Andiamo oggi a concludere questo lungo percorso tra le pagine di quel singolare racconto di Lin Carter intitolato "The Winfield Heritage", un racconto che a quanto pare è talmente ricco di citazioni da rendere quasi impossibile, seppur prestando la massima attenzione a ogni singola parola, non lasciarsene sfuggire qualcuna. È invece possibile, al contrario, lasciarsi prendere la mano dall'euforia, e trovare citazioni anche laddove non ce ne sono, o dove sono solo involontarie. Lo stesso titolo del racconto potrebbe infatti richiamare il nome di battesimo del padre di HPL, che, come sappiamo, era proprio Winfield (Scott Lovecraft), scomparso prematuramente quando il nostro aveva solo otto anni. Ci sono però ancora delle importanti citazioni pseudobibliche che vale la pena menzionare; e queste non sono certamente da attribuire al caso.
Eravamo alle prese, come ricorderete se avete letto le parti precedenti (qui, qui e qui), con la perlustrazione della biblioteca appena ereditata dal nonno da parte del protagonista Winfield Phillips (abbiamo già detto che "Phillips" era il cognome della madre di HPL?).
Il successivo volume ad attirare la sua attenzione si intitola "Azatoth and other horrors". Si tratta di un volume piuttosto scarno contenente una serie di liriche redatte dal poeta sensitivo Edward Pickman Derby. Una prima edizione di sole 50 copie fu mandata in stampa, senza dare troppo nell'occhio, da una piccola casa editrice di Cambridge nel 1916; una successiva edizione di 1400 copie, in una copertina rigida impreziosita da disegni dell'artista Jackson Eckhardt, fu stampata nel 1919 dall'autore stesso con l'ausilio della Onyx Sphinx Press di Arkham e raggiunse una discreta diffusione, al punto che ancora oggi i più fortunati possono trovarne una copia in talune imprecisate librerie dell'usato. Secondo il racconto "The Terror from the Dephts" di Fritz Leiber, un ignaro tedesco avrebbe trovato il prezioso scritto all'interno di un cofanetto acquistato all'asta, assieme al quale venne alla luce anche una rarissima copia del "The Tunneler Below" di Georg Reuter Fisher (Ptolemy Press, Hollywood, California). Il testo di Derby fu poi finalmente ristampato nel 1945 dalla Vartan Bagdasarian’s Azathoth House, divenendo un oggetto di culto ad oggi valutato circa $500 sul mercato del collezionismo. I pochi che hanno avuto la fortuna di averlo fra le mani riferiscono che, oltre al poema che dà il titolo alla raccolta, il volume includerebbe tra l'altro “Nemesis Rising”, “Charnel House”, “To Asenath”, “Dead But Not Gone” e “Medusa’s Kiss”. Un quasi omonimo testo ("Forever Azatoth and other horrors") sarebbe poi stato scritto da Peter Cannon e pubblicato per la Tartarus Press nel 1999 (questo è un libro vero di un autore vero... controllate su Amazon).
Il poeta Edward Pickman Derby è ovviamente irreale e, lo avrete già capito, quel "Pickman" deriva ancora una volta dal personaggio descritto da Lovecraft in "The Pickman's Model" (Il modello di Pickman, 1927). La sua biografia ufficiale stabilisce i suoi natali ad Arkham nel 1890 e rivela che, dopo un percorso di studi piuttosto anonimo presso la Miskatonic University, il nostro si ritirò nella solitudine del Crowninshield Manor nei pressi di Innsmouth assieme alla moglie Asenath Waite. La loro storia è narrata nel dettaglio da Lovecraft nel celebre racconto "The Thing on the Doorstep" (La cosa sulla soglia, 1933).
Se per Fritz Leiber "Azatoth" faceva il paio col misterioso testo di un tale Fisher, per Lin Carter esso era accostato a un libro di liriche di Justin Geoffrey, amico di gioventù di Edward Pickman Derby e suo compagno di studi alla Miskatonic. Il titolo dello scarno volumetto venuto alla luce nella biblioteca dello zio di Winfield Phillips, per la cronaca, è "The People of Monolith".
