venerdì 15 maggio 2015

Vita e morte di Jorge Riosse (Pt.1)

Jorge si chiuse finalmente la porta alle spalle. Ansimava per la lunga corsa. Il buio attorno a sé era in quel momento pressoché assoluto, ma quello era il suo appartamento, non aveva bisogno della vista per riconoscere la confortante atmosfera di pace che quel luogo solitamente era in grado di fargli respirare. L’interruttore della luce era a pochi centimetri da lui, raggiungibile con un semplice e rapido gesto della sua mano sinistra, ma non azzardò alcuna mossa. Nessuna luce, nessun rumore, nulla che potesse regalare ai suoi inseguitori un indizio sulla sua presenza. Cercò di controllare il proprio respiro: in quelle condizioni si sentiva completamente vulnerabile, nonostante la solida struttura della porta sulla quale poggiava le spalle. Inspirazione. Espirazione. Inspirazione. Espirazione. Aveva trovato il ritmo giusto. Respirava meglio ora, più silenziosamente, più discretamente. Se qualcuno fosse arrivato in quel momento non lo avrebbe certo udito. Qualcuno. Sì, qualcuno sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro, doveva tenerlo ben presente. Anzi, quel qualcuno sarebbe potuto già essere lì, a pochi centimetri da lui, oltre quella soglia, magari con l’orecchio appoggiato a quella stessa porta in silenziosa attesa di un rumore, di un impercettibile rumore rivelatore. Jorge sudava freddo ora. Si asciugò le mani sui pantaloni cercando nel contatto con il tessuto un po’ di quel calore che sembrava aver abbandonato il suo corpo. Era quasi certo che nessuno lo avesse visto infilarsi nell’androne e, anche se su questo punto fosse stato in errore, era certissimo che nessuno potesse aver notato quale fosse la porta che si era appena chiuso alle spalle. Maledetti mostri. Cosa avrebbero fatto? Avrebbero avuto il coraggio di infilarsi in quello stesso androne a quell’ora della notte? Lo avrebbero cercato? Avrebbero origliato dietro tutte le porte? Le avrebbero sfondate?
No, questo no, questo di certo lo poteva escludere. Quelle creature non lo avrebbero fatto, non avrebbero potuto rivelare la loro presenza ad altri se non a lui, a lui che aveva visto l’orrore con i propri occhi, un orrore indicibile, l’orrore più grande che essere umano avrebbe mai potuto immaginare. Era immobile ormai da almeno dieci minuti e nessun rumore sembrava provenire dal corridoio oltre la porta. Una vocina dentro di sé gli suggeriva comunque prudenza, assoluta prudenza. Non aveva alcuna certezza riguardo i suoi inseguitori, non aveva idea di quanti fossero, non li aveva visti se una volta, di sfuggita, quando si era reso conto che era proprio su di lui che quegli esseri avevano concentrato la loro attenzione non più di una mezz’ora prima.

Stava camminando come ogni notte immerso nei suoi pensieri giù all’Alameda Central, quel piccolo parco pubblico oltre il Barrio Chino, un’abitudine che ormai andava avanti da diverse settimane, da quando quella maledetta insonnia sembrava aver preso il sopravvento sul suo fisico. Se non si fosse chinato per allacciarsi la scarpa non le avrebbe nemmeno notate quelle ombre nascoste tra i rami, quelle paia di occhi di un bianco abbacinante che sembrava volessero ingoiarlo. Aveva iniziato a correre istintivamente, come guidato da una forza che nemmeno lui sapeva di possedere. Correre, correre, non doveva far altro che correre, e corse, mentre dietro di sé qualcuno o qualcosa si muoveva, e prendeva anch’esso a correre, sempre più velocemente, veloce almeno quanto lui. Non si era mai voltato, ma sapeva che erano in molti, sebbene non avesse idea di chi (o cosa) fossero quelle presenze terrificanti. Sentiva distintamente il rumore dei loro piedi (delle loro zampe?) dietro di lui. E corse, corse come più non poteva. 

