E alcuni, in sogno, ebbero conferma dello spirito che ci colpiva così: a nove braccia di profondità, ci aveva seguiti dalla regione della nebbia... (Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio)
Vidi "The Fog" per la prima volta ai tempi della sua uscita nelle sale, anche se probabilmente con diversi mesi di ritardo rispetto alle prime visioni. Il gestore di quel piccolo cinema di paese che frequentavo da ragazzino, l'ho già raccontato tante volte, non era esattamente un fenomeno in termini di reattività, ma aveva sicuramente un gran talento nella scelta dei film da proporre (non che in questo caso fosse necessario, visto che John Carpenter era ormai sulla bocca di tutti grazie alle allora recentissime imprese slasher di Michael Myers).
Sebbene nell'archivio della mia memoria "The Fog" fosse rimasto per anni catalogato come uno dei tanti filmetti anni Ottanta dalla trama sciocca, mi era sempre rimasto quello strano senso di angoscia, tesa e palpabile, che provai in quel lontano giorno per tutta la durata del film. Rivisto ripetutamente negli anni Duemila e, per l'ennesima volta, giusto qualche sera fa, non posso che confermare quella vecchia sensazione: quelle atmosfere perennemente snervati girate da Carpenter e sceneggiate da Debra Hill sono ancora tutte lì, per nulla erose dai quarant'anni di cinema horror che nel frattempo sono trascorsi.
D'altra parte John Carpenter è sempre stato un maestro nell'ottenere il massimo risultato partendo dal nulla e non sarà certo un caso se sono tutti firmati da lui quei pochissimi film che oggi, alla mia veneranda età, mi fanno ancora paura.
La piccola città costiera di Antonio Bay festeggia il centenario dalla sua fondazione. I residenti, mentre si preparano per le celebrazioni, appaiono inconsapevoli della tragica storia che ha dato origine al loro piccolo insediamento, né sanno nulla della leggenda legata alla fatidica ricorrenza; faticano anche a mettere in relazione tutti quegli strani, piccoli avvenimenti, che iniziano a capitare loro. Solo quando una piccola imbarcazione si perde in una nebbia densa alcuni iniziano a sospettare qualcosa di più sinistro di semplice evento meteorologico.
Noi spettatori invece già sappiamo più o meno tutto, grazie a quei memorabili cinque minuti iniziali (tra l'altro aggiunti in fretta e furia dal regista per rimediare a un minutaggio insufficiente) nei quali un anziano del paese racconta la leggenda a un gruppo bambini raccolti attorno al fuoco. E detto, tra noi, mi chiedo come mai quando iniziano i casini a nessuno venga in mente quella vecchia storia, visto che è probabilmente un secolo che viene tramandata oralmente... mais c'est la vie.
Cento anni prima, esattamente il 21 aprile 1880, l'Elizabeth Dane, un veliero carico di lebbrosi, si stava avvicinando alle coste della California per cercare un luogo adatto dove prendere terra e morire in pace. L'arrivo del comandante Blake e del suo equipaggio non era tuttavia cosa gradita agli abitanti della zona e, come spesso accade, un gruppo di cospiratori prese la drammatica decisione di impedirne lo sbarco: accesero un falò sulla spiaggia e, complice la nebbia fitta che nel frattempo era calata, diressero il veliero a schiantarsi dritto sugli scogli. La leggenda vuole che, esattamente cent'anni più tardi, le anime senza pace degli annegati sarebbero tornate in cerca di vendetta. Solo in seguito, nel corso del film, scopriremo che la stessa Antonio Bay fu costruita con l'oro di Blake, prontamente depredato dal relitto della nave. Di quanti altri motivi potrebbero aver bisogno dei "revenant" per cercare giustizia?