Di questo testo immaginario parla ampiamente Robert E. Howard, che abbiamo già avuto modo di citare nella prima parte di questo lungo articolo. Nel suo racconto "The Black Stone" (La pietra nera, 1931), Howard scrive infatti: "Cercando informazioni venni a sapere che Geoffrey l'aveva scritta [la poesia "Il popolo del monolito", ndr] durante un suo soggiorno in Ungheria e non dubitavo che la Pietra Nera fosse proprio il monolito a cui si riferiva nei suoi versi bizzarri. Rileggendo le strofe, avvertii di nuovo la strana, inspiegabile eccitazione che avevo provato la prima volta in cui avevo letto della pietra.". Di Geoffrey si dice che fosse giunto presso un piccolo villaggio ungherese detto Stregoicavar (letteralmente "paese delle streghe"), dove "fece e disse delle cose strane" prima di morire, delirante, in un manicomio. Servirebbe a questo punto una lunga digressione sul famigerato "Unaussprechlichen Kulten" di Friedrich von Junzt, nel quale si fanno ampi riferimenti alla pietra nera e alle sue origini, ma rischieremmo di uscire troppo dal seminato. Credo che per ora basti solo citare un brano da "The People of Monolith" così come lo riporta lo stesso Howard: "Par che maligni esseri ancestrali / ancor si annidino in cupi, obliati angoli del mondo / e che porte si apran, certe notti, / per liberare creature infernali.". Altri estratti dalle opere di Justin Geoffrey sono presenti nel racconto "The House" (La casa), sempre di Howard.
Tutto qui? Nient'affatto. Ecco che in fondo a un altro scaffale polveroso si nasconde il manoscritto originale di "Black God of Madness" di Amadaeus Carson, mai pubblicato, e che gli esperti ritenevano ormai per sempre perduto. Si supponeva anzi che il romanzo di Carson non fosse stato mai terminato e che il suo Autore, in preda alla follia, avesse dato alle fiamme il manoscritto nelle ultime tragiche ore trascorse in quella che egli, all'interno della sua dimora, chiamava "la stanza della strega". Stiamo ovviamente parlando di finzione nella finzione: Amadaeus Carson e il suo romanzo "Black God of Madness" sono infatti i protagonisti del racconto “The Salem Horror” (1937) di Henry Kuttner.
Devo proseguire? Ecco allora un altro manoscritto inedito: "The Witch is Hung" di Simon Maglore. La fonte? Ancora una volta, presumibilmente, dobbiamo riferirci a Robert Bloch, che narrò le disgrazie di un omonimo Maglore (probabile contrazione di Magical Lore, ovvero folclore) nel suo racconto "The Mannikin" (1937). Nel testo il protagonista è vittima di una creatura senziente che cresce sulla sua schiena, sviluppandosi da quella che pareva essere una semplice gobba. Ipotizzabile, ma non certa, l'ispirazione al classico lovecraftiano "The Dunwich Horror" (1928).
Altre due perle: una prima edizione di "The Secret Watcher" di Halpin Chalmer, edita dalla londinese Charnel House e, sempre dalla stessa casa editrice, "Visions from Yaddith", opera in versi di Ariel Prescott. Sembrano davvero infinite queste citazioni: Halpin Chalmer è il protagonista del racconto "The Hound of Tindalos" (1929) di Frank Belknap Long, nel quale troviamo anche un lungo estratto dello pseudobliblium Chalmeriano: "Come reagireste se vi dicessi che, parallelamente alla vita che conosciamo, ci fosse un'altra vita che non muore? [...] Forse in un'altra dimensione c'è una forza diversa da quella che genera la nostra vita. Forse questa forza emette energia [...] Ah, ma io ho visto le sue manifestazioni. Ho parlato con loro. Nella mia stanza di notte ho parlato con i Doels. E nei sogni ho visto il loro creatore, [...] oltre i confini del tempo e della materia, e ho visto...". Dell'esistenza dei Tindalos, creature antichissime dedite a perseguitare i viaggiatori del tempo, troviamo conferma in Lovecraft, che le citò in "The Whisperer in Darkness" (Colui che sussurrava nelle tenebre, 1931) e, più di recente, in John Ajvide Lindqvist ("Tindalos", 2014). Come degna conclusione, Ariel Prescott appare in "The Dreams in the House of Weir" di Lin Carter (un'autocitazione, quindi), così come, udite udite, è lo stesso Lin Carter il reale autore di una raccolta di poesie dal titolo "Visions from Yaddith"....
Siamo arrivati alla conclusione di questo lungo viaggio. Winfield Phillips, il protagonista di "The Winfield Heritage", pare aver rivoltato da cima a fondo la biblioteca del defunto zio. C'è ancora però un'ultima cosa da scoprire: quel passaggio segreto celato dietro uno scaffale mobile che, attraverso uno stretto corridoio, conduce a una sala dove ben altri infernali testi sono tenuti nascosti. Non dirò altro: lascerò tutto alla vostra immaginazione, o al vostro desiderio di conservare intatto il piacere della lettura di "The Winfield Heritage".
