Questa storia l’ho già raccontata altre volte su questo blog, ma sono passati più di due anni dall’ultima volta e dubito che qualcuno se la ricordi, anzi, dubito addirittura che qualcuno possa averla mai letta. È la storia di un ragazzino delle scuole medie che vedeva nascere dentro di sé una delle passioni che lo avrebbero accompagnato per sempre: quella del cinema. C’era una sala a 100 metri da casa mia dove trascorrevo le domeniche pomeriggio, a volte con qualche amico, più spesso da solo, sgranando gli occhi sognanti di fronte ad inarrivabili eroi. Erano gli anni di Guerre Stellari e della Febbre del Sabato Sera. Allora non era strano che un bambino potesse avventurarsi al cinema da solo. Il mondo non era come oggi, pieno di maniaci assassini e stupratori di bambini (o forse c’erano anche allora, ma noi eravamo più spensierati e incoscienti di quanto siamo oggi), per cui i miei genitori mi permettevano tranquillamente di uscire da solo il pomeriggio e rientrare per l’ora di cena. I soldi della mia misera paghetta settimanale finivano tutti in quella sala cinematografica di paese, che resistette per diversi anni alla crisi del settore (ad un certo punto tentò di salvarsi passando al porno, per poi chiudere definitivamente i battenti alla fine degli anni Ottanta). Oggi credo abbia che in quegli spazi abbia trovato posto una banca, ma non ne sono nemmeno certo. Il cinema di quei tempi era incredibilmente vario: guardavo di tutto, dalle sparatorie dei western agli inseguimenti dei mitici polizieschi all’italiana con Maurizio Merli, dalle scazzottate di Bud Spencer ai gialli di Dario Argento. Se penso che oggi i bambini di 10 anni si impaludano con Harry Potter e i Transformers, ebbene direi che sono davvero contento di essere nato (ben oltre) 40 anni fa.
Una delle cose che più adoravo di quel cinema era la particolare predilezione a proiettare, almeno una domenica su due, film horror. Passavano titoli che sarebbero in seguito divenuti dei cult assoluti, come lo “Zombi” di Romero o il “The Fog” di Carpenter, passavano i goduriosi film sugli animali killer, come “Lo squalo” di Spielberg o come “L’orca assassina” di Michael Anderson. Ma ciò che veniva proiettato con maggior frequenza era il trash più trash che memoria d’uomo ricordi, come quei clamorosi, farlocchissimi, Zombi-sequel diretti da Lucio Fulci e altra roba che oggi fortunatamente ho rimosso.
Ma tra tutti quei fotogrammi che scorrevano freneticamente davanti ai miei occhi, ce ne sono stati alcuni che ancora oggi rivedo con un certo disagio e una inspiegabile angoscia. Sto parlando naturalmente del primissimo ed originale “Phantasm” di Don Coscarelli (o forse farei meglio a chiamarlo “Fantasmi”, così come fu distribuito in Italia all’epoca), al quale è dedicato questo post e quelli che seguiranno da qui alla fine del mese.
Prima di parlare nello specifico di del film, argomento che mi riservo di farvi attendere ancora per qualche giorno, volevo cercare oggi di capire con voi i motivi per cui “Phantasm” sia divenuto il mio film di culto, provando a magari a mettere un po’ d’ordine tra i ricordi sbiaditi di quel ragazzino e la lucidità (o presunta tale) della versione adulta dello stesso.
La storia narrata da Coscarelli vede come protagonista Mike (Michael Baldwin), un tredicenne insicuro che, dopo la morte dei genitori, vive nel timore perenne che anche il fratello maggiore, Jody (Bill Thornbury), possa abbandonarlo. Questo è il primo punto su cui riflettere. Il tema della perdita e dell’abbandono è un classico della psicanalisi e se, come ha fatto Coscarelli, lo materializziamo nel corpo di un ragazzino, ecco che subentra inevitabile l’identificazione. Secondo punto: un giorno, dopo aver assistito al funerale di un amico di famiglia, il giovane Mike si accorge che il becchino (Angus Scrimm), al termine della cerimonia, cioè quando tutti se ne sono andati, anziché terminare di sotterrare la bara la carica sul carro funebre e se la porta via, chissà dove. Ecco un altro tema interessante: la paura della morte o, più nello specifico, la paura di ciò che accadrà al nostro corpo dopo la morte. Terzo punto: Mike comincia ad indagare, nonostante le proteste di Jody che, incredulo, lo reputa un ragazzino con troppa immaginazione. Ciò che Mike scoprirà non ve lo anticipo, ma posso dirvi che di quei cadaveri, sottratti alla terra, il nostro becchino saprà bene cosa fare. Il terzo tema potrebbe quindi essere la paura del dopo, cioè del destino dell’anima, semmai ne esista una. Quarto punto: il rapporto tra i due fratelli appare per taluni aspetti, come dire, quasi morboso. Orfani, come detto, di entrambi i genitori, si inseguono, cercando di proteggersi a vicenda, ma allo stesso tempo si respingono. Il tema qui è quello della famiglia vista come l’unica possibile difesa dalle forze del male.