La salvezza per lui non poteva essere che in quel dedalo di vicoli giù nella Ciudad, lì li avrebbe di certo seminati se non avesse smesso di correre. Doveva allontanarsi al più presto da quel luogo che lo faceva sentire troppo esposto e la via più rapida era Puerta Alameda, sulla sua destra, che aveva attraversato non più di un’ora prima e che ora lo avrebbe riportato a casa. Alla sua destra, nello spazio di poche centinaia di metri, avrebbe forse trovato la salvezza. E così fece. Sapeva di potercela fare. Attraversò d’un fiato Puerta Alameda sotto la luce giallognola dei lampioni, fissando la propria ombra che si spostava continuamente ora avanti ora indietro. La strada che lo separava da casa era lunga e sapeva che, se voleva sopravvivere, doveva evitare il più diretto Paseo de la Reforma, troppo luminoso, e gettarsi nell’intrico di vicoli, dove avrebbe potuto nascondersi, far perdere le proprie tracce, disorientare gli avversari. 

Ma erano furbi, molto furbi. Ed erano sicuramente in molti e ben decisi a raggiungere il loro scopo, qualunque esso fosse. Nonostante non ne conoscesse ancora l’aspetto, ne percepiva la mostruosità e la ferocia ma, grazie a chissà quale colpo di fortuna, era riuscito a giungere a casa, strada dopo strada, curva dopo curva, sebbene li avesse uditi ora dietro di sé, ora addirittura davanti, come se si muovessero in branco ed astuti quanto basta per tentare continuamente di aggirarlo, circondarlo, sorprenderlo. Jorge si scrollò di dosso i suoi pensieri, si voltò lentamente e appoggiò l’occhio allo spioncino: non c’era nessuno. Era salvo, ma per quanto? Quanto ci avrebbero messo a trovare il suo rifugio? Non sapeva nulla di loro, non sapeva nemmeno se erano uomini, animali o chissà quale altra aberrazione. Era da molto che lo seguivano? Era quello il primo giorno che quegli esseri gli avevano messo gli occhi addosso? Oppure quella era solo la sera in cui avevano messo in pratica un piano che durava magari da giorni, settimane o mesi, un piano che era iniziato con lunghi e silenziosi appostamenti?

I suoi occhi si stavano ormai lentamente abituando all’oscurità. Iniziava a distinguere vagamente i primi contorni degli oggetti attorno a sé, un tavolo, una sedia, una libreria e, appesi alle pareti, decine di ritratti femminili che lui stesso aveva dipinto. Forse erano proprio i suoi lavori ad aver attirato l’interesse dei suoi inseguitori? Ladri di opere d’arte? Ma no, come poteva soltanto lontanamente pensare che qualcuno potesse interessarsi a quelle cianfrusaglie? Dopotutto non li aveva mai mostrati in giro e gli unici a conoscenza del suo hobby erano quei pochi vicini di casa ai quali aveva regalato qualche disegno in cambio di piccoli favori. Eppure erano molto belli, si sorprese a pensare, quasi dimentico del pericolo incombente. Si allontanò dalla porta in punta di piedi e si avvicinò al quadro più vicino: era il ritratto di una ragazzina sui tredici anni, dai lunghi capelli neri e dalle sopracciglia folte, vestita con una camicetta di pizzo arancione e un foulard rosso attorno al collo. Lo sguardo della fanciulla, che le sue mani erano riuscite a immortalare sulla tela, era ambiguo, trasmetteva la tempo stesso spensieratezza e dolore, gaiezza e concentrazione: per questo aveva deciso di intitolare quel quadro “Doña Lisa”, in onore del capolavoro vinciano. 