A me invece resta solo una cosa da fare: spiegare cosa c'entra tutto questo con gli Yellow Mythos. Ricordate come avevo iniziato questa piccola serie di post? Avevo citato quell'altro vecchio post, dove rivelavo che James Blish era riuscito a "materializzare" il famigerato "King in Yellow" e, in quell'occasione, mi ero riproposto di rivelarne i contenuti qui sul blog. Ebbene, anche Lin Carter si è cimentato nella ricostruzione del "King in Yellow", in parte rielaborando il testo di James Blish e in parte riscrivendone interamente ampie parti. Mi era quindi impossibile parlare dell'uno senza parlare anche dell'altro... e questa lunga introduzione a Lin Carter, al suo stile di scrittura e alla sua passione per le citazioni pseudobibliche era decisamente necessaria.
Il poeta Edward Pickman Derby è ovviamente irreale e, lo avrete già capito, quel "Pickman" deriva ancora una volta dal personaggio descritto da Lovecraft in "The Pickman's Model" (Il modello di Pickman, 1927). La sua biografia ufficiale stabilisce i suoi natali ad Arkham nel 1890 e rivela che, dopo un percorso di studi piuttosto anonimo presso la Miskatonic University, il nostro si ritirò nella solitudine del Crowninshield Manor nei pressi di Innsmouth assieme alla moglie Asenath Waite. La loro storia è narrata nel dettaglio da Lovecraft nel celebre racconto "The Thing on the Doorstep" (La cosa sulla soglia, 1933).
Se per Fritz Leiber "Azatoth" faceva il paio col misterioso testo di un tale Fisher, per Lin Carter esso era accostato a un libro di liriche di Justin Geoffrey, amico di gioventù di Edward Pickman Derby e suo compagno di studi alla Miskatonic. Il titolo dello scarno volumetto venuto alla luce nella biblioteca dello zio di Winfield Phillips, per la cronaca, è "The People of Monolith".
Di questo testo immaginario parla ampiamente Robert E. Howard, che abbiamo già avuto modo di citare nella prima parte di questo lungo articolo. Nel suo racconto "The Black Stone" (La pietra nera, 1931), Howard scrive infatti: "Cercando informazioni venni a sapere che Geoffrey l'aveva scritta [la poesia "Il popolo del monolito", ndr] durante un suo soggiorno in Ungheria e non dubitavo che la Pietra Nera fosse proprio il monolito a cui si riferiva nei suoi versi bizzarri. Rileggendo le strofe, avvertii di nuovo la strana, inspiegabile eccitazione che avevo provato la prima volta in cui avevo letto della pietra.". Di Geoffrey si dice che fosse giunto presso un piccolo villaggio ungherese detto Stregoicavar (letteralmente "paese delle streghe"), dove "fece e disse delle cose strane" prima di morire, delirante, in un manicomio. Servirebbe a questo punto una lunga digressione sul famigerato "Unaussprechlichen Kulten" di Friedrich von Junzt, nel quale si fanno ampi riferimenti alla pietra nera e alle sue origini, ma rischieremmo di uscire troppo dal seminato. Credo che per ora basti solo citare un brano da "The People of Monolith" così come lo riporta lo stesso Howard: "Par che maligni esseri ancestrali / ancor si annidino in cupi, obliati angoli del mondo / e che porte si apran, certe notti, / per liberare creature infernali.". Altri estratti dalle opere di Justin Geoffrey sono presenti nel racconto "The House" (La casa), sempre di Howard.
Tutto qui? Nient'affatto. Ecco che in fondo a un altro scaffale polveroso si nasconde il manoscritto originale di "Black God of Madness" di Amadaeus Carson, mai pubblicato, e che gli esperti ritenevano ormai per sempre perduto. Si supponeva anzi che il romanzo di Carson non fosse stato mai terminato e che il suo Autore, in preda alla follia, avesse dato alle fiamme il manoscritto nelle ultime tragiche ore trascorse in quella che egli, all'interno della sua dimora, chiamava "la stanza della strega". Stiamo ovviamente parlando di finzione nella finzione: Amadaeus Carson e il suo romanzo "Black God of Madness" sono infatti i protagonisti del racconto “The Salem Horror” (1937) di Henry Kuttner.
