lunedì 26 giugno 2023

The book of love and pain

"Le mie foto non mi hanno portato da nessuna parte. Ciò che mi sembra più importante è l'arte come dialogo, il fatto di provocare una conversazione." (Slawomir Rumiak) 

Finalmente le nuvole di questo anomalo giugno milanese si squarciano e riescono a dare spazio al caldo infernale che piace a me. Ammetto di essere stato a lungo preoccupato, per via delle vacanze estive già prenotate per questo fine mese, ma con un po' di fortuna dovrei riuscire ad arrostirmi ferocemente al sole come previsto. 
Purtroppo il caldo non è il miglior ingrediente per la realizzazione di buoni post. Recupero quindi una delle mie decine di bozze di post iniziate e mai completate, e provo a vedere se riesco a farne saltare fuori qualcosa di buono. Ne trovo una che ha come protagonista un tizio di nome Slawomir Rumiak, un fotografo polacco i cui scatti, per i motivi che capirete a breve, avevano attirato la mia attenzione qualche tempo fa. 
Sławomir Rumiak è fotografo, videomaker e disegnatore. Nato nel 1972 a Bielsko-Biala, città situata nel sud della Polonia, precisamente in quella storica regione geografica dell'Europa Centrale nota come Slesia. Laureatosi nel 1999 presso l'Accademia di Belle Arti della vicina Katowice (che all'epoca faceva ancora parte dell'Accademia di Cracovia), Rumiak ottenne il riconoscimento internazionale molto presto, addirittura quando era ancora studente. 

lunedì 19 giugno 2023

Orizzonti del reale (Pt.38)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Chi tra di voi ha avuto modo di leggere l'articolo precedente, sa che conclusi dicendo che non sarebbe stato nelle mie intenzioni addentrarmi in considerazioni sui vari mezzi che l’uomo ha mai inventato per raggiungere la trascendenza. Affermai anche che la meditazione, non essendo un processo intellettuale, non può essere compresa con l’intelletto, ma si può soltanto farne esperienza. 
Per ricollegarmi a quanto detto, oggi apro con una piccola parentesi: Maharishi si distacca dalla tradizione buddhista e dai suoi Maestri perché non considera il desiderio come un ostacolo al progresso spirituale, bensì un mezzo essenziale per la sua completezza – il che gli valse l’accusa di voler incoraggiare l’edonismo e spiega, forse, la grande attrattiva generata da questo guru nei confronti dei Fab Four e di molte grosse celebrità degli anni ‘60 e ‘70. 

lunedì 12 giugno 2023

Les Garçons Sauvages

Pensando a quale film inserire nel secondo articolo della rubrica “Obsploitation Visions”, ho avuto una specie di folgorazione: quel film doveva essere “Les Garçons sauvages” (“The Wild boys”), il primo lungometraggio del regista francese Bertrand Mandico, un film svanito perlopiù nell’oblio dopo l’apparizione a Venezia nell’ambito della “Settimana Internazionale della Critica” nel 2017. Se infatti mi diceste che non lo avete mai neppure sentito nominare, non ne sarei poi troppo stupito. Credo che le ragioni siano essenzialmente due, anzi tre. 
Mandico è un personaggio non famosissimo in patria, ancor meno in Italia, nonostante il passaggio a Venezia e la partecipazione alla rassegna “Altre Visioni” di Torino nel dicembre dello stesso anno. In secondo luogo, “Les Garçons sauvages” appartiene al filone del fantastico pur non essendo cinema d’intrattenimento, pertanto non ha un suo pubblico di riferimento: se dovessi descriverlo, direi che somiglia a un’avventura marinaresca “à la Stevenson” e a un racconto di formazione senza rientrare pienamente in nessuna delle due categorie. Di certo non è un film per famiglie, e non è possibile, quindi, accostarlo a opere come quelle del franchise dei “Pirati dei Caraibi”: la violenza nel film di Mandico è più percepibile, secondo me, anche se l’atmosfera surreale in gran parte la camuffa, ma, soprattutto, anche se è dinamico e ricco d’azione, sa intrattenere ma non diverte (non se le vostre aspettative sono riposte in personaggi accattivanti e dalla battuta facile, che schivano pallottole o sciabolate facendo acrobazie degne di un circense).

lunedì 5 giugno 2023

Orizzonti del reale (Pt.37)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Era il 2016 quando pubblicai il mio primo articolo su Timothy Leary. Gli approfondimenti su Terence McKenna sono più recenti, ma comunque datati, il che ha fatto sì che io sia ancora qui oggi, dopo diversi anni, a ripartire da queste due figure. Non dubito che questo possa diventare noioso, per qualcuno, eppure c’è ancora qualcosa da dire, anche perché credo di dover ancora dare un riscontro alle giuste osservazioni che nel tempo sono state fatte sotto forma di commento alle varie puntate di OdR
Spero mi perdonerete se, dopo tutto questo tempo, riprendere il filo del discorso sarà così difficile, per voi, tanto quanto per me lo sarà seguire un filo logico lineare e ineccepibile. In breve, Leary e McKenna menzionarono sette stati di coscienza, avvalorando la tesi che l’esperienza mistica sia causata da un funzionamento alterato del cervello; e poiché è risaputo che entrambi si siano ispirati alla mistica orientale, va detto che anche la Meditazione Trascendentale (MT), tra le altre, opera questa suddivisione in sette stati. 
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