domenica 29 gennaio 2012

Norwegian Wood

Norwegian Wood (This Bird Has Flown) è una canzone dei Beatles, scritta da John Lennon, ed inserita nell'album Rubber Soul del 1965 (quello di Michelle, per intenderci). La canzone del quartetto di Liverpool ha ispirato il titolo di un romanzo di Haruki Murakami (村上 春樹) del 1987, Noruwei no mori (ノルウェイの森, Norwegian Wood, appunto). Il romanzo ha ispirato un film,  scritto e diretto da Tran Anh Hung nel 2010 e presentato in concorso alla 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Lasciate perdere i Beatles (a meno che non siate dei fan, ma se lo siete sono problemi vostri e mi dispiace per voi). Lasciate perdere il film (assolutamente superfluo).

Per citare il commento del traduttore, Norwegian Wood è un grande romanzo sull'adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di essere integrati nel mondo degli "altri" per entrare vittoriosi nella vita adulta e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi, costi quel costi. Il protagonista, Toru Watanabe, è continuamente assalito dal dubbio di aver sbagliato o poter sbagliare nelle sue scelte di vita e di amore, ma è anche guidato da un ostinato e personale senso della morale e da un'istintiva avversione per tutto ciò che sa di finto e costruito. Diviso tra due ragazze, Naoko e Midori, che lo attirano entrambe con forza irresistibile, Toru non può fare altro che decidere. O aspettare che la vita (e la morte) decidano per lui.

Ci si domanda come si possa amare contemporaneamente due persone. Ebbene questo aspetto qui sembra ragionevole. Toru, protagonista e voce narrante, non è una brutta persona che tiene il piede in due scarpe per tornaconto personale. Tutt’altro. Toru ama sinceramente entrambe. E per questo cerca di tenere lontano ogni desiderio fisico, proprio per mantenere puri entrambi gli amori. Sia Naoko che Midori sono al corrente dell’esistenza di un’altra persona. Ma l’altra persona non viene vista come una rivale. Ciascuna delle due è consapevole di non essere in grado, perlomeno in quella fase della propria vita, di riuscire a riempire con completezza l’animo tormentato del protagonista. Il lettore, che si immedesima in Toru, si innamora a sua volta di entrambe e si chiede come sarà mai possibile poter rinunciare ad una delle due in favore dell’altra. Vorrebbe che il tempo si fermasse, che tutto potesse rimanere in una sorta di sospensione forzata, affinché si possa continuare a godere della presenza di entrambe. Alla fine invece i nodi vengono sciolti. La scelta sarà obbligata, senz’altro dolorosa, ma inevitabile. E anche il lettore, alla fine, sarà contento di come tutto sommato sarà andata a finire.

Scrivo queste parole di getto per immortalare delle sensazioni che, sento, stanno ormai sbiadendo. Proprio come Toru, che ad un certo punto ammette: “E' per questo che sto scrivendo. Sono uno di quelli che per capire le cose ha assolutamente bisogno di scriverle”. Norwegian Wood naturalmente non è tutto qui. E’ molto di più. E’ un romanzo sull’adolescenza, come ho già detto, e come tale descrive uno dei sentimenti più comuni tra gli adolescenti: la solitudine. Era il normale paesaggio dell’università durante l’intervallo di mezzogiorno. Eppure, mentre guardavo di nuovo, dopo tanto tempo, quella scena familiare, mi accorsi che tutti sembravano felici. Non so se in quel momento lo fossero davvero o se fosse solo un’impressione. Quello che è certo è che in quel pomeriggio di fine autunno, a me apparivano così e questo mi faceva sentire ancora più solo del solito, mi sentivo l’unico elemento estraneo in quel paesaggio. Chi non ha provato mai un momento di solitudine da adolescente? Spesso a quell’età la solitudine è molto bella, perché ti permette di riflettere su tante cose, ma se ti lasci sopraffare, la solitudine può diventare devastante. Non importa se hai degli amici o una fidanzata. Non è questo il punto. Ci si può sentire soli anche in mezzo ad una folla di persone che ti amano. Basta avere lo stato d’animo adatto.  Spesso la si va a cercare la solitudine. Ci si allontana volontariamente, e un po’ masochisticamente, dalle altre persone proprio per provare le sensazioni che solo la solitudine riesce a darti. Sembra pazzesco, ma è proprio questo quello di cui si ha bisogno ad un certo punto della propria esistenza.
Nessun mese poteva esser più triste di aprile da passare da soli. Tutti intorno a me sembravano tristi ad aprile. Mettevano da parte i cappotti, si fermavano a chiacchierare sotto i raggi brillanti del sole, giocavano a lanciarsi la palla col guantone da baseball, si innamoravano. E io ero completamente solo. Naoko, Midori, Nagasawa, tutti per un motivo o per l’altro si erano allontanati da me. Non avevo nessuno che alla mattina mi dicesse “ciao “ o “buongiorno”. Fu in questa solitudine incurabile che passai tutto il mese di aprile. Provai alcune volte a telefonare a Midori ma la sua risposta era sempre la stessa: adesso non mi va di parlare.