Antonio Bay, piccolo paese metafora di una nazione nata da un genocidio, deve quindi affrontare i fantasmi che tornano dalle nebbie del passato per esigere il loro tributo di sangue. Non è sicuramente questa l'unica volta che John Carpenter inserisce dei messaggi politici all'interno dei suoi film. Sebbene in altri casi (Essi vivono, Fuga da NY, Distretto 13) le critiche al sistema siano piuttosto palesi, qui è necessario fare uno sforzo in più per arrivarci. Specialmente da parte dello spettatore americano medio, che festeggia il Thanksgiving ignorando (o fingendo di ignorare) che i suoi tanto amati Padri Pellegrini, a cui risale la festività, non sono poi molto diversi dai fondatori di Antonio Bay (anche nella fiction, e non certo per caso, è un religioso la pietra angolare del massacro).
Le analogie con il precedente "Halloween" sono numerose e piuttosto evidenti. La location innanzitutto è uno dei motivi principali che si presentano nei film di Carpenter: Antonio Bay non è molto dissimile da Haddonfield, così tipicamente americana ma allo stesso tempo così anomala. Come quest'ultima, anche Antonio Bay sembra infatti completamente isolata dal resto del mondo: tutto si svolge entro i suoi confini e, nel momento in cui la soluzione più logica sarebbe quella di far intervenire l'esercito, la guardia nazionale o gli agenti federali, la città si chiude ancora di più su se stessa, finendo per barricarsi dentro una chiesa, ultimo baluardo di una resistenza approssimativa (un baluardo tra l'altro scelto malissimo, viste le premesse). Ma è forse proprio questo meccanismo della "camera chiusa" la chiave del successo carpenteriano, meccanismo che il regista americano avrebbe portato al suo livello più alto con la futuristica Manhattan di "1997: Fuga da New York".
Se in "Halloween" il Male si scatena dopo qualche anno di ospedale psichiatrico, in "The Fog" l'attesa dura un secolo... ma la mattanza che infine si scatena è più o meno invariata. Rivoluzionario è invece il fatto che ad Antonio Bay, infrangendo ogni ca##o di regola, chi fa sesso sopravvive.
Gli spunti offerti da The Fog sono innumerevoli e non basterebbe un'intera enciclopedia per elencarli tutti. Basti riflettere sull'Elizabeth Dane, il veliero fantasma che appare tra le nebbie in una scena memorabile, perché si spalanchi un mondo di riferimenti reali (vedi caso della Mary Celeste) e letterari... l'ovvio mito dell'Olandese Volante, il poema Rokeby di Walter Scott, e La ballata del vecchio marinaio di Coleridge, citata in apertura.
Soprattutto "La ballata" sembra aver influenzato Carpenter che, esattamente come in "The Fog", inizia con il racconto di un vecchio marinaio sopravvissuto a una tempesta in pieno oceano (come il protagonista di "Una discesa nel Maelström" di Poe, che il regista americano ha citato fra i titoli di testa). Non starò qui certo a raccontarvi tutto, ma credo che basti sapere che anche in Coleridge c'è una vittima innocente (nella fattispecie un albatro), c'è un vascello fantasma che emerge dalla nebbia, c'è il perseguimento della vendetta e, soprattutto, c'è un'anima costretta a vagare nell'inutile ricerca della redenzione. Come un novello Nazareno, Padre Malone, discendente del padre fondatore al cui "alto scopo" era stato sacrificato l'equipaggio dell'Elizabeth Dane, è lui stesso in cerca di redenzione, per sé e per la sua gente. Una redenzione che non posso dire se sarà compiuta, pena rivelarvi il finale del film.
E infine c'è la nebbia. Quella stessa nebbia che secondo la mitologia nordica separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti. "Le porte tra i mondi fluttuano con la nebbia" scriveva Marion Zimmer Bradley (Le nebbie di Avalon, 1983), "e si aprono al volere del viaggiatore”. Quella stessa nebbia che avvolge il Niflheimr, l'inferno della mitologia norrena governato da Hel, figlia di Loki, dove nessuno può recarsi finché è in vita. Quella stessa nebbia che avvolge lo Stige e l'antica città di Dite, così che gli sguardi di Dante e Virgilio, nella loro discesa infernale, faticano a posarvisi.
Nulla come la nebbia simboleggia l'incertezza. L'incertezza per ciò che sta in essa, per ciò che sta oltre essa, e per ciò che da essa proviene. E allora conviene guardarsi dalla nebbia, quando questa fa capolino oltre la nostra finestra.
Il presente articolo è parte della quinta edizione della rassegna estiva "Notte Horror", ideata e realizzata da una combriccola di blogger che, in questo modo, intendono omaggiare l'omonimo programma che, tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, ha incollato ai teleschermi un'intera generazione. Due post ogni martedì, uno programmato alle ore 21:00, l'altro alle 23:00. Tre semplici regole: 1) tassativamente horror; 2) preferibilmente tamarrata; 3) possibilmente anni 70-80-90.
Abbiamo iniziato proprio il 10 luglio dai blog della Bolla e di Cassidy, abbiamo proseguito martedì scorso sui blog di Frank R. e di Kris Kelvin, ci siamo visti due ore fa da Marco Contin e proseguiremo settimana prossima sul blog di Alfonso Maiorino, che ci porterà alla scoperta di un grande classico delle nostre notti horror.
Il programma ufficiale lo trovate in cima alla colonna qui a destra (e rimarrà lì fino a settembre). I link ai post successivi saranno palesati di volta in volta, se avrete la pazienza di seguire la rassegna dall'inizio alla fine. Non mancate, mi raccomando!
Sebbene nell'archivio della mia memoria "The Fog" fosse rimasto per anni catalogato come uno dei tanti filmetti anni Ottanta dalla trama sciocca, mi era sempre rimasto quello strano senso di angoscia, tesa e palpabile, che provai in quel lontano giorno per tutta la durata del film. Rivisto ripetutamente negli anni Duemila e, per l'ennesima volta, giusto qualche sera fa, non posso che confermare quella vecchia sensazione: quelle atmosfere perennemente snervati girate da Carpenter e sceneggiate da Debra Hill sono ancora tutte lì, per nulla erose dai quarant'anni di cinema horror che nel frattempo sono trascorsi.
D'altra parte John Carpenter è sempre stato un maestro nell'ottenere il massimo risultato partendo dal nulla e non sarà certo un caso se sono tutti firmati da lui quei pochissimi film che oggi, alla mia veneranda età, mi fanno ancora paura.
La piccola città costiera di Antonio Bay festeggia il centenario dalla sua fondazione. I residenti, mentre si preparano per le celebrazioni, appaiono inconsapevoli della tragica storia che ha dato origine al loro piccolo insediamento, né sanno nulla della leggenda legata alla fatidica ricorrenza; faticano anche a mettere in relazione tutti quegli strani, piccoli avvenimenti, che iniziano a capitare loro. Solo quando una piccola imbarcazione si perde in una nebbia densa alcuni iniziano a sospettare qualcosa di più sinistro di semplice evento meteorologico.
Noi spettatori invece già sappiamo più o meno tutto, grazie a quei memorabili cinque minuti iniziali (tra l'altro aggiunti in fretta e furia dal regista per rimediare a un minutaggio insufficiente) nei quali un anziano del paese racconta la leggenda a un gruppo bambini raccolti attorno al fuoco. E detto, tra noi, mi chiedo come mai quando iniziano i casini a nessuno venga in mente quella vecchia storia, visto che è probabilmente un secolo che viene tramandata oralmente... mais c'est la vie.
Cento anni prima, esattamente il 21 aprile 1880, l'Elizabeth Dane, un veliero carico di lebbrosi, si stava avvicinando alle coste della California per cercare un luogo adatto dove prendere terra e morire in pace. L'arrivo del comandante Blake e del suo equipaggio non era tuttavia cosa gradita agli abitanti della zona e, come spesso accade, un gruppo di cospiratori prese la drammatica decisione di impedirne lo sbarco: accesero un falò sulla spiaggia e, complice la nebbia fitta che nel frattempo era calata, diressero il veliero a schiantarsi dritto sugli scogli. La leggenda vuole che, esattamente cent'anni più tardi, le anime senza pace degli annegati sarebbero tornate in cerca di vendetta. Solo in seguito, nel corso del film, scopriremo che la stessa Antonio Bay fu costruita con l'oro di Blake, prontamente depredato dal relitto della nave. Di quanti altri motivi potrebbero aver bisogno dei "revenant" per cercare giustizia?
Antonio Bay, piccolo paese metafora di una nazione nata da un genocidio, deve quindi affrontare i fantasmi che tornano dalle nebbie del passato per esigere il loro tributo di sangue. Non è sicuramente questa l'unica volta che John Carpenter inserisce dei messaggi politici all'interno dei suoi film. Sebbene in altri casi (Essi vivono, Fuga da NY, Distretto 13) le critiche al sistema siano piuttosto palesi, qui è necessario fare uno sforzo in più per arrivarci. Specialmente da parte dello spettatore americano medio, che festeggia il Thanksgiving ignorando (o fingendo di ignorare) che i suoi tanto amati Padri Pellegrini, a cui risale la festività, non sono poi molto diversi dai fondatori di Antonio Bay (anche nella fiction, e non certo per caso, è un religioso la pietra angolare del massacro).
Le analogie con il precedente "Halloween" sono numerose e piuttosto evidenti. La location innanzitutto è uno dei motivi principali che si presentano nei film di Carpenter: Antonio Bay non è molto dissimile da Haddonfield, così tipicamente americana ma allo stesso tempo così anomala. Come quest'ultima, anche Antonio Bay sembra infatti completamente isolata dal resto del mondo: tutto si svolge entro i suoi confini e, nel momento in cui la soluzione più logica sarebbe quella di far intervenire l'esercito, la guardia nazionale o gli agenti federali, la città si chiude ancora di più su se stessa, finendo per barricarsi dentro una chiesa, ultimo baluardo di una resistenza approssimativa (un baluardo tra l'altro scelto malissimo, viste le premesse). Ma è forse proprio questo meccanismo della "camera chiusa" la chiave del successo carpenteriano, meccanismo che il regista americano avrebbe portato al suo livello più alto con la futuristica Manhattan di "1997: Fuga da New York".
Se in "Halloween" il Male si scatena dopo qualche anno di ospedale psichiatrico, in "The Fog" l'attesa dura un secolo... ma la mattanza che infine si scatena è più o meno invariata. Rivoluzionario è invece il fatto che ad Antonio Bay, infrangendo ogni ca##o di regola, chi fa sesso sopravvive.
Gli spunti offerti da The Fog sono innumerevoli e non basterebbe un'intera enciclopedia per elencarli tutti. Basti riflettere sull'Elizabeth Dane, il veliero fantasma che appare tra le nebbie in una scena memorabile, perché si spalanchi un mondo di riferimenti reali (vedi caso della Mary Celeste) e letterari... l'ovvio mito dell'Olandese Volante, il poema Rokeby di Walter Scott, e La ballata del vecchio marinaio di Coleridge, citata in apertura.
Soprattutto "La ballata" sembra aver influenzato Carpenter che, esattamente come in "The Fog", inizia con il racconto di un vecchio marinaio sopravvissuto a una tempesta in pieno oceano (come il protagonista di "Una discesa nel Maelström" di Poe, che il regista americano ha citato fra i titoli di testa). Non starò qui certo a raccontarvi tutto, ma credo che basti sapere che anche in Coleridge c'è una vittima innocente (nella fattispecie un albatro), c'è un vascello fantasma che emerge dalla nebbia, c'è il perseguimento della vendetta e, soprattutto, c'è un'anima costretta a vagare nell'inutile ricerca della redenzione. Come un novello Nazareno, Padre Malone, discendente del padre fondatore al cui "alto scopo" era stato sacrificato l'equipaggio dell'Elizabeth Dane, è lui stesso in cerca di redenzione, per sé e per la sua gente. Una redenzione che non posso dire se sarà compiuta, pena rivelarvi il finale del film.