Non mi resta che proiettare sul “me stesso bambino” i quattro temi del film e vedere se riesco a cavarne qualcosa di sensato. Come dicevo prima, il blogger che oggi trovate qui a scrivere questeputtanate righe era, in quegli anni, un coetaneo del Mike-personaggio di “Phantasm”. Un ragazzino come Mike ma con una differenza sostanziale, cioè quella di essere figlio unico. Mi immagino già orde di psicanalisti pronte ad indicare nella mancanza di fratelli e sorelle il nocciolo della questione. Personalmente non credo di aver mai invidiato i fratelli e le sorelle degli altri, ma forse è normale, considerato il fatto che non ho mai provato l’esperienza di condividere ciò che normalmente si condivide tra fratelli. Resta il fatto, qualcuno osserverà, che forse non è del tutto normale che un ragazzino di tredici anni se ne veda al cinema da solo la domenica pomeriggio a guardare film dell’orrore.
Per quanto riguarda la paura della perdita, penso fosse un concetto troppo prematuro per poterlo considerare. Si può dire che in quegli anni vivevo al riparo dalle brutture del mondo reale. È vero, avevo già le mie piccole fregole pre-adolescienziali, i miei piccoli traumi da innamoramenti randomici non corrisposti, ma non c’era nulla che mi spaventasse davvero, almeno a livello conscio.
A livello inconscio, beh, di quello credo si possa anche parlare. Sebbene la morte non avesse mai bussato direttamente alla mia porta, sentivo che qualcosa di terribile sarebbe potuto un giorno capitarmi, anche se non ne avevo ben chiare le modalità. Quei cimiteri, dove talvolta mi capitava di venire portato in visita ad antenati mai conosciuti, mi mettevano nella condizione di farmi delle domande. Cosa ci faceva tutta quella gente sotto quelle lapidi? Chi erano prima di finire in quel posto? Erano come me? Ma erano davvero là sotto, oppure erano “in cielo” come mi si diceva? Ma se erano in cielo, allora cosa c’era là sotto?
Ripensandoci adesso credo che il succo del discorso sia tutto qui. Il film di Coscarelli aveva dato forma alla mia domanda “proibita”, al mio incubo più segreto: cosa ne sarà di noi? Oggi, trent’anni dopo, non l’ho ancora capito.
Una delle cose che più adoravo di quel cinema era la particolare predilezione a proiettare, almeno una domenica su due, film horror. Passavano titoli che sarebbero in seguito divenuti dei cult assoluti, come lo “Zombi” di Romero o il “The Fog” di Carpenter, passavano i goduriosi film sugli animali killer, come “Lo squalo” di Spielberg o come “L’orca assassina” di Michael Anderson. Ma ciò che veniva proiettato con maggior frequenza era il trash più trash che memoria d’uomo ricordi, come quei clamorosi, farlocchissimi, Zombi-sequel diretti da Lucio Fulci e altra roba che oggi fortunatamente ho rimosso.
Ma tra tutti quei fotogrammi che scorrevano freneticamente davanti ai miei occhi, ce ne sono stati alcuni che ancora oggi rivedo con un certo disagio e una inspiegabile angoscia. Sto parlando naturalmente del primissimo ed originale “Phantasm” di Don Coscarelli (o forse farei meglio a chiamarlo “Fantasmi”, così come fu distribuito in Italia all’epoca), al quale è dedicato questo post e quelli che seguiranno da qui alla fine del mese.
