venerdì 1 maggio 2020

Confessioni di una maschera #5

Oggi è un giorno particolare, uno di quei giorni che capitano una sola volta nella vita e che, come immagino tutti voi, mi sarei augurato di trascorrere in maniera diversa. Ma non è del lockdown che voglio parlare, quanto del fatto che oggi è il primo maggio 2020 e, se mio padre fosse ancora vivo, oggi avrebbe festeggiato con la sua famiglia il suo 100° compleanno. Se ci penso mi vengono quasi le vertigini: un secolo intero!

Un  nuovo episodio di  “Confessioni di una Maschera”, qui sul blog, oggi era praticamente scontato. Non mi sono mai illuso che avrei potuto trascorrere con lui questo giorno; anzi, mio padre ha mancato questo appuntamento di molto: non è riuscito nemmeno ad assistere al passaggio dal vecchio all'attuale millennio, a voler essere precisi. Neanche mia mamma ce l'ha fatta, seppure per un pelo, ad arrivare a questo giorno. Peccato, avremmo potuto perlomeno lasciarci andare ai ricordi, io e lei. E magari sarebbe stata l'occasione per venire a conoscenza di momenti della vita di mio padre che oggi, me ne rendo conto, ancora non conosco. Mio padre non parlava mai molto di sé, preferiva tenersi dentro le cose anziché condividerle e quel poco che so di lui deriva da racconti di terze parti o da quei (rarissimi) momenti in cui, sfiancato dalle mie continue insistenze, allentava un po' la corda.

Capisco però abbastanza bene come il racconto della propria vita, da parte di un uomo che ha vissuto un'epoca scomoda come è stata la sua, possa non essere un'esperienza gradevole. Nascere nel 1920 significa arrivare con l'età più giusta (o più sbagliata, mi correggo) all'appuntamento con il più grande conflitto armato della storia, costato all'umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri.
Ma anche gli anni precedenti, coincidenti guarda caso col ventennio fascista, non furono certo migliori. Uno dei pochi episodi che mio padre mi volle raccontare riguarda proprio quel periodo: mentre si recava al lavoro fu fermato per un controllo dei documenti da simpatizzanti del regime e, quando quelle belve si accorsero della sua data di nascita, lo pestarono a sangue. Nel loro piccolo cervellino era scattata l'equazione "primo maggio" uguale "festa dei lavoratori" uguale "comunismo" e, per proprietà transitiva, "antifascismo"... come se un uomo potesse scegliere la propria data di nascita. Non so dire se mio padre, in realtà, avesse davvero orientamenti politici a quei tempi, ma di certo quell'episodio lo avrebbe aiutato a prendere una decisione in proposito.
«Tebani, abbiamo lance, spade, frecce, mortaretti, tricche tracchi e castagnole. E con queste armi potenti, dico armi potenti, noi, noi, spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e i suoi fratelli! Valoroso soldato tebano, mio padre da lassù ti guarda e ti protegge. Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo» (Totò contro Maciste).
Scoppiata la guerra, appena ventenne, fu quindi spedito nella fallimentare Campagna di Grecia; probabilmente uno dei suoi ricordi più terribili, di cui non conosco molto di più di quello che riferiscono le cronache. Due momenti di quel periodo della sua vita sono però giunti fino a me. Il primo fa riferimento alle sue dotazioni di soldato: prima di partire consegnarono un fucile, sei proiettili e una bomba a mano a ciascun soldato e dissero loro "Cercate di farveli bastare". La storia insegna che non bastano sei proiettili per "spezzare le reni alla Grecia", ma mio padre fece tesoro di quell'esperienza e la tirò più volte in ballo quando giunse il momento di educare suo figlio a più miti esigenze.

