lunedì 15 luglio 2013

Full Moon Madness

Milano, marzo 2007. Rainbow Club. È lunedì sera e nel locale semibuio ci sono sì e no una cinquantina di persone. O di più, forse anche molte di più ed è la mia memoria che m'inganna, ma cambia poco: il locale, già di suo non grandissimo, è semivuoto. Quando parte la musica, però, i più sfegatati si accalcano davanti al palco saltando, pogando e gridando a squarciagola le parole delle canzoni. Io mi tengo un po' in disparte, sullo sfondo, ma sono ipnotizzato da quello che sta succedendo a pochi metri da me. Alla fine il concerto sarà memorabile. Sarà perché sono portoghesi, ma i Moonspell sono un gruppo, a dir poco, malinconico. Non di quella malinconia cupa e spesso rabbiosa tipica delle terre del nord, no, di una malinconia un po’ più pacata, ma forse anche più disperata.
Lo so, di solito si tende a pensare che le popolazioni di certe aree geografiche debbano essere per forza solari e spensierate, ma nella mia esperienza ho constatato che questo non è affatto vero. In una vecchia intervista Fernando Ribeiro, il singer della band, spiegava la cosa in questi termini: “Se devo dare una connotazione al mio popolo, continua ad essere quella di gente disperata. Può anche portare il sorriso sul viso, ma sono sicuro che la maggioranza delle persone nel mio paese, compresi i giovani, si porta dentro una tristezza che distrugge, un abbandono di speranze nei confronti della vita. È qualcosa che non puoi cambiare, ce lo trasmettiamo geneticamente. E accomuna molte popolazioni del Sud Europa, comprese le nazioni bagnate dal Mediterraneo.”
Al Portogallo sono dedicati moltissimi dei pezzi dei Moonspell, forse anche più di quanti io sia in grado di identificare. La dedica più lampante è contenuta in “Alma Mater”, pezzo struggente che fa parte dell'album “Wolfheart” (al quale le Poste portoghesi hanno dedicato un francobollo speciale, facente parte di una serie dedicata agli album rock più importanti nella storia del paese). Ma io, tra i moltissimi esempi della loro poetica, voglio presentarne altri due che per me hanno un significato molto particolare. Il primo è “Opium”, seconda traccia dell’album “Irreligious” del 1996. Perché? Beh, primo perché mi piace, e poi perché che contiene, alla fine, una citazione tratta dall’opera “Àlvaro de Campos: Opiário” di Fernando Pessoa: “Por isso eu tomo ópio. É un rémedio. Sou um convalescente do Momento, Moro no rés do chäo do Pensamento. E ver passar a vida faz-me tédio.”, ovvero, all'incirca: “Per questo prendo l'oppio. È una medicina. Sono un convalescente del Momento, vivo al livello più basso del Pensiero. E vedere la vita che passa mi annoia.” (Mi scuso se la traduzione non è un granché, d'altronde per tradurre i versi di un poeta ci vorrebbe un altro poeta e io certamente non lo sono...). La citazione, per la precisione, proviene dalla poesia "Opicrio", che narra di un viaggio in barca verso Oriente descritto da un insolito punto di vista. Àlvaro de Campos, tra gli eteronimi (ovvero gli alter ego) di Pessoa, ognuno dei quali utilizzava un certo tipo di scrittura per ottenere intenti artistici particolari, è forse quello che più ha calcato sulle potenzialità depressive dell'espressione poetica. La canzone dei Moonspell è un piccolo inno, chiamiamolo così, al potere creativo dell'oppio, dall'innegabile potere sovversivo. Caso vuole che Ribeiro abbia lo stesso nome di battesimo di Pessoa, ma non è questa l'unica cosa che i due Fernando hanno in comune. Ribeiro infatti ha pubblicato tre libri di poesie (“Come escavar un abismo”, “As feridas essenciais” e “Diálogo de Vultos”) che probabilmente non hanno cambiato la storia della letteratura, ma che mi piacerebbe molto poter leggere, se mai ne trovassi una versione in inglese. Ma Ribeiro è anche un aspirante scrittore di romanzi e sarei davvero curioso di vederlo all'opera con la prosa, per vedere se la sua vena poetica, allo stesso forte e malinconica conserva la stessa incisività anche senza l'apporto della musica.