Prima di parlare nello specifico di del film, argomento che mi riservo di farvi attendere ancora per qualche giorno, volevo cercare oggi di capire con voi i motivi per cui “Phantasm” sia divenuto il mio film di culto, provando a magari a mettere un po’ d’ordine tra i ricordi sbiaditi di quel ragazzino e la lucidità (o presunta tale) della versione adulta dello stesso.
La storia narrata da Coscarelli vede come protagonista Mike (Michael Baldwin), un tredicenne insicuro che, dopo la morte dei genitori, vive nel timore perenne che anche il fratello maggiore, Jody (Bill Thornbury), possa abbandonarlo. Questo è il primo punto su cui riflettere. Il tema della perdita e dell’abbandono è un classico della psicanalisi e se, come ha fatto Coscarelli, lo materializziamo nel corpo di un ragazzino, ecco che subentra inevitabile l’identificazione. Secondo punto: un giorno, dopo aver assistito al funerale di un amico di famiglia, il giovane Mike si accorge che il becchino (Angus Scrimm), al termine della cerimonia, cioè quando tutti se ne sono andati, anziché terminare di sotterrare la bara la carica sul carro funebre e se la porta via, chissà dove. Ecco un altro tema interessante: la paura della morte o, più nello specifico, la paura di ciò che accadrà al nostro corpo dopo la morte. Terzo punto: Mike comincia ad indagare, nonostante le proteste di Jody che, incredulo, lo reputa un ragazzino con troppa immaginazione. Ciò che Mike scoprirà non ve lo anticipo, ma posso dirvi che di quei cadaveri, sottratti alla terra, il nostro becchino saprà bene cosa fare. Il terzo tema potrebbe quindi essere la paura del dopo, cioè del destino dell’anima, semmai ne esista una. Quarto punto: il rapporto tra i due fratelli appare per taluni aspetti, come dire, quasi morboso. Orfani, come detto, di entrambi i genitori, si inseguono, cercando di proteggersi a vicenda, ma allo stesso tempo si respingono. Il tema qui è quello della famiglia vista come l’unica possibile difesa dalle forze del male.
Non mi resta che proiettare sul “me stesso bambino” i quattro temi del film e vedere se riesco a cavarne qualcosa di sensato. Come dicevo prima, il blogger che oggi trovate qui a scrivere queste
Per quanto riguarda la paura della perdita, penso fosse un concetto troppo prematuro per poterlo considerare. Si può dire che in quegli anni vivevo al riparo dalle brutture del mondo reale. È vero, avevo già le mie piccole fregole pre-adolescienziali, i miei piccoli traumi da innamoramenti randomici non corrisposti, ma non c’era nulla che mi spaventasse davvero, almeno a livello conscio.
A livello inconscio, beh, di quello credo si possa anche parlare. Sebbene la morte non avesse mai bussato direttamente alla mia porta, sentivo che qualcosa di terribile sarebbe potuto un giorno capitarmi, anche se non ne avevo ben chiare le modalità. Quei cimiteri, dove talvolta mi capitava di venire portato in visita ad antenati mai conosciuti, mi mettevano nella condizione di farmi delle domande. Cosa ci faceva tutta quella gente sotto quelle lapidi? Chi erano prima di finire in quel posto? Erano come me? Ma erano davvero là sotto, oppure erano “in cielo” come mi si diceva? Ma se erano in cielo, allora cosa c’era là sotto?
Ripensandoci adesso credo che il succo del discorso sia tutto qui. Il film di Coscarelli aveva dato forma alla mia domanda “proibita”, al mio incubo più segreto: cosa ne sarà di noi? Oggi, trent’anni dopo, non l’ho ancora capito.
non che io ami Battisti, ma...
RispondiElimina"lo scopriremo solo vivendo", ops, volevo dire "morendo"
hai fretta?
abbi pazienza, oggi sono un po' così...
Nessuna fretta. Nessuna fretta.
EliminaPost bellissimo!
RispondiEliminaAmo quando le recensioni e le analisi vengono mixate coi ricordi.
Io sono stato figlio unico per sei anni e mezzo, era un bel periodo XD
Comunque credo che a quell'età hai solo una percezione confusa, ovattata e lontana di certe tematiche.
Moz-
...e se poi me lo confermi tu che sei un "eterno dodicenne" allora significa che è proprio vero. :)
EliminaL'inizio di questo post fa molto "Nuovo Cinema Paradiso", un bellissimo film.
RispondiEliminaBella riflessione, TOM!
E grazie per aver partecipato all'iniziativa "Una parola al mese". Metto subito il link nel mio post.
