e Alexandre Chatrian
Sebbene la mia lista di letture abbia ormai abbondantemente superato il punto di non ritorno (nel senso che non credo mi rimangano abbastanza anni da vivere per poter arrivare a leggere tutto ciò che vorrei), ho deciso di promuovere le 150 paginette di cui è composto “Il violino dell’impiccato e altri racconti" in posizione privilegiata e, stavolta davvero a tempo di record, sono qui a parlarne e a condividere con voi ciò che da questa lettura è scaturito. Proporrò due righe sugli Autori in calce, nel caso vi stiate chiedendo chi siano (righe che andrò per inciso a prelevare spudoratamente dal sito della casa editrice).

giovedì 1 dicembre 2016

Vasi comunicanti... artificiali

Dennis Stock - James Dean walking in the rain
in Times Square New York - February 1955
Ogni personaggio che si rispetti vive in un mondo creato dal suo autore, che naturalmente prende spunto dalla realtà. Una realtà che spesso e volentieri può essere artificiale. Non solo mari, montagne, laghi e fiumi, ma anche città, edifici, ponti, lampioni, negozi e tutto ciò che possa essere definito artificiale, sia esso creato dalla mano dell'uomo, sia esso solo immaginato.
Dopo circa un mese dal mio post precedente dedicato ai paesaggi naturali, eccomi di ritorno per ritentare lo stesso con paesaggi di tutt'altro tipo. Mi ricollego naturalmente all'articolo "I quadri, i romanzi e... i paesaggi artificiali" pubblicato qualche settimana fa dalla collega blogger Cristina Rossi de "Il Manoscritto del Cavaliere". Come già ebbi modo di dire, si tratta di un progetto molto più vasto che ha come comune denominatore i "vasi comunicanti", ovvero quei luoghi (o non-luoghi) dove un unico elemento fa da filo conduttore fra altri completamente diversi. In questo caso si tratta di individuare prima di tutto un paesaggio artificiale (reale o immaginario che sia) e quindi associare ad esso un libro, (romanzo, racconto, prosa, poesia) in cui l'autore abbia sfruttato al meglio le caratteristiche di tale paesaggio, vuoi per averne esaltato l'atmosfera, vuoi per averci costretto indissolubilmente i suoi personaggi. Anche in questo caso il secondo passo è quello di identificare un'opera d'arte (un dipinto, ma non necessariamente) che, sulla base del gusto di chi scrive, possa rappresentare quel paesaggio.
Io ho scelto di prendere in esame, in rigoroso ordine di apparizione: la frontiera, la bottega, la biblioteca, il ponte e... l'ippodromo. Per quanto riguarda i dipinti, come al solito mi sono affidato più alle sensazioni che questi mi sanno evocare che alla loro fedeltà agli ambienti e alle descrizioni dei romanzi. Mi auguro comunque di non essere andato troppo fuori tema...
E la foto di Dennis Stock che ho inserito qui sopra? Tecnicamente non c'entra nulla: mi piaceva solo l'idea di un singolo scatto che richiamasse alla mente tutti e cinque i paesaggi artificiali da me utilizzati (provate a indovinare in che modo).
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