lunedì 1 luglio 2013

Issun-bōshi

Come forse vi ho già detto, amo le fiabe e leggo volentieri tutti i tentativi di interpretazione (psicologica, antropologica o esoterica che sia) che se ne fanno. Mi affascina soprattutto vedere come dalla stessa matrice possano prender vita storie che parlano della realtà da angolazioni molto diverse (è lo stesso con i miti della religione, se è per quello); del resto siamo umani e tendiamo, con buona pace di Galileo, a mettere noi stessi e ciò che ci circonda più da vicino sempre al centro dell'universo.
Per esempio, sapevate che la storia di una creatura alta appena un pollice è diffusa in molte varianti un po' in tutto il mondo? La fiaba “Tom Pouce” di Charles Perrault del 1697 (ripresa dai fratelli Grimm nel 1800) in italiano si chiama “Pollicino”,  in inglese “Tom Thumb”, in tedesco "Daumesdick”, in spagnolo “Pulgarcito”, in portoghese “O Pequeno Polegar”, e poi ci sono varianti in danese, polacco, russo, olandese…  persino vietnamita. E il Giappone? Di certo non poteva mancare all’appello, anzi quella di cui vi parlerò oggi è proprio la storia del Pollicino del Sol Levante, Issun-bōshi (一寸法師): “Issun-bōshi from OtogizōshiIssun-bōsh”.

Issun-bōshi è innanzitutto una figura mitologica, per la precisione un oni (ovvero un orco), e il suo nome significa letteralmente “persona alta un pollice”, anche se talvolta viene tradotto anche come “il figlio alto un pollice” o anche “il nano alto un pollice” (Issun indica approssimativamente una misura di 3 centimetri di lunghezza). Tuttavia mentre gli oni, gli orchi giapponesi, sono malvagi, Issun-bōshi è buono e coraggioso. Sotto la patina da fiaba, questa storia non è altro che un tradizionale racconto di samurai.
La storia è inclusa nell'opera illustrata “Otogizōshi” e narra di una coppia di anziani, senza figli, che conduce vita ritirata. La moglie, nonostante l'età avanzata, vorrebbe tanto un figlio, e ogni giorno prega gli dei per questo: “Vi prego, donateci un figlio, non importa quanto piccolo”. Ed ecco che un giorno la preghiera viene accolta e un bambino viene alla luce, ma si tratta davvero di un neonato minuscolo, non più grande del dito di una mano. Proprio per questo, i suoi genitori lo chiamano Issun-bōshi.

Nonostante la sua statura i suoi genitori gli si affezionano molto, ma quando Issun-bōshi si rende conto che non potrà crescerà mai, decide di andare all'avventura per scoprire se nonostante questo anche lui può avere un posto nel vasto mondo. Lasciata la casa paterna cerca di darsi una parvenza da samurai cingendosi un ago al fianco al posto della spada. Non fa molta strada, però. Su una ciotola da zuppa usata come barca, e con le bacchette come remi, Issun-bōshi discende appena il fiume fino alla città più vicina, dove cerca un lavoro. Un funzionario del governo lo indirizza presso l'abitazione di un ricco principe (daimyo), che si dice abbia una bellissima figlia. Lì viene deriso per via della sua statura, ma gli viene affidato ugualmente l'incarico di guardia del corpo della principessa. Un giorno, mentre i due sono per strada (o, in un’altra versione, all’uscita di un santuario dove la fanciulla aveva pregato ardentemente di trovare l’amore), vengono attaccati da un oni. L’oni, rendendosi conto che la principessa è scortata da un esserino così minuscolo, si fa una grassa risata e immediatamente inghiotte Issun-bōshi. Lui, però, non si perde d'animo e da dentro lo stomaco lo infilza con la sua “spada”, cosicché quello è costretto a sputarlo fuori. Issun-bōshi lo colpisce anche alla gola e al viso, finché l'oni impaurito non scappa e, nel fuggir via, perde il magico Maglio di Uchide che portava con sé. Per ricompensarlo del coraggio dimostrato, la Principessa usa il potere del maglio per donare ad  Issun-bōshi una statura normale. Tempo dopo i due si sposano e... “ vissero felici e contenti”.

Questa è la versione classica della storia, che rispetto a quella a noi nota in Occidente sembra puntare l'attenzione più sul coraggio del protagonista piuttosto che sulla sua intelligenza (Issun-bōshi si spaccia per un samurai, ma dimostra di possederne davvero le qualità a dispetto della sua statura: il vero samurai ha qualità morali prima ancora che fisiche, e se vince è perché è migliore dell’avversario, e non più scaltro).
Come in molte fiabe, anche in questa ad un certo punto compare un oggetto magico, che agisce da deus-ex-machina per ribaltare completamente il destino di Issun-bōshi: è l’Uchide-no-Kozuchi (打ち出の小槌), ovvero il Maglio di Uchide. Appartiene alla tradizione giapponese, e qui è descritto come un oggetto di dimensioni ridotte, ma con la peculiarità di permettere a chi lo impugna di realizzare i propri desideri. Talvolta le statuine tradizionali dei Maneki Neko ( 招き猫), i simpatici “gatti della fortuna” (che si trovano all’ingresso dei locali pubblici giapponesi, ma che si possono acquistare anche come portafortuna praticamente ovunque), con una o entrambe le zampe sollevate in modo beneaugurante, stringono il Maglio di Uchide nella zampa destra.

Quello di genitori che ricevono in dono un figlio come ricompensa per la loro devozione e le loro preghiere è un tema molto frequente nei racconti popolari giapponesi. A noi ricorda non solo le fiabe, ma anche la storia di Sara, la moglie del biblico patriarca Abramo, che benché sterile riuscì miracolosamente a concepire il figlio Isacco in tarda età per concessione divina.
I “figli della preghiera” sono destinati a compiere imprese straordinarie, ma soprattutto a conquistare prestigio sociale tramite il matrimonio e un incarico importante, proprio come in questo racconto Issun-bōshi conquista l'amore di una donna bella e di alto lignaggio, ottiene una statura normale e diventa un famoso samurai.
Come spesso accade, ci sono però altre versioni che prendono una piega molto differente.
Una di queste si intitola sempre “Issun-bōshi”, ma è in effetti la storia di Mamesuke, che significa “ragazzo fagiolo”. È  molto simile alla storia narrata sopra, senonché Mamesuke nasce da un rigonfiamento sul pollice di sua madre, e non dal suo ventre, e non possiede ago, né scodella o bacchette. Quando lascia la casa paterna, tutto quello che porta con sé è un sacco di farina, e invece che per il Principe si ritrova a lavorare per un ricco mercante di vino che vive con le sue tre figlie. Mamesuke si invaghisce della secondogenita, ed escogita uno stratagemma per poterla sposare. Una notte le versa sulla bocca della farina del suo sacco, e getta quel che resta nel fiume. La mattina dopo di buon’ora si mettere a urlare a gran voce, lamentandosi che la sua farina è sparita; e quando lo aiutano a cercarla, ne scoprono le tracce addosso alla fanciulla. Lei spergiura di non aver toccato la farina, ma la sua famiglia non le crede e decide di darla in sposa a Mamesuke come risarcimento. Il furbacchione decide di portarla a casa con sé, nel paese natio, e sebbene durante il viaggio la sua neomoglie cerchi a più riprese di assassinarlo in preda alla rabbia, non ci riesce. I genitori accolgono Mamesuke a braccia aperte e si mostrano entusiasti della sua sposa. Non appena lui va a fare il bagno e le chiede di lavargli la schiena, lei cerca di annegarlo smuovendo l’acqua della vasca con una scopa. Nella concitazione  gli dà un colpo con il manico e lo ferisce: ed ecco che dalla ferita aperta sul corpo di Mamesuke esce un uomo adulto di statura normale. Di nuovo, e vissero felici e contenti... Questa storia negli intenti è più simile alla versione che conosciamo noi, in quanto sottolinea l’ingegno del protagonista e non il suo coraggio o determinazione.

Esiste incredibilmente anche una versione “per adulti” della storia, che si chiama “The Love Affair of Issun-bōshi”. La prima parte della storia, finché il nostro protagonista non arriva in città, è essenzialmente la medesima. Quando Issun-bōshi fa la conoscenza del Principe, riesce a convincerlo ad assumerlo dicendogli che è in grado di fare qualunque cosa: egli danza per il Principe e lo diverte a tal punto che gli viene proposto di fare le veci di “dama di compagnia” alla sua unica figlia. Dapprima Issun-bōshi si limita a intrattenerla, ma in seguito comincia a passare sempre più tempo con lei, dall’alba fino al tramonto, quando per farla addormentare le racconta delle storie della buonanotte. A poco a poco egli si innamora di lei e, inverosimilmente, alla fine viene invitato a dormire nel suo letto dove la vicenda si tinge di… luci rosse. Quando un giorno poi la Principessa si reca al tempio per pregare, accompagnata da Issun-bōshi, ma i due vengono attaccati da degli oni. Issun-bōshi li sconfigge e tramite il maglio magico acquista una statura normale, proprio come nella storia classica. Quel che differisce è il finale, che dopo il tono comico-boccaccesco della prima parte fa virare decisamente la storia verso il grottesco e il macabro: Issun-bōshi e la Principessa cominciano a litigare e a colpirsi con il maglio finché non si uccidono a vicenda (!!!). Questa storia ha ispirato il personaggio di Issun nel gioco Ōkami, un pervertito che ne combina di tutti i colori.
Nella versione modernizzata della fiaba, molto simile a quella originale, invece, alcune asperità del racconto sono state eliminate per renderlo adatto a persone di tutte le età. Per esempio, Issun-bōshi non abbandona la casa dei genitori, ma viene invitato da loro ad esplorare il mondo per fare esperienza; quando conosce la figlia del mercante, non viene disprezzato da lei, anzi il suo amore viene immediatamente ricambiato; e alla fine, dopo essere magicamente cresciuto in statura, diventa un vero samurai. Per contro, stranamente, questa storia ha un finale aperto al posto del classico happy ending.
Secondo l'IMDB, la storia di Issun-bōshi avrebbe avuto quattro versioni cinematografiche: un corto del 1918 del regista Seitaro Kitayama, un film del 1927 di Sanjugo Naoki e Seika Shiba, uno del 1948 di Tetsuo Ichikawa e infine uno del 1955 per la regia di Seiichirô Uchikawa. I soggetti di tre di questi film derivano da una nostra vecchia conoscenza, Edogawa Rampo, in collaborazione con Sanjugo Naoki (1927), Tsutomu Sawamura (1948) e Kennosuke Morooka (1955).



2 commenti:

  1. Ma dai, che storia! Soprattutto l'ultima, dove se non altro il maglio serve al suo scopo! :D

    Ti dirò, non sono un fan di pollicino.

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    1. L'ultima è ancora più tipicamente giapponese, se posso dirlo. :)

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