Dici che potrei fare un film sulla mia vita? (°+°)
EliminaVerresti a vederlo, nel caso?
Ovviamente!
EliminaMolto molto suggestivo, e in qualche modo esplicativo dei tuoi interessi.
RispondiEliminaLa mia passione per la cultura giapponese è iniziata proprio per il mio interesse ossessivo per il mondo che vedevo in quei primi cartoni animati non-robottonici in cui c'erano scuole con ragazzi e ragazze in divisa, club di baseball, estremo rigore e compostezza e gigantesco spirito di sacrificio.
Capisco benissimo. D'altra parte nemmeno io ho mai nascosto che il Giappone sia un'altra delle mia passioni.....
EliminaHeilà, TOM, a livello cinematografico abbiamo avuto più o meno la stessa infanzia; nel mio caso devi però anticipare tutto di almeno un quinquennio. Anch'io da bambino ero fisso al cinema: Tarzan, Disney, Franco e Ciccio, Ringo, tanti horror, ma anche, tra gli altri (a dodici anni), Malizia :)
RispondiEliminaMalizia a dodici a anni? Complimenti! Ma ai tuoi cosa raccontavi? Ah già.. Franco e Ciccio...
EliminaNon so come andavano le cose nei tuoi anni, ma la sessualità di noi ragazzini dei primi anni '70 era esplosiva. I nostri vecchi non sarebbero mai riusciti a contenerla neanche se ci avessero provato :D
EliminaDimenticavo: i locali del mio cinema hanno ospitato per un pò una discoteca, adesso ospitano un Penny Market. Segni dei tempi :(
Ho paura che dieci anni in quel periodo bastarono per cambiare molte cose...
EliminaCondividiamo gli stessi gusti e la stessa formazione giovanile, l'unica differenza è che io provengo da una famiglia numerosa però la formazione cinematografica è stata la stessa.
RispondiEliminaGran bel post TOM.
Condividiamo anche il fatto che siamo entrambi due vecchietti, mi sa... ^_^
EliminaQuindi sarà tutta una serie di post su questa serie? E questo post non è conclusivo?
RispondiEliminaConclusivo? Ma se ho appena cominciato! ^_^
EliminaQuesto film non lo conoscevo, grazie x la segnalazione :)
RispondiEliminaMi sto rendendo conto in questi giorni che sono davvero in pochi a conoscerlo....
EliminaAnch'io mi ricordo i bei vecchi cineforum accanto all'oratorio, ma a Milano dove sono nata e abitavo. Mi ricordo che potevi entrare, sedere dove volevi e vedere il film anche 2 volte, nessuno ti cacciava via. Che tristezza ora quei multisala così impersonali.
RispondiEliminaComunque mio marito mi diceva che a Cinisello c'erano ben cinque cinema, chiusi progressivamente e ridotti a un solo, il Pax cinema-teatro, che rimane aperto soltanto perché è gestito dalla parrocchia e con volontari.
Cinque, dici? Oltre al Pax che tu stessa hai citato me ne vengono in mente altri tre: il Continental di via Garibaldi, proprio di fronte alla Coop (che è quello a cui mi riferisco nel post), il Nuovo di viale Rinascita, dove adesso c'è la farmacia, e il Marconi in via Libertà, che è stato chiuso da non più di cinque anni, che io sappia. Il quinto qual era? Ti prego, sono curioso, interroga tuo marito!
EliminaMi faccio un nodo al mio fazzoletto mentale! ;-)
EliminaEccomi con il Quinto Cinema: era il Capitol in zona Crocetta dove ho abitato nei primi anni di matrimonio. All'epoca era un cinema con galleria, ideale per le coppiette. Infatti Ruggero mi ha detto che si pagava un po' di più per andare di sopra. Dopo è diventato il Copacabana con il dancing e ora è definitivamente chiuso e ridotto allo stato di rudere.
EliminaYeeeessss! Il Capitol! E' vero! Probabilmente è stato anche il primo dei cinque a chiudere, ecco perché lo avevo rimosso.
EliminaP.S.: se poi vogliamo contare il cinema al parco... diventano sei
Il cinema nel parco funziona ancora, ma lo evito accuratamente per due motivi: è caro quanto un cinema al chiuso e poi ci sono zanzare grosse come dei biplani.
EliminaHo ben presente... ^_^
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