Il cancello principale di ingresso del campo di Buchenwald con la scritta "Jedem das Seine" ("A ciascuno il suo").
Il secondo episodio che mi fu raccontato, e non saprei spiegarmene il motivo a conti fatti, fu una fuga precipitosa giù per il versante di una montagna. Mio padre mi riferì di una corsa disperata con i proiettili del nemico che gli sfilavano a un palmo.
Quando ci penso, mi chiedo per quale incredibile miracolo io mi trovi qui adesso, seduto ad un tavolo, a scrivere su un blog, quando sarebbero bastati pochi centimetri perché non fossi mai nato.
Mi sono anche chiesto chi fosse il nemico a cui egli si riferiva ma, ad oggi, non riesco a focalizzarlo. Furono i greci, i loro alleati britannici o addirittura i nostri amici tedeschi? Aggiungo questi ultimi in quanto, al termine della campagna di Grecia, mio padre fu da loro prelevato, portato in Germania e rinchiuso a Buchenwald, uno dei più grandi campi della Germania nazista. Non ho idea di come mio padre riuscì a tirarsi fuori da quell'impiccio. La mia teoria è che, in quanto italiano, di origini non ebraiche e con una buona esperienza nella lavorazione dei metalli, fu invitato a barattare la libertà con il lavoro.
Nemmeno tanto male come opzione, considerato che mio padre, una volta rientrato in Italia, avrebbe continuato a fare l'operaio in una fabbrica metalmeccanica (probabilmente non molto diversa da quelle tedesche) per oltre quarant'anni, fino alla pensione. O per meglio dire, fino a quell'infarto che gli impedì di proseguire la sua attività. E furono altri anni duri, dei quali io sono rimasto a lungo inconsapevole, protetto da una fanciullezza ingenua che mi faceva sembrare tutto bello, nonostante non lo fosse. Furono anni in cui mio padre fu costretto a chiedere i sussidi alimentari per portare il pane in tavola, anni in cui lasciò perdere le sigarette per potermi regalare un gelato ogni tanto. Sto piangendo.

Oggi, primo giorno di maggio del 2020, ancora mi chiedo come sia stato possibile, per un uomo semplice qual era mio padre, affrontare e superare una vita di difficoltà come è stata la sua. Non riesco nemmeno a immaginare le fatiche, le sofferenze e le privazioni per tirare avanti, mentre io sono qui con il solo problema di decidere se ordinare un libro su Amazon o su IBS. Mi sento una merda, se ci penso.
Mi sarebbe piaciuto poterlo conoscere di più ma, come detto, mio padre non parlava mai volentieri del suo passato. E, come detto, posso capirlo.
Mi piacerebbe anche indagare sui motivi che hanno spinto il padre di mio padre (classe 1888) a lasciare, nei tardi anni Venti, con moglie e sette figli piccoli le paludi del Polesine per trasferirsi in cima a una collina dell'Oltrepo Pavese. E mi piacerebbe anche capire come ci è riuscito. Duecentocinquanta chilometri percorsi su un carretto trainato dai buoi? Un vero mistero! Ma questa è evidentemente un'altra storia, vero papà?
Comunque sia andata, buon compleanno, papà! Oggi avrei voluto venire a portarti un fiore, ma non posso. E non solo per il lockdown, ma anche perché il cimitero in cui riposi, ora assieme alla mamma, chiude di regola un solo giorno all'anno e, guarda un po' le coincidenze, quel giorno è il primo di maggio. Ma tu aspettami, che appena posso arrivo. ^_^

30 commenti:

  1. Posso dirti una cosa, amico mio? Sai perché ci sentiamo una merda e soffriamo per il "lockdown"? Secondo me per il grande allarmismo che ci hanno inculcato in testa media e i grandi esperti, che in tre mesi di virus - tolte le cose allarmiste - ci hanno saputo solo dire: "state a casa, non toccatevi e usate la mascherina".
    Gli stessi che ogni tanto parlano di GUERRA.
    Ma il ricordo di tuo padre sbugiarda questi fenomeni proprio perché oggi noi abbiamo un tetto sopra la testa, come dici tu magari abbiamo come dubbio quello di ordinare un libro su Amazon o su Ibs, non il dubbio di uscire di casa per prendere il latte perché non sappiamo se torneremo.
    Che il coronavirus, dal punto di vista economico, possa avere gli effetti di una guerra ok;
    ma che sia come una guerra, è una cazzata colossale.
    Penso proprio all'aneddoto su tuo padre: la sua fuga tra le pallottole.