E infine c'è la nebbia. Quella stessa nebbia che secondo la mitologia nordica separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti. "Le porte tra i mondi fluttuano con la nebbia" scriveva Marion Zimmer Bradley (Le nebbie di Avalon, 1983), "e si aprono al volere del viaggiatore”. Quella stessa nebbia che avvolge il Niflheimr, l'inferno della mitologia norrena governato da Hel, figlia di Loki, dove nessuno può recarsi finché è in vita. Quella stessa nebbia che avvolge lo Stige e l'antica città di Dite, così che gli sguardi di Dante e Virgilio, nella loro discesa infernale, faticano a posarvisi.
Nulla come la nebbia simboleggia l'incertezza. L'incertezza per ciò che sta in essa, per ciò che sta oltre essa, e per ciò che da essa proviene. E allora conviene guardarsi dalla nebbia, quando questa fa capolino oltre la nostra finestra.
Non so cosa sia successo stanotte ad Antonio Bay. Dalla nebbia è uscito qualcosa che ha cercato di distruggerci e improvvisamente è svanito. Ma se tutto questo non è stato solo un incubo, da questo momento nessuno andando a letto sarà più sicuro di risvegliarsi vivo. A tutte le barche al largo che ricevono la mia voce io dico: "Tenete d'occhio il mare, scrutate l'oscurità: la nebbia è in agguato".
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Il presente articolo è parte della quinta edizione della rassegna estiva "Notte Horror", ideata e realizzata da una combriccola di blogger che, in questo modo, intendono omaggiare l'omonimo programma che, tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, ha incollato ai teleschermi un'intera generazione. Due post ogni martedì, uno programmato alle ore 21:00, l'altro alle 23:00. Tre semplici regole: 1) tassativamente horror; 2) preferibilmente tamarrata; 3) possibilmente anni 70-80-90.
Abbiamo iniziato proprio il 10 luglio dai blog della Bolla e di Cassidy, abbiamo proseguito martedì scorso sui blog di Frank R. e di Kris Kelvin, ci siamo visti due ore fa da Marco Contin e proseguiremo settimana prossima sul blog di Alfonso Maiorino, che ci porterà alla scoperta di un grande classico delle nostre notti horror.
Il programma ufficiale lo trovate in cima alla colonna qui a destra (e rimarrà lì fino a settembre). I link ai post successivi saranno palesati di volta in volta, se avrete la pazienza di seguire la rassegna dall'inizio alla fine. Non mancate, mi raccomando!
film mitico, come mitico è il suo regista, non so quante volte l'ho visto xD
RispondiEliminaParole sante, Arwen. Sei stata rapidissima a commentare, vedo... Sei sempre sul pezzo! :)
EliminaIo invece arrivo sempre con l'ultimo treno, ma il film l'ho visto e le atmosfere lugubri di Carpenter sono sempre in piacere da guardare!
EliminaAhaha, si è vero, Alessandra. Ma non ti preoccupare... ormai lo sappiamo che, anche se non subito, prima o poi arrivi sempre! ^_^
EliminaIo l’ho visto solo una volta e mi è bastato.
RispondiEliminaEro ragazzino quando lo passarono in tv e mi ricordo che io e mio fratello lo guardavamo dalla televisione in cucina..eravamo soli i miei erano a una cena fuori casa.
Mia nonna già a letto che dormiva.
Mi stavo pisciando addosso dalla paura e non avevo coraggio di andare in bagno.
Fortuna che c’èra il lavandino della cucina ;)
Questo è un ricordo che mi resterà finché campo.
Del film ricordo gli spettri che uscivano dalla nebbia , la nave ...un faro!
Mi piacerebbe rivederlo ...magari più avanti con l’eta!
È troppo bello il ricordo che tengo e non vorrei rimanere deluso rivedendolo adesso.
Ciao
Ahahaha! Un ricordo del genere merita di essere conservato in eterno. Fai bene a rimandare finché puoi la re-visione di "The Fog"!
EliminaGran film...Carpenter è sempre una sicurezza...Ottima recensione, con molte curiosità che ignoravo...
RispondiEliminaBeh non sempre: un "The Ward" per esempio non sento il bisogno di riguardarlo... ma il resto è praticamente tutto da manuale del cinema.
EliminaUn grande classico dell'horror, che ha saputo coinvolgere anche me che pure non sono un appassionato del genere. Complimenti per come lo hai trattato e per la completezza delle informazioni: mi sto facendo una cultura!
RispondiEliminaNemmeno tu non scherzi nel proporre cultura. Il tuo "Darkman" di settimana scorsa era un pezzo davvero notevole e... e poi l'anno scorso per Notte Horror non te ne eri mica uscito con "Possesion"?
EliminaGrande film che non rivedo da troppo tempo. Non è uno dei mie Carpenter preferiti ma anche io da ragazzino l'avrò visto un milione di volte. Bel post :)
RispondiEliminaEh già, ci sono dei Carpenter che andrebbero rivisti almeno una volta l'anno. E poi ci sono casi come "Il signore del male" che, almeno nel mio caso, viene rivisto molto più spesso...
EliminaBah.. il tuo pezzo su "The Fog" di due anni fa era molto più impeccabile di questo... Sai che ho davvero fatto fatica a trovare cose da dire? Avevi già detto tutto te...
RispondiEliminaNon una vera e propria tamarrata, ma un grandissimo film che è effettivamente da troppo troppo tempo che non riguardo. Carpenter è una garanzia poi, quando si tratta di grandi film!
RispondiEliminaLa regola diceva "preferibilmente tamarrata". Ahaha.
EliminaCi avevo anche provato a pensare ad un titolo tamarro, ma proprio non me ne venivamo in mente...
Le ultime frasi ricordano un altro monito finale del film La cosa da un altro mondo 1951 "Tutti voi che ascoltate la mia voce, dite al mondo, ditelo a tutti dovunque si trovino: attenzione al cielo; ovunque voi siate, scrutate il cielo", che poi lo stesso Carpenter ha rifatto.
RispondiEliminaBellissima precisazione, Gioacchino! Assolutamente non può essere un caso!
EliminaSecondo te perché non mi piace la nebbia? e ne ho quasi terrore? :D
RispondiEliminaA me la nebbia da fastidio solo quando sono in autostrada. Non riesco ad associarla ad altro che al fastidio.
EliminaVergognandomi come un mostro dico che questo caposaldo mi manca. Lo infilo nella promessa per il prossimo anno!!
RispondiEliminaDavvero "mostruoso" è l'aggettivo giusto per quello che mi stai dicendo. Corri a vederlo, altrimenti il mio prossimo on-demand potrebbe esserti fatale.
EliminaCredo di averlo visto solo da ragazzino, e ne conservo un buon ricordo.
RispondiEliminaMa ne hanno fatto un remake qualche anno fa o sbaglio?
Sì, ne hanno fatto un remake ma non credo di aver voglia di guardarlo...
EliminaVisto a notte tarda anni fa mi era piaciuto molto. Rivisto recentemente è ancora bello, ma secondo me risente un po'degli anni che ha sulla schiena forse per la lentezza, al contrario di altri film di Carpenter tipo La Cosa che invece resta il top. Curiosità... il sagrestano è lui, John.
RispondiEliminaUno di quei film che invecchiano lentamente o non invecchiano affatto. Il carpentiere è sempre stato uno specialista in queste cose; basti pensare a Fuga da New York, Halloween, il signore del male... tutti film che si rivedono sempre volentieri.
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