La mia dose di solitudine l’ho vissuta due volte nel corso della mia vita. La prima volta fu dopo il diploma. Improvvisamente realizzai di essere completamente solo. Metà dei miei coetanei erano finiti per iscriversi all’università, l’altra metà era partita per militare. Io, che non avrei fatto né una cosa né l’altra, mi ritrovai a dover cercare di dare un senso ad un’interminabile sequenza di giornate vuote. L’unica luce in fondo al tunnel era quel poco tempo nei weekend in compagnia di quel paio di amici di infanzia che mi erano rimasti vicini. Ci misi due anni a trovare un lavoro fisso, con il quale detti finalmente un senso alle mie giornate. Nel frattempo ricordo parecchi piccoli lavoretti utili ad ingannare il tempo (più che a sbarcare il lunario). Piccoli lavoretti di cui un giorno forse scriverò in questo blog. Era una solitudine imposta ma contribuì alla formazione della persona che sono adesso. Non rimpiango quelle giornate ma sono contento di averle vissute. Ho letto molti libri, Henry Miller, Charles Bukowski, Anais Nin, Ernest Hemingway, Gabriel Garcia Marquez, Louis-Ferdinand Céline. Ho provato anche a scrivere, sebbene con scarsi risultati. Come Toru “vivevo senza capire cosa stavo facendo e senza sapere cosa avrei fatto”.
Alle lezioni leggevamo Claudel, Racine, Eisenstein, ma le loro opere esercitavano su di me ben poco fascino. Tra gli studenti del mio corso non mi ero fatto nemmeno un amico, e anche al collegio avevo solo rapporti superficiali. Lì, vedendomi sempre da solo a leggere libri, erano convinti che volessi diventare scrittore, ma io a diventare scrittore non ci pensavo affatto, Non avevo nessuna ambizione particolare. A volte avrei voluto descrivere questa sensazione a Naoko. Ero sicuro che lei sarebbe stata in grado di capire esattamente, almeno in parte, le cose che provavo.
Norwegian Wood è' un libro che è difficilissimo non interiorizzare e rendere proprio. Tanti ricordi salivano a galla leggendolo, troppe situazioni associate e assimilate a quelle di Toru, Midori e Naoko.
Credo che se letto nel periodo “sbagliato” della propria vita possa divenire devastante. Quando un’amicizia o un amore finiscono, per esempio, quando ci si sente impotenti e sbagliati nei confronti del mondo. La seconda fase di solitudine della mia vita fu caratterizzata proprio da una cosa del genere. Fu però la mia una solitudine molto diversa dalla prima. Era una solitudine in qualche modo cercata, trovata, goduta e assaporata. Proprio come Toru “la mia mente andò a tutte le cose che avevo perduto nel corso della vita. Il tempo passato, le persone morte o mai più riviste, le emozioni che non possono rivivere”. Il nostro protagonista va oltre e ad un certo punto ci dice: “E mi chiesi dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov’è lei e dov’è la persona che ero allora, il mio mondo? Ma è inutile, ormai non riesco nemmeno a ricordare facilmente il viso di Naoko, quel che mi resta è solo lo sfondo: un paesaggio senza figure.”. Capito adesso perché sono convinto che, se letto nel periodo “sbagliato” della propria vita, Norwegian Wood possa divenire devastante? Cosa pensi possa rimanere della tua vita se domani la persona più cara che hai dovesse volatilizzarsi? Di quanto tempo avrai bisogno per ricostruire qualcosa dalla macerie? Personalmente ho letto Norwegian Wood in una delle fasi più serene della mia vita ma ciononostante non ha mancato di emozionarmi. In testa un fiume impetuoso che non mi dava tregua. Per non parlare delle volte che mi sono commosso per qualche frase, senza assolutamente avere percezione di quello che accadeva intorno a me. “Smettila di tormentarti tanto.” viene detto a Toru nelle ultime pagine, “Ogni cosa segue comunque il suo corso, e per quanto uno possa fare del suo meglio, a volte è impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito. È la vita. Faccio un po' il grillo parlante ma è ora che tu cominci a imparare certi meccanismi della vita. A volte tu ti sforzi troppo di adattare la vita ai tuoi meccanismi. Se non vuoi finire anche tu in una clinica psichiatrica cerca di essere un po' più aperto e di abbandonarti di più alla vita così come viene. Anche una donna debole e imperfetta come me ogni tanto arriva a rendersi conto di quanto meravigliosa sia la vita”.

Un’ultima citazione riguarda la morte, un argomento quanto mai di attualità visto che, come ben sa chi ha letto i miei post più recenti,  è da poco entrata dalla mia porta portandomi via il mio amato Elvis. Citazione che, riletta adesso, appare inserirsi perfettamente nel contesto di questi giorni di angoscia e dolore. "La morte non è l'opposto della vita, ma sua parte integrante. Fino ad allora io avevo sempre considerato la morte come una realtà indipendente, completamente separata dalla vita. Come a dire: 'Un giorno prima o poi la morte allungherà le sue mani su di noi. Ne consegue che fino a quando ciò non avverrà essa non potrà toccarci in nessun modo? Questo mi sembrava un ragionamento assolutamente onesto e logico. La vita di qua, la morte di là. Io sono da questa parte, e quindi non posso essere da quella. Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii più a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare. Perché la morte che in quella sera di maggio, quando avevo diciassette anni, aveva afferrato Kizuki, in quello stesso momento aveva afferrato anche me.”Citazione, tratta da questo romanzo, che a sua volta affonda le sue radici nella “Lettera sulla felicità” di Epicuro, il grande filosofo greco: "Il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità. Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive. Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell' Ade.”
A coloro che temono la morte dico: "Perchè preoccuparsene? La morte non è qui per noi. Ma il giorno che sarà qui per noi non sarà per farci soffrire. Per noi sarà seplicemente un passaggio. La sofferenza sarà di coloro che ci sopravviverà.

6 commenti:

  1. Ehi questo l'ho visto anch'io! A dire il vero sono arrivato più o meno a metà, poi mi sono fermato. Mi mette una depressione incredibile sto film. Prima o poi finirò di vederlo... :)

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  2. Uhmm... è proprio vero che due persone diverse finiscono per leggere due storie diverse, pur avendo tra le mani lo stesso libro. Non che io non sia d'accordo con quello che dici, solo che nella mia mente si sono fissati altri elementi. La perdita, la debolezza che finisce per travolgere chi non riesce più a rialzarsi, lo scorrere della vita nonostante il sorgere di difficoltà che sembrano insormontabili e gravide di morte...
    Ho adorato Norwegian Wood, credo che sia una creazione di Murakami che si distacca molto dalle altre, più realistica e meno eterea. E anche ieri mi sono ritrovata chissà come a pensare a Midori e a Ryoko, tra i personaggi femminili che adoro di più in assoluto. Naoko invece mi è sempre stata un po' sulle palle.
    E comunque sono cresciuta nel mito dei Beatles e ne sono fiera ù_ù

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  3. Mi è piaciuto questo modo di raccontare il libro, partendo dalla canzone (coincidenze: ho postato pochi giorni fa sul mio blog proprio il video) e passando per la tua vita, le tue letture, quello che hai fatto e pensato.

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  4. Non avrei mai immaginato che ci potessero essere in giro tanti fans dei Beatles. Forse non avrei dovuto scrivere quella "azzardata" frase lassù in cima....

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  5. Bella questa riflessione su Tokyo Blues/Norwegian Wood!
    L'ho letto davvero molto tempo fa, ma alcune cose si sono impresse in me e penso abbiano contribuito alla mia successiva curiosità per il Giappone.
    Il tema della morte è una di quelle: mi sorprendevo, a quei tempi, notando la "naturalezza" con cui Murakami ne scriveva.
    Ma c'è anche un altro passaggio che ricordo: quel vagare nella foresta e cercare il "pozzo" ^_^
    E insomma, ti sto dando un altro input per leggere ancora Murakami! :P

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    1. Sono passati ormai tre anni dalla lettura di Norwegian Wood e i miei ricordi ormai sono legati praticamente a questo post, scritto di getto dopo aver voltato l'ultima pagina. E' un peccato perché a questo punto capisco che non solo avrei molto da leggere ancora di Murakami, ma anche molto da ri-leggere.

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