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    1. Quello che stiamo vivendo noi oggi è indubbiamente molto diverso da ciò che hanno vissuto i nostri genitori o i nostri nonni. Non ci sono bombe che piovono dal cielo o gente che entra in casa nostra e ci butta in blocco sopra un treno diretto chissà dove (almeno non ancora). Nella diversità tuttavia esistono dei fenomeni che si ripetono.. penso alle delazioni nei confronti di chi va a farsi due passi sotto casa o a certi piccoli rancori che sono la cartina di tornasole di un disagio esistenziale.
      Dicono che l'economia, a intervalli regolari, debba crollare affinché il sistema continui a reggere nel tempo. Oggi le guerre, come quelle dello scorso secolo, non sono più realisticamente utilizzabili per quello scopo e... ed ecco che arriva il virus.

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  2. Bellissimo post. Complimenti davvero, sebbene io sia di parte, perché preferisco i post introspettivi e perché, come te, ho dovuto dire addio a mio padre troppo prematuramente.
    Il mio, classe '60, raccontava con piacere i suoi mesi di servizio militare, e le sue prodezze da ragazzo sui campi da calcio più o meno prestigiosi che calcava.
    Però, come te, non conservo tracce di quegli anni, se non qualche fotografia sbiadita.
    Chiedevo spesso a mia nonna di trovarmi magliette o trofei da calcio appartenuti a papà, ma i calciatori in famiglia erano due, le coppe non intestate, né riportanti l'anno di assegnazione, quindi non abbiamo mai capito di chi fossero.
    Insomma, cento anni sono tanti e chissà se sarò ancora qui a poter scrivere due righe del genere, nel 2060.
    Intanto, dalle mie parti hanno finalmente riaperto i cimiteri, e spero che valga lo stesso per il tuo paese, in modo che tu possa, domani, "salutare" il tuo eroe a dovere.
    Un abbraccio.

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    1. Mio padre mi ha avuto molto tardi, ecco perché ho la possibilità di essere qui a scriverne, anche se non la reputo una fortuna. Avere cinquant'anni di differenza con il genitore significa innanzitutto paura di perderlo in una fase della vita in cui hai ancora bisogno di un riferimento importante.
      La sua difficoltà nel trasferire le sue esperienze credo siano, almeno in parte, anche quelle dovute alla differenza d'eta: difficile raccontare ad un figlio un mondo che non esiste più da così tanto tempo e poter sperare che riesca ad immaginarselo...
      Sono sorpreso sia così anche per te, visto che tuo papà in fondo è nato solo sette anni prima di me (e ciò fa di me più un suo coetaneo che un tuo coetaneo).

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    2. Mio padre mi ha avuta a 27 anni, ma è mancato a 51, pur essendo in perfetta salute.
      Quindi la paura di perderlo non esisteva, ma così è stato.
      Perciò, l'età conta poco e nulla davanti al destino.

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    3. La tua è stata di certo una perdita terribile. Non riesco neanche ad immaginare la devastazione. Io un po', lo ammetto, c'ero preparato... anche se, oddio, non esiste davvero un modo per prepararsi a quel vuoto. Destino? Mah, probabilmente potremmo stare qui delle ore a discutere se esista o meno...

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    4. Io sono moooooolto fatalista.
      Ma non voglio spostare l'attenzione dal bellissimo senso del tuo post.
      Buonanotte.

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    5. Magari un giorno uno di noi scriverà un bel post sull'argomento e avremo modo di approfondire le diverse (semmai lo fossero) opinioni. Ciao!

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  3. Io mi sento di dirti solo grazie per questa testimonianza, che vale molto di più delle frasette trite e ritrite ed intrise di retorica e demagogia della politica attuale.
    Mio padre era del '32 e la guerra l'ha vissuta solo come sfollato per fortuna, patendo la fame come un po' tutti i civili di quel periodo.

