Devo per forza essere impazzito. Non si potrebbe spiegare altrimenti questa mia temeraria iniziativa di voler scrivere a tutti i costi un pezzo su uno dei film più dibattuti del cinema italiano di genere, specialmente in un periodo, quello del cinquantesimo anniversario dalla sua uscita nelle sale, in cui tutti hanno già ampiamente detto la propria.
Eppure, se non questa volta, prima o poi era inevitabile che sarebbe accaduto. In fondo ho sempre considerato “Profondo Rosso” uno dei più grandi capolavori del cinema nostrano, anche se, e questo devo ammetterlo, con il passare degli anni mi sono dovuto più volte ricredere su certe valutazioni che in prima battuta mi avevano fatto gridare al miracolo. “Profondo Rosso” è un bel film d’impatto, ma certamente non è un capolavoro. E forse non è nemmeno il migliore tra quelli girati dal regista romano. Resta indubbio che si tratti del titolo che, nell’altalenante produzione argentiana, più di ogni altro ha influenzato il mio immaginario, e credo che ciò sia abbastanza evidente per coloro (pochi) che hanno avuto l’ardire di seguire pedissequamente questi quasi quindici anni di blog.