Uno scricchiolio alle sue spalle catturò improvvisamente la sua attenzione. Eccoli, erano arrivati, l’avevano scoperto. Rimase immobile, con le orecchie tese, non sapendo bene cosa fare. Tornare indietro allo spioncino sarebbe stato imprudente. Molto meglio allontanarsi ulteriormente dalla porta e fare quello che c’era da fare. Si avvicinò al letto. Un sommesso vociare proveniva dalla strada, qualcuno si era fermato in corrispondenza delle sue finestre e sembrava discutere di qualcosa che lo riguardava, ma era troppo lontano per poterne essere sicuro. Aveva colto distintamente solo alcune parole: mostro, pervertito, omosessuale. Era ovvio che stessero parlando di lui. Non era la prima volta infatti che, a causa della sua passione per l’arte, era stato apostrofato in quel modo. Maledetti zotici ignoranti. Erano loro che lo avevano inseguito, quindi? E fuggendo forse aveva dato loro modo di compiacersi, dannazione. Maledisse per un attimo la propria viltà, ma alla fine decise che non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Probabilmente erano in molti, terribilmente decisi a portare a compimento chissà quale piano, e non avrebbe potuto affrontarli da solo. Mai e poi mai avrebbero avuto la soddisfazione di prenderlo, non certo quella notte, non certo con quegli abiti addosso. 

Rapidamente Jorge si tolse le scarpe e si sedette sul bordo del letto, quindi si sfilò i pantaloni e fece lo stesso con le lunghe calze di nylon. Si sbottonò la camicia rivelando al di sotto un reggiseno di pizzo nero. Anche quello avrebbe dovuto sparire al più presto, così come le ciglia finte e la collana che gli cingeva il collo. Doveva far sparire tutto e doveva farlo in fetta, prima che qualcuno potesse bussare alla sua porta. Maledetti. Non l’avrebbero mai avuto. Aprì il cassetto del comò e vuotò tutto il suo contenuto sul pavimento assieme agli abiti che di era appena tolto di dosso. Decine di mutandine femminili erano ora ammucchiate e con esse collant, parrucche, borsette e decine di articoli di bigiotteria. Afferrò una bottiglia di gin dal comodino e ne versò il contenuto su quella montagna di oggetti, quindi prese un accendino e ne fece scattare il meccanismo. Una fiammata improvvisa si levò nell’oscurità, costringendolo a fare un balzo all’indietro. Ecco, quello era il destino di Jorge: bruciato al rogo come le streghe di Salem. Un immenso rogo avrebbe purificato per sempre la sua anima. Il fuoco incontrollato fece presa sui tanti ritagli di giornale sparsi sul pavimento, e dai giornali si spostò rapidamente alle lenzuola mai riaccomodate da giorni e giorni. Un intenso fumo stava rendendo ormai l’aria irrespirabile. Jorge cominciò a tossire: non aveva calcolato quanto terribile potesse essere la morte per soffocamento. Fece due passi in direzione della finestra. Le voci provenienti dalla strada si erano fatte ormai più intense, quasi delle grida, come se si fosse radunata un’intera folla. Socchiuse lentamente la persiana: era ormai intenzionato a guardare di sotto, a guardare con i propri occhi in faccia il nemico. Un leggero scricchiolino ne accompagnò l’apertura, uno scricchiolio seguito da un’esplosione improvvisa. Uno sparo. Fu un rumore talmente forte che lo avrebbe assordato, se solo… se solo non avesse sentito un devastante impatto al centro del petto. Ma fu solo un attimo, perché tutto il mondo attorno a Jorge divenne improvvisamente buio. 

Nell’aprile del 1993 Città del Messico, e con essa il paese intero, tirò finalmente un sospiro di sollievo: la notte del 9, infatti, venne scoperta l’identità di un serial killer che per quasi un decennio aveva insanguinato la città strangolando 13 donne. L’uomo provocò un incendio dopo che, braccato della polizia, era tornato nell’appartamento dove alloggiava per bruciare alcuni oggetti, si suppone borse, documenti e altri effetti personali appartenuti alle vittime del maniaco che avrebbero potuto incriminarlo. Colpito da un proiettile, non riuscì a controllare il dilagare delle fiamme e riportò delle gravi ustioni, tanto che per portarlo in ospedale dovettero imbragarlo e calarlo dalla terrazza. L’uomo fu sottoposto a un intervento chirurgico d’emergenza, ma non sopravvisse. Questa è la sua storia.

23 commenti:

  1. Un altro simpaticone...
    Quelle che illustrano il post sono sue opere, immagino.

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    1. Esatto, sono opere sue. Tra l'altro sono Immagini difficilissime da recuperare (dubito che ne troverai altrove delle altre.... )

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    2. Ma hai cambiato di nuovo la grafica della testata del blog o sono io che perdo colpi?