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    1. Quella a cui assistiamo oggi non è politica: è solo uno squallido teatrino delle poltrone che ci intrattiene ormai dai tempi del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Non che prima fosse meglio, per carità, ma almeno uno riusciva a distinguere la destra dalla sinistra.
      Mia mamma era del '31, per cui ho ben presente ciò che dici. Gli anni in fondo erano gli stessi e poco cambiava se dovevi passarli in una trincea oppure a casa tua, al buio, mangiando solo bucce di patata e torsoli di mela.

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  4. Bellissima testimonianza del tuo rapporto con tuo padre narrato in modo indiretto, indicandoci l'uomo che era tramite i suoi ricordi più sentiti (e le tue riflessioni ci raccontano anche il figlio, che d'altronde abbiamo già imparato a conoscere). I miei genitori la guerra l'hanno vissuta da bambini e infatti non ne hanno percepito la drammaticità, la loro età li ha salvati dalla consapevolezza dell'orrore in cui era caduto il mondo. Mi associo a chi dice che l'emergenza attuale, sebbene sicuramente ci causi disagi e ci porterà effetti collaterali sgraditi per qualche anno, non è comunque minimamente paragonabile a quel buco nero mostruoso che fu la guerra mondiale.
    I tuoi genitori sicuramente possono percepire l'affetto che gli stai continuando a dare onorandone la memoria.

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    1. Gli effetti collaterali del virus già li stiamo vivendo. Basta guardarsi in giro per vedere che il mondo, la gente, è cambiata. Ci guardiamo storto, ci puntiamo il dito addosso e malediciamo il prossimo al quale appiccichiamo addosso l'etichetta di untore senza ascoltarne le ragioni. Rischiamo davvero di essere malmenati per una sciocchezza, così come fu malmenato mio padre per una data "sbagliata" su un carta d'identità.
      Forse è brutto da dire, ma un po' sono contento che mio padre e mia madre si stiano risparmiando tutto questo...

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  5. Curioso capitare a leggere questo tuo sentito post dopo aver finito di leggere oggi tutto d’un fiato La memoria rende liberi di Liliana Segre.
    L’episodio che racconti successo a tuo padre “ colpevole “ di essere nato il primo di maggio può benissimo far parte di uno dei capitoli di quel libro testimone almeno per il sottoscritto di cosa veramente voglia dire restrizioni e privazione della libertà.
    Probabilmente come successe per un periodo alla stessa Segre dopo la liberazione dai campi di sterminio non era presente in lei il desiderio di raccontare quello che aveva passato per difendere se stesse e gli altri dal dolore.
    Forse magari in maniera diversa per esperienze vissute è la stessa cosa che è successa a tuo papà quella di non volerti coinvolgere con i suoi racconti ...forse per difenderti dal dolore.
    Un abbraccio

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    1. Immagino sia andata proprio così, o perlomeno questo è sempre quello che ho creduto. L'altra ipotesi è che mio papà non mi ritenesse, giustamente, in grado di capire a fondo quel periodo storico. Purtroppo i libri di storia non bastano, non sono in grado di ritrarre fedelmente uno scenario che solo gli occhi dei testimoni hanno potuto capire. Le foto dei lager, così come le parole della Segre, sono indubbiamente drammatiche ma non riescono a raccontare tutto e, anche se potessero, inevitabilmente, finiranno per sbiadire con il passare del tempo.

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    2. Dobbiamo continuare noi a farlo per loro ...come dice la Segre quando non ci saranno più testimoni in vita di quelle atrocità il testimone passerà a noi.
      L’importante è non dimenticare.
      Glielo dobbiamo no?

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  6. Caspita però, a Buchenwald! Una vita proprio piena, ovunque sia, grandi rispetti.

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    1. Buchenwald, dove si moriva all'ombra dell'albero di Goethe...
      Grazie.

