William Buehler Seabrook (1884-1945) è stato uno dei personaggi più controversi vissuti a cavallo fra il XIX e il XX secolo, un giornalista arguto ma, soprattutto, una sorta di moderno Marco Polo i cui resoconti di viaggio ebbero un incredibile successo e sono tuttora oggetto di culto.
Amante dell'avventura, curioso fino all'estremo, Seabrook incarnava il tipico, irriducibile avventuriero che, per pura sete di conoscenza, sfidava il pericolo e oltrepassava (poi vedremo meglio come) i limiti tra normale e a-normale, lecito e illecito.
Seabrook fu inoltre uno sfrenato edonista. Alcolista, consumatore abituale di alcol e droghe, sadico che (leggenda narra) non si separava da frustini e catene nemmeno quando viaggiava, fu anche un essere umano dalle molte ombre. Senza per forza volerne fare un’apologia, ma nemmeno demonizzarlo, non posso negare che ammiro il suo spirito inquieto e indomito ed è proprio questo che oggi, a quasi settant’anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1945, voglio ricordare.
Il nostro nacque nel 1884 nel Maryland, a Westminster e, se si eccettua una parentesi come pubblicitario e una come guidatore di ambulanze nell’esercito americano di stanza in Francia durante la Prima Guerra Mondiale (che gli valse una medaglia), si occupò sempre di giornalismo, dapprima come caporedattore dell’Augusta Chronicle e poi come giornalista presso il New York Times. I suoi racconti di viaggio venivano telegrafati in patria a riviste come Vanity Fair, Cosmopolitan e il Reader's Digest e poi venivano raccolti in volumi che, immancabilmente, diventavano dei best seller.
Tre di essi sono particolarmente significativi e sono appassionanti come dei romanzi: “The Magic Island” (1929), “Asylum” (1935) e “Witchcraft: Its Power in the World Today” (1940). Non molti sanno che la diffusione del termine zombi, che appartiene ad alcuni dialetti del Niger e del Congo, si deve proprio a Seabrook, che per primo lo utilizzò nel suo libro “The Magic Island”. Per la verità, prima di lui già Lafcadio Hearn, dopo un decennio trascorso a New Orleans, nel 1889 si era recato nei Caraibi per conto dell’Harper’s Magazine per appurare la verità circa presunti avvistamenti di morti viventi. Lì aveva trovato una terra dove l’oscurità della notte sembrava più viva e animata del giorno, ma nonostante avesse raccolto decine di testimonianze di fenomeni inspiegabili e avvistamenti anomali non fu mai in grado di vedere uno zombi con i propri occhi. Seabrook fu invece il primo uomo bianco ammesso alle celebrazioni dei riti Voodoo o, quantomeno, fu il primo a testimoniare di una simile esperienza, e lo fece in toni così appassionati e sensazionalistici che finì, paradossalmente, per indebolire la causa per cui egli stesso si batteva: l'autonomia di Haiti (gli Stati Uniti, ricordiamolo, occuparono l'isola dal 1915 al 1934). “The Magic Island” è la cronaca di un soggiorno di un anno che fu, prima di tutto, incanto dei sensi ed esperienza emozionale senza pari: un viaggio ad Haiti, il primo territorio coloniale a ribellarsi e affrancarsi dalla schiavitù, nonché la prima repubblica nera.
La prosa di Seabrook ci trasporta in una terra del mistero in cui gli agi della modernità convivono con le manifestazioni di una natura ancora in gran parte selvaggia, le cui oscurità celano la stregoneria, la magia nera, il cuore pulsante di una religione e i cui rituali (canti e danze forsennate, mangiare carne, bere sangue, resuscitare i morti) e sacrifici appaiono affascinanti e insieme terrificanti: il Voodoo. Una religione mai soppiantata nell’isola ed anzi rinata ancora più forte dalle ceneri del Cattolicesimo, in cui i simboli della cristianità si mescolano a quelli “pagani”, rivelando un'eredità derivata dalle credenze degli indigeni Taínos mesolate a quelli degli schiavi deportati dall'Africa Occidentale e Centrale e a quelle dei colonizzatori europei.
Anche se Seabrook aveva affermato chiaramente che le cerimonie Voodoo dei sacerdoti bòkò avevano lo scopo di procurarsi schiavi da utilizzare come braccianti nei campi di canne da zucchero e nelle fabbriche di proprietà delle multinazionali, quel che rimase nella memoria collettiva fu l'immagine degli haitiani come popolo dalla natura sfrenata e superstiziosa, preda di un istinto atavico e animale e perciò incapace di autogestirsi. Ironia della sorte, dopo che gli Stati Uniti ebbero reintrodotto la prassi coloniale del lavoro di corvée, che alimentava le pratiche Voodoo, usarono proprio l'esistenza di queste ultime come pretesto per mantenere il controllo sul paese. Il Voodoo non lo si deve certo agli americani, ma la metafora delle sue vittime “zombificate” e rese schiave del potere, del razzismo e della negazione dei più basilari diritti umani – ritratta al cinema dal capostipite del genere, quel "L'isola degli zombies" (White Zombie, 1932) che vedeva da Bela Lugosi nella parte del villain - in un mondo sempre più globalizzato e consumista, certamente sì.
Se nei decenni a seguire lo zombi si radicò nell'immaginario mondiale come mostro al pari, ad esempio, del vampiro e del licantropo, fu merito di un altro film: “La notte dei morti viventi” (Night of the living dead, 1968). Nella mente dell'autore George A. Romero questo doveva essere un piccolo film, realizzato con un risicato budget di circa centomila dollari, nel quale infondere idee disparate e soprattutto il suo amore per il cinema, ma che finì per divenire (tra le altre cose) il manifesto forse involontario di una riflessione antirazzista esplicitata dal protagonista, Ben, giovane uomo di colore che nel finale viene ucciso da un poliziotto bianco (twist scioccante che, a quanto pare, fu fortemente voluto proprio dall'attore che interpretava Ben, Duane Jones).
Senza dilungarsi troppo, vale la pena ricordare però che Romero inizialmente non aveva concepito i suoi mostri come zombi in quanto lo zombi, per lui, aveva una precisa connotazione geografica, e fu soltanto con il successivo “Zombi” (Dawn of the dead, 1978), che ne proseguì la riflessione socio-politica, che le figure dello zombi e del morto vivente collisero. Oggi vanno di moda gli zombi veloci, ma io sono affezionato a quelli lenti di Romero (tra l'altro, non capisco come potrebbe un morto correre, anche supponendo che fosse stato resuscitato da un virus! Ma forse difetto di fantasia). A questo punto bisogna sottolineare l’ovvio, ovvero che, nell'ottica haitiana, uno zombi non è affatto morto, ma normalmente si tratta di qualcuno il cui ti-bon anj (“piccolo angelo”), la parte dello spirito che regola la memoria e la consapevolezza, è stato separato dal corpo e rinchiuso in un vaso (ovvero imbottigliato: vi ricorda qualcosa?): questo diventa il “corpo astrale”, mentre il suo “cadavere” continua a vagare sulla terra. Questa confusione di termini (rispetto a come noi siamo abituati a ragionare, ovviamente) dovette creare più di una perplessità a coloro che, come Lafcadio Hearn, venivano per la prima volta in contatto con la realtà del Voodoo… Comunque, mentre le vittime del Voodoo si trovano in uno stato reversibile, insomma sono vive e dotate di un cervello integro, sebbene sotto influenza esterna, gli zombi di Romero sono letteralmente morti che camminano, sono anomalie che sfidano le leggi naturali ma, paradossalmente, sono anche liberi e autonomi. Ci fu insomma un “pre” e un “post” Romero: con lui zombi divenne sinonimo di morto vivente che (altra novità) bracca i vivi per nutrirsi senza sosta della loro carne e che può essere ucciso, definitivamente, solo distruggendone il cervello.
E, a proposito di carne umana, anche Seabrook in almeno un'occasione se ne cibò. Non per necessità o per motivi culinari, se così si può dire, ma per pura e semplice curiosità. Una curiosità nata durante un soggiorno in Africa ma soddisfatta solo al suo rientro in Europa, in Francia. Ma di questo parleremo tra pochi giorni, nella seconda parte..
Amante dell'avventura, curioso fino all'estremo, Seabrook incarnava il tipico, irriducibile avventuriero che, per pura sete di conoscenza, sfidava il pericolo e oltrepassava (poi vedremo meglio come) i limiti tra normale e a-normale, lecito e illecito.
Seabrook fu inoltre uno sfrenato edonista. Alcolista, consumatore abituale di alcol e droghe, sadico che (leggenda narra) non si separava da frustini e catene nemmeno quando viaggiava, fu anche un essere umano dalle molte ombre. Senza per forza volerne fare un’apologia, ma nemmeno demonizzarlo, non posso negare che ammiro il suo spirito inquieto e indomito ed è proprio questo che oggi, a quasi settant’anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1945, voglio ricordare.
Il nostro nacque nel 1884 nel Maryland, a Westminster e, se si eccettua una parentesi come pubblicitario e una come guidatore di ambulanze nell’esercito americano di stanza in Francia durante la Prima Guerra Mondiale (che gli valse una medaglia), si occupò sempre di giornalismo, dapprima come caporedattore dell’Augusta Chronicle e poi come giornalista presso il New York Times. I suoi racconti di viaggio venivano telegrafati in patria a riviste come Vanity Fair, Cosmopolitan e il Reader's Digest e poi venivano raccolti in volumi che, immancabilmente, diventavano dei best seller.
Tre di essi sono particolarmente significativi e sono appassionanti come dei romanzi: “The Magic Island” (1929), “Asylum” (1935) e “Witchcraft: Its Power in the World Today” (1940). Non molti sanno che la diffusione del termine zombi, che appartiene ad alcuni dialetti del Niger e del Congo, si deve proprio a Seabrook, che per primo lo utilizzò nel suo libro “The Magic Island”. Per la verità, prima di lui già Lafcadio Hearn, dopo un decennio trascorso a New Orleans, nel 1889 si era recato nei Caraibi per conto dell’Harper’s Magazine per appurare la verità circa presunti avvistamenti di morti viventi. Lì aveva trovato una terra dove l’oscurità della notte sembrava più viva e animata del giorno, ma nonostante avesse raccolto decine di testimonianze di fenomeni inspiegabili e avvistamenti anomali non fu mai in grado di vedere uno zombi con i propri occhi. Seabrook fu invece il primo uomo bianco ammesso alle celebrazioni dei riti Voodoo o, quantomeno, fu il primo a testimoniare di una simile esperienza, e lo fece in toni così appassionati e sensazionalistici che finì, paradossalmente, per indebolire la causa per cui egli stesso si batteva: l'autonomia di Haiti (gli Stati Uniti, ricordiamolo, occuparono l'isola dal 1915 al 1934). “The Magic Island” è la cronaca di un soggiorno di un anno che fu, prima di tutto, incanto dei sensi ed esperienza emozionale senza pari: un viaggio ad Haiti, il primo territorio coloniale a ribellarsi e affrancarsi dalla schiavitù, nonché la prima repubblica nera.
Se nei decenni a seguire lo zombi si radicò nell'immaginario mondiale come mostro al pari, ad esempio, del vampiro e del licantropo, fu merito di un altro film: “La notte dei morti viventi” (Night of the living dead, 1968). Nella mente dell'autore George A. Romero questo doveva essere un piccolo film, realizzato con un risicato budget di circa centomila dollari, nel quale infondere idee disparate e soprattutto il suo amore per il cinema, ma che finì per divenire (tra le altre cose) il manifesto forse involontario di una riflessione antirazzista esplicitata dal protagonista, Ben, giovane uomo di colore che nel finale viene ucciso da un poliziotto bianco (twist scioccante che, a quanto pare, fu fortemente voluto proprio dall'attore che interpretava Ben, Duane Jones).
E, a proposito di carne umana, anche Seabrook in almeno un'occasione se ne cibò. Non per necessità o per motivi culinari, se così si può dire, ma per pura e semplice curiosità. Una curiosità nata durante un soggiorno in Africa ma soddisfatta solo al suo rientro in Europa, in Francia. Ma di questo parleremo tra pochi giorni, nella seconda parte..
La storia di come Seabrook si nutrì di carne umana è, in effetti, abbastanza controversa. Lui stesso cambiò versione più volte. Sono decisamente curioso di leggere la seconda parte del tuo post. ;)
RispondiEliminaIn realtà non mi dilungherò tantissimo sull'aspetto cannibalico. L'intenzione inizialmente era quella di concentrarmi sui libri da lui scritti anche se, come vedi, alla fine si parla anche di mille altre cose. Questo post ha avuto una genesi sofferta. Iniziato nel lontano 2013, abbandonato e ripreso più volte, è giunto alla sua versione finale così come lo vedi (e credo si intuisca al suo interno una certa disomogeneità)
EliminaSembra (nella foto) un Clark Gable in versione maudit francese.
RispondiEliminaE sempre a proposito di gente strana... ne gira a Milano di questi tempi ^^
Ecco chi mi ricordava! Eh già! ^_^
EliminaMilano? Visto che gente bizzarra? Ehehe
Ho pensato la stessa cosa... Clark Gable!
EliminaBeh, quella era la moda dell'epoca.
EliminaVero. Tutti noi abbiamo vecchie foto di famiglia dove si vedono personaggi dall'aspetto simile...
EliminaNon è il tipo di persona con la quale farei un viaggio insieme...
RispondiElimina...però di posti interessanti lui ne ha visti...
EliminaSeabrook, gli zombie e la carne umana, Questa storia la conoscevo. Ora voglio vedere come prosegue.
RispondiEliminaP.S. = Il passaggio da zombie haitiano a zombie moderno attuato da Romero è complesso, ma molto interessante. Un giorno ne riparleremo...
Proseguirà senza zombi...
EliminaHo vaghi ricordi di qualcuno di quei film. Io, nata nel '71, mi ritrovavo da bambina dinanzi alla tv che trasmetteva film molto più adatti a un pubblico adulto, perchè mio padre aveva la passione del cinema in b/n, d'autore. Ne ricordo uno di questi, con il celebre Bela Lugosi come protagonista (decisamente più noto nel ruolo di Dracula). Attonita ma anche affascinata, ricordo quella paura sottile dell'ignoto, tipica paura ancestrale che nessuno può estirpare. Inquietante questo personaggio. Mente eccelsa, anima nera.
RispondiEliminaLeggerò volentieri il seguito.
Ah, quei vecchi film in bianco e nero.... che meraviglia! Essendo io del '67 capisco benissimo cosa intendi... praticamente sono cresciuto a pane e neorealismo.
EliminaSeabrook fu un personaggio singolare e per molti versi, dici bene, inquietante ma... era un'altra epoca, un altro luogo, un altro contesto, una cultura che ci ha sfiorato solo lontanamente e che oggi ci è difficile interpretare senza pregiudizi. Cercherò nella seconda parte di approfondire l'uomo, tentando di mantenere una certa oggettività nelle parole che andrò a scegliere.
Tu che conosci bene il mondo dell'horror (con quegli assaggi per palati forti del mondo orientale) saprai bene che quei film in bianco e nero erano "forti" nel loro essere minimal e rudimentali. E io aggiungo che riuscivano a colpire lo spettatore efficacemente, liberi da fronzoli, con poche risorse, immediati, diretti.
EliminaPerchè hanno definito "cult" i filmacci spoglierecci degli anni Settanta e piuttosto non si sono concentrati su queste prove mirabili? Mah.
Tutto prima o poi è destinato di diventare un "cult", specialmente nel cinema che, in quanto tale, ci rimanda le immagini di un'epoca ormai definitivamente trascorsa. Il cinema anni Settanta è una fonte ricchissima di testimonianze che meritano di essere conservate. Possono piacere o non piacere, ma i gialli, i poliziotteschi e, perché no, anche i decamerotici, rientrano in quel patrimonio.
EliminaCon gli anni Ottanta si sono poi perse le tracce di quel cinema e tutto si è ridotto ad essere volgare e ripetitivo. Credo che quelli che tu definisci "spoglierecci" siano più Ottanta che Settanta, mi sbaglio?
No no, anni Settanta. La serie di Lino Banfi, Edwige Fenech & Co.
EliminaPerfino Tarantino li ha definiti un cult!
Spoglierecci allora è il termine giusto. Nulla che valga la pena di discutere.
EliminaP.S. Tarantino ormai non fa più testo...
Avevo letto la sua storia in qualche altro blog ( chissà quale, ne leggo così tanti), nemmeno molto tempo fa.
RispondiEliminaMi rimase impresso proprio per la sua famigerata degustazione cannibalistica.
Aspetto il resto, sorseggiando un buon Chianti. ( Cit. Hannibal) :-P
Credo tu ti riferisca al blog di Girola, che ha pubblicato un post sullo stesso argomento solo un paio di settimane fa. Non ho potuto fare a meno di notarlo proprio perché io stesso stavo preparando questo articolo,... e non puoi immaginare cosa si prova quanto ti vedi anticipare da qualcuno presente nel tuo stesso blogroll. Credo comunque di essere riuscito, per quanto possibile, a tenermi ben alla larga dai suoi contenuti....
EliminaAnche quando si ha un argomento in comune, persone diverse producono pensieri ed argomentazioni diverse, quindi ad ogni modo il tuo è un post interessantissimo comunque. :-)
EliminaIn un vecchio Almanacