Credo che per poter cogliere appieno anche le più sottili sfumature di questo film olandese, dal curioso titolo di “170 Hz”, bisognerebbe immedesimarsi completamente nei suoi due protagonisti. Bisognerebbe in primis avere un’età vagamente “tardo-adolescenziale”, se mi passate il termine, e in secondo luogo avere alle spalle una famiglia discretamente alto borghese, in modo da potersi permettere, senza grosse ripercussioni, uno spensierato atteggiamento da “rebel without a cause”. Su quest’ultimo punto non posso esprimermi, visto che provengo da una famiglia operaia (anche se l’idea di fare il ribelle è balenata nella mente anche a me ad un certo punto, un po’ come a tutti, senza tuttavia risultare credibile nemmeno a me stesso). Sul primo punto mantengo pure qualche riserva: è vero che un “tardo-adolescente” lo sono stato anch’io qualche tempo fa, ma è anche vero che ho trascorso quegli anni meravigliosi a zonzo nelle periferie di Milano, anziché in una moderna e disinibita città del Nord Europa. Ah, dimenticavo… e in terzo luogo bisognerebbe essere sordomuti, come Evy e Nick, i due teenager di cui sopra. Queste sono le premesse.
Quest’ultimo particolare, tutt’altro che insignificante, non viene a galla immediatamente durante la visione del film: esso si apre mostrandoci la coppia che si rotola sulla spiaggia, in un gioco tra innamorati che non ha bisogno di dialoghi. In seguito scopriamo che i due comunicano l’un l’altro con il linguaggio dei segni, il che fa sorgere in noi la domanda su chi dei due sia il meno fortunato. Solo più tardi scopriremo che lo sono entrambi.
La storia? Altro non è che una storia d’amore tra due giovani, una di quelle storie tormentate, tra alti e bassi, tra momenti di grande passione e momenti di altrettanto grande depressione. Ci siamo passati più o meno tutti, anche se magari non con gli stessi opposti estremismi. È la storia di un amore incondizionato, senza compromessi, un amore che cerca la propria sublimazione in una libertà che appare impossibile. L’originalità sta proprio nel fatto che ci viene mostrato un amore muto, privo di rumori, privo di parole. Come può essere un amore se non si ha modo di percepirne i sospiri?
Il film, lo avrete già capito, è quasi completamente privo di dialoghi. Tutto è praticamente lasciato alle immagini ed ai rumori di sottofondo che solo noi, spettatori attoniti, riusciamo a percepire. Ma è questa la sua vera forza. Il giovane cineasta olandese Joost van Ginkel ha fatto di “170 Hz” un film sorprendente, un film che sbalordisce e che non può lasciare indifferenti.
Evy (Gaite Jansen) è una sedicenne che vive con i genitori in una villa incredibile, una di quelle dimore che di solito riusciamo ad ammirare soltanto sulle riviste di design, quelle con ampi spazi, arredamento minimalista, scalinate che salgono e che scendono, grandi vetrate affacciate sul verde e pareti di un bianco accecante e dalle curvature impossibili. Nick (Michael Muller) è un diciannovenne che ha deciso di tagliare i ponti con un genitore che non sopporta più. Quando il padre si presenta con una costosissima macchina nuova, Nick non trova di meglio che pisciargli sui sedili tutto il suo disprezzo. I due non vivono assieme: Nick ha deciso di vivere da randagio e di fare di un vecchio autobus abbandonato la sua nuova casa. Evy non può che infatuarsi di un ragazzo talmente “bello e dannato” e che, ciliegina sulla torta, condivide con lei lo stesso grande problema. Il loro sogno è quello di fuggire e di trascorrere il resto della propria vita in un contesto fatto solo di baci e carezze. Evy cerca tuttavia anche la benedizione dei propri genitori che, naturalmente, fatica ad arrivare (visto che Nick non è esattamente il genero che tutti vorrebbero avere) e, come nelle favole (?), i due fuggono e finiscono per trovare rifugio nel relitto di un vecchio sottomarino nucleare sovietico incagliato nella baia. Forse un giorno, quando partorirà il suo bambino, Evy riuscirà a far accettare le sue scelte ai propri genitori, e forse potrà tornare a riabbracciarli. Quello che Evy però non sa è che Nick ha un motivo in più per non tornare indietro. Un motivo terribile che segnerà il loro tragico destino.
È all’interno del sommergibile che si svolge gran parte della narrazione ed è proprio in questo ambiente claustrofobico che le tinte si fanno via via più oscure. Noi spettatori abbiamo un grande vantaggio: quello di riuscire a sentire i rumori. E non avete idea di quanti strani rumori si producano, senza che possiamo localizzarne la fonte, all’interno di un sommergibile semi affondato. Rumori da far venire la pelle d’oca. Avete presente quei terrificanti rumori di lamiere che produceva il Titanic nel film di James Cameron mentre affondava? Ecco, ci siete. Evy e Nick però non li sentono e tutto sommato è meglio così. Noi proviamo una strana sensazione di disagio, come se stessimo guardando un thriller, loro invece appaiono sereni e innamorati: un bel mix di sensazioni contrastanti, non c’è che dire. Ma il momento saliente del film, quello che in un certo qual senso mi ha spinto a scrivere questo articolo, è una scena girata in slow-motion dove i due, completamente nudi, si prendono l’un l’altro a secchiate di vernice rossa. Una scena incantevole, che ti costringe a fissare lo schermo a bocca aperta, completamente imbambolato. Da vedere!
Resta solo da chiarire il significato del titolo. Ho letto qua e là sul web che 170 Hz sarebbe la massima frequenza acustica che i protagonisti riuscirebbero a percepire, l’equivalente di un sussurro, qualcosa che si riesce appena a percepire (ad un certo punto Evy racconta a Nick il ricordo, o forse il sogno, dell’unica volta nella vita in cui è riuscita a sentire dei rumori; forse l’unico, esile collegamento al titolo nel corso della narrazione). Ho cercato di capirne di più ma mi sono perso tra complicati rapporti tra frequenza (Hz) e potenza (dB), per cui ho preferito lasciar perdere. Chissà quanti, come me, si saranno chiesti il significato del titolo senza trovare risposta? Qualcuno ha detto che la mente geniale è quella che la maggior parte della gente non riesce a capire. Non ne sono del tutto convinto, ma vivo e lascio vivere.
Sembra veramente un film molto particolare: già la sottrazione dei dialoghi a favore del sonoro ambientale mi attira, inoltre i fotogrammi qui presenti catturano immediatamente lo sguardo e sono certamente un ottimo biglietto da visita. Quando ho letto della comunicazione tra i due innamorati attraverso il linguaggio dei segni, per un attimo mi è venuto in mente il finale de "L'estate di Giacomo"...
RispondiEliminaLo segno subito, grazie obsidian!
E' proprio la scena che ho riportato nei fotogrammi che vedi qui che mi ha convinto a scrivere questo post. Indimenticabile!
EliminaMi accodo. Sembra davvero un film originale,da non perdere. Grazie!
RispondiEliminaDecisamente originale, non c'è dubbio.
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