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  7. Ciao, arrivo in ritardo, un curioso destino mi unisce a tuo padre, in quanto a data di nascita, probabilmente se fossi vissuto in quel periodo avrebbero randellato anche me per lo stesso motivo.
    Ora forse posso rispondere ad una delle tue domande: il Polesine negli anni venti era zona depressa, c'erano ancora tante paludi, si faceva fatica a trovare cibo e si moriva di malaria come se niente fosse..tutte cose che i canti popolari ricordano ancora.
    Il Fascismo avrebbe cominciato di lì a poco una bonifica che però avrebbe risolto solo una parte dei problemi tanto è vero che la zona sarebbe rimasta la meno ricca del Veneto ancora a lungo. Ancora oggi c'è un detto che recita più o meno così: "Rovigo, non m'intrigo" per sottolineare la scarsa attrattività della provincia. Ora, io non conosco nello specifico le motivazioni precise di tuo padre però era normale che tante famiglie emigrassero: le ragazze (assieme alle bellunesi) andavano fino a Roma per fare le cameriere anche se spesso finivano in brutti guai finendo nel giro della prostituzione,molte altre in Piemonte a fare le mondine mentre le famiglie andavano in Lombardia a cercare lavoro. Tanto per dirne una la stessa città di Latina nel Lazio venne costruita per ospitare i coloni veneti molti dei quali erano per l'appunto rodigini (anche se alcuni in Veneto usano il più dialettale "rovigotti")
    Detto sinceramente a me il polesine piace molto perché è una terra ancora ricca di sfide e di tradizioni, non te l'ho mai chiesto, ma nel tuo giro l'anno scorso eri riuscito a passarci?

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    1. Il Polesine lo conosco abbastanza bene perché ho dei parenti laggiù (quelli del lato di mia mamma, anche lei originaria di quelle parti). Ha un fascino strano, dà quasi l’impressione che il tempo si sia fermato. Non posso dire che mi piaccia. O perlomeno non ne sono sicuro.
      Il vero dubbio non è cosa spinse mio nonno a lasciarsi alle spalle Rovigo tirandosi dietro tutta la famiglia (quello posso anche immaginarlo), quanto cosa lo spinse a percorrere 250 chilometri per raggiungere un paesino nel pavese che più insignificante non si può. Non bastava, che ne so, fermarsi a Verona o Mantova?
      Sono anche andato a vedere i luoghi in cui si installarono, per capire cosa possa averlo attratto ma non ho trovato risposta. Posso solo supporre che qualcuno lo avesse chiamato a lavorare lì, altrimenti non si spiega nemmeno come abbia potuto trovarlo, talmente è piccolo (così piccolo che il suo municipio si trova in un altro comune).

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  8. Post bellissimo, OBS.
    Che storia: sembra assurdo, a volte, che cose del genere siano successe davvero.
    Disavventure davvero gravi, profonde, che non possono non cambiare un uomo. Disavventure a cui si sopravvive.

    Moz-

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    1. Il problema è che c'è davvero gente che sostiene che cose del genere non siano realmente avvenute. E questo è l'aspetto più triste, perché è come se i morti venissero uccisi di nuovo.

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    2. Di certo l'intelligenza di quelle persone non è mai nata.

      Moz-

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  9. Grazie per la bella condivisione e per aver perpetuato il ricordo di tuo padre anche qua sul blog.

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    1. Avevo pianificato questo post da anni, credimi, anche se poi ho aspettato l'ultimo minuto per scriverlo.

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  10. Anche mio padre quest'anno avrebbe compiuto cent'anni. Anche lui fu spedito a fare la campagna di Grecia e anche lui finì in un lager.
    E, come te, anch'io tra poco più di tre mesi farò un post come il tuo.
    Mi sembra di sentirti più vicino, ora.

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    1. Sarebbe bello poter credere che mio padre e il tuo sia siano conosciuti. ^_^ Terrò d'occhio il tuo blog in maniera particolare, allora!

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  11. Campare 100 anni è la peggiore disgrazia che possa capitare a un essere umano. Una larva che si trascina strisciando. Io spero di non arrivare nemmeno a 70 anni. Morta mia moglie nel 2011, la mia vita è inutile.

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    1. Settanta sono un po' pochini... facciamo ottanta? :)
      Sulla questione dell'inutilità della vita dopo una tragedia come la tua non starò a questionare, nel senso che saranno stati già in molti a cercare di farti cambiare idea e ne avrai di certo abbastanza.
      Credo anzi che se dovesse capitare a me la penserei nel tuo stesso modo.

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