Il secondo esempio che ho in mente è “Finisterra”, canzone tratta da “Memorial”. Questa volta la mia scelta è dettata da motivi un po' più personali che non la passione per... Pessoa (cosa credevate?). Finisterra: a light at the end of the earth... Per gli antichi romani la penisola iberica era situata alla fine della terra. Oltre c'era l'oceano, e con esso l'inesplorato, l'ignoto. Un orizzonte così spazioso che si spiega davanti a te può essere un grosso stimolo per l'immaginazione, attrarre irresistibilmente, ma allo stesso tempo far paura. Non riesco ad immaginare cosa possa voler dire trovarsi lì, alla fine della terra, con la promessa di qualcosa che non puoi afferrare, essere lì e renderti conto che non puoi andare da nessuna parte. O forse sì, sì che lo so. Ho provato una sensazione simile durante una vacanza a Formentera, tanti anni fa. Una volta mi sono recato al faro situato sulla punta orientale dell'isola (El Pilar de la Mola) e mi sono seduto in un angolo appartato sul bordo della scogliera: nella solitudine e nel buio totale di quella notte senza luna non distinguevo il cielo dal mare, mi sembrava di galleggiare nello spazio, alla deriva su un pianeta o un asteroide errante. Guardavo avanti, affascinato, senza poter distogliere gli occhi, tentato di allungarmi per afferrare non so bene che cosa, e timoroso di farlo. Timoroso di cadere, o di perdermi, o solo di perdere la voglia di tornare indietro.  Bloccato lì con la mia frustrazione, ma anche desideroso che quel momento non finisse mai. Quella per me è stata un'esperienza così speciale che ho desiderato non ripeterla. Un'emozione che ancora mi è rimasta scolpita nel cuore, dopo tanto tempo. Ora quando ascolto Finisterra è a Formentera che penso. Non a quella dei vip, la succursale di Rimini dove tre quarti della gente che incontri parla italiano, ma quella intima e privata che ho intravisto quella notte.
Con gli anni mi sono reso conto di essere anch'io un po' malinconico e forse per questo spesso mi crogiolo nella musica triste. Non pensiate però che la malinconia sia la prima cosa che viene alla mente ascoltando i Moonspell, perché nella loro musica c'è sì profondità e anche una vena di tristezza, ma sono pur sempre un gruppo metal e quindi tutto questo è condito da una buona dose di rabbia e aggressività, oltre che da una visione disincantata della realtà, uno sguardo penetrante e mai banale puntato sul mondo “là fuori”.
I concerti dei Moonspell sono esperienze coinvolgenti, piene di energia. Credo di averne visti diversi, non ricordo di preciso quanti ma sicuramente più di uno. Tra questi ricordo in particolare quello con cui apro ufficialmente (dopo la breve introduzione di qualche giorno fa) la mia nuova rubrica “Certi concerti”.
26 marzo 2007: sembra ieri ma è già passata una vita. Mi precipito fuori dall’ufficio, attraverso la città sgommando ai semafori, insultando gli automobilisti che sembrano fare di tutto per ostacolare il mio cammino e faccio il mio ingresso al Rainbow Club giusto in tempo per un piccolo antipasto death metal a base di Darkside, una band che ascolto distrattamente mentre sono in coda per un succulendo hot-dog e una meritata birra. L’attesa è tutta per gli headliners e mai come quel giorno l’entrata in scena di una band è salutata con una simile ovazione. Il Tour è quello promozionale dell’album “Memorial”, per cui l’intro non può essere che il trittico “In Memoriam”, “Finisterra” e “Memento Mori”, nella stessa sequenza con cui le songs appaiono sull’album. Le scenografie sono cupe e opprimenti. La musica avvolge la sala e il growl di un Ribeiro all’apice della forma trascina l’immaginazione. Mi sembra di non aver mai visto nulla di simile, penso mentre riesco a guadagnarmi un posto privilegiato, da dove riesco a godermi le avvolgenti “Opium”, “Vampiria” e “Alma Mater”. Ma alla fine saranno le note di “Full Moon Madness” quelle che mi rimarranno impresse nel cervello e con le quali mi addormenterò quella sera, un po’ brillo e stordito, ma felice di esserci stato.
Eccomi di nuovo là, nel buio del locale. I miei timpani sono decisamente provati, ma vorrei che questa serata non terminasse mai; e invece purtroppo le cose belle finiscono troppo presto. Il pubblico è scarso e questa situazione avrebbe abbattuto qualcuno con un ego più grande, ma non i Mooonspell, che come sempre hanno speso tutte le loro energie per offrire ai presenti un concerto degno di essere ricordato, una performance ispirata nell'esecuzione come nello spirito. E alla fine ringraziano i propri fan per essere lì, per aver rinunciato a riposarsi dopo una dura giornata di lavoro. “Grazie per essere qui di lunedì sera” dice Ribeiro in inglese. Grazie a voi, ragazzi! Grazie a voi.


5 commenti:

  1. Non conosco i Moonspell, ma il frontman l'ho ascoltato in un duetto (in una libreria!) con André Matos, nel corso della promozione del suo album solista. Malinconico a dir poco, in confronto all'esuberanza del brasiliano! In visita al CERN, un ricercatore portoghese ha definito la sua lingua come qualcosa che "per pronunciarla bene bisogna pensare di essere a un funerale".

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    1. Non per niente il concetto di "SAUDADE"(Saudaji) e' una peculiarità esclusiva, praticamente intraducibile, di quei popoli

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