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    3. Hai visto giusto. Ho ridimensionato la parola "mirror" che prima era più grande e dello stesso colore di "obsidian".

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    4. Molto bella questa versione... forse la migliore fino a questo momento.

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  2. Una meravigliosa intro come solo tu sai scriverne.

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    1. Temevo questa prima parte fosse stato presa come "un modo per allungare il brodo". Grazie!

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  3. Confesso che pensavo a un racconto, non avevo capito che fosse solo l'introduzione a un personaggio reale.

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    1. Mi piace molto impostare un certo tipo di post come fossero dei racconti per poi sfociare improvvisamente nel mondo reale. L'avevo fatto già altre volte in passato, come per esempio nel caso di Hell's Bells, che secondo me è, tra tutti, quello venuto meglio.
      Qualcuno potrebbe obiettare che è singolare questa mia "identificazione" in personaggi tanto sinistri, ed è per questo che stavolta non ho usato la prima persona.

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  4. Mi piace questo dar vita alla realtà attraverso una narrazione. Ho fatto qualcosa di simile con Virginia Woolf, facendola "parlare" come attraverso un diario.
    In qualche modo, potrei dire che questo modo di raccontare ha a che fare col teatro, quando attraverso la drammaturgia ricostruiamo le vicende di personaggi realmente esistiti (che è poi il teatro che mi piace fare).

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    1. La realtà supera spesso la fantasia. Non mi stupisce che gran parte della drammaturgia ricalchi le gesta di personaggi realmente esistiti. Personalmente trovo molto appassionante farmi largo nelle vicende di certi personaggi e adattarne gli scenari a quelli della mia immaginazione....

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    2. Sì sì, per altro da un decennio e più si è sviluppato un filone narrativo che predilige l'imperfetto, il "cattivo", deviando verso un racconto più realistico. Decisamente più interessante di tanta letteratura fondata sulle buone intenzioni e i migliori sentimenti.

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    3. E' il segno dei tempi. Quei dozzinali "lieto fine" appartengono ormai al passato...

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  5. Molto bella questa introduzione, raccontata nella prospettiva del serial. Ora attediamo, attendiamo, attendiamo! *__*

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    1. Grazie! La seconda parte è programmata a metà settimana prox!

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  6. Si travestiva da donna per mimetizzarsi?
    A proposito. So che non centra nulla, ma proprio oggi mi sono imbattuto in un racconto di Raymond Chandler intitolato "Il Re in Giallo". Ne eri a conoscenza?

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    1. Sul "Re in Giallo" esiste una bibliografia sterminata. Potrei portare avanti l'argomento per anni. Non sapevo di Chandler. Grazie. Vado al recupero...

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  7. Sono caduta nel tranello come Ariano!! Pensavo anche io stessi scrivendo un racconto! :°D

    Ok, molto interessante la questione dei ritratti, mi fa presagire non solo un serial killer ma una di quelle persone che uccidono per causa di fortissimi disturbi affettivi e psicologici, come quei cannibali che pensano che magiare un'altra persona o parte di essa possa in qualche modo rendergliela più vicina. Aspetto il seguito! :D

    PS: Obs sono tornata da questa vacanzina con una novità che sta confluendo nel lavoro che ti sto preparando, suppongo che entro una settimana finalmente lo completerò e ti ringrazio già perché si sta rivelando un'esperienza incredibile per me!

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    1. Gli omicidi del serial killer potrebbero effettivamente essere equiparati ai ritratti. Entrambi sono un modo per fare proprio un altro soggetto. Non ci avevo pensato. Ottimo spunto, grazie.
      Una settimanina? Posso farcela a resistere....

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  8. Bella questa idea di introdurci al personaggio attraverso il suo punto di vista. Ho letto adesso anche il secondo post, una storia così incredibile da sembrare davvero solo un racconto.

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    1. Era un racconto solo in parte, come alla fine hai potuto notare. E chissà... magari è andata davvero così...

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