Devo proseguire? Ecco allora un altro manoscritto inedito: "The Witch is Hung" di Simon Maglore. La fonte? Ancora una volta, presumibilmente, dobbiamo riferirci a Robert Bloch, che narrò le disgrazie di un omonimo Maglore (probabile contrazione di Magical Lore, ovvero folclore) nel suo racconto "The Mannikin" (1937). Nel testo il protagonista è vittima di una creatura senziente che cresce sulla sua schiena, sviluppandosi da quella che pareva essere una semplice gobba. Ipotizzabile, ma non certa, l'ispirazione al classico lovecraftiano "The Dunwich Horror" (1928).
Altre due perle: una prima edizione di "The Secret Watcher" di Halpin Chalmer, edita dalla londinese Charnel House e, sempre dalla stessa casa editrice, "Visions from Yaddith", opera in versi di Ariel Prescott. Sembrano davvero infinite queste citazioni: Halpin Chalmer è il protagonista del racconto "The Hound of Tindalos" (1929) di Frank Belknap Long, nel quale troviamo anche un lungo estratto dello pseudobliblium Chalmeriano: "Come reagireste se vi dicessi che, parallelamente alla vita che conosciamo, ci fosse un'altra vita che non muore? [...] Forse in un'altra dimensione c'è una forza diversa da quella che genera la nostra vita. Forse questa forza emette energia [...] Ah, ma io ho visto le sue manifestazioni. Ho parlato con loro. Nella mia stanza di notte ho parlato con i Doels. E nei sogni ho visto il loro creatore, [...] oltre i confini del tempo e della materia, e ho visto...". Dell'esistenza dei Tindalos, creature antichissime dedite a perseguitare i viaggiatori del tempo, troviamo conferma in Lovecraft, che le citò in "The Whisperer in Darkness" (Colui che sussurrava nelle tenebre, 1931) e, più di recente, in John Ajvide Lindqvist ("Tindalos", 2014). Come degna conclusione, Ariel Prescott appare in "The Dreams in the House of Weir" di Lin Carter (un'autocitazione, quindi), così come, udite udite, è lo stesso Lin Carter il reale autore di una raccolta di poesie dal titolo "Visions from Yaddith"....
Siamo arrivati alla conclusione di questo lungo viaggio. Winfield Phillips, il protagonista di "The Winfield Heritage", pare aver rivoltato da cima a fondo la biblioteca del defunto zio. C'è ancora però un'ultima cosa da scoprire: quel passaggio segreto celato dietro uno scaffale mobile che, attraverso uno stretto corridoio, conduce a una sala dove ben altri infernali testi sono tenuti nascosti. Non dirò altro: lascerò tutto alla vostra immaginazione, o al vostro desiderio di conservare intatto il piacere della lettura di "The Winfield Heritage".
A me invece resta solo una cosa da fare: spiegare cosa c'entra tutto questo con gli Yellow Mythos. Ricordate come avevo iniziato questa piccola serie di post? Avevo citato quell'altro vecchio post, dove rivelavo che James Blish era riuscito a "materializzare" il famigerato "King in Yellow" e, in quell'occasione, mi ero riproposto di rivelarne i contenuti qui sul blog. Ebbene, anche Lin Carter si è cimentato nella ricostruzione del "King in Yellow", in parte rielaborando il testo di James Blish e in parte riscrivendone interamente ampie parti. Mi era quindi impossibile parlare dell'uno senza parlare anche dell'altro... e questa lunga introduzione a Lin Carter, al suo stile di scrittura e alla sua passione per le citazioni pseudobibliche era decisamente necessaria.
Sul mio blog c'è un premio per te!
RispondiEliminaArrivoooo !!!!
EliminaAh, questa m"era sfuggita: Lin Carter e il Re in Giallo è un'accoppiata vincente ^_^
RispondiEliminaSplendido viaggio e dovrò trovare il modo di omaggiarti dalla mia rubrica "Pseudobiblia" ;-)
La ciliegina finale non poteva mancare! Un omaggio pseudobiblico? Sarebbe un grande onore! ^_^
EliminaAh, ecco che tutto alla fine ha una spiegazione. In effetti avevo lottato lungo tutto il post, alla ricerca di possibili connessioni con il Re in giallo e gli Yellow Mythos :D
RispondiEliminaPosso immaginare quante perplessità poteva seminare quell'etichetta YM in cima a questi quattro post. Il fatto è che non pensavo che questo post sarebbe venuto così lungo... speravo di poter arrivare al punto un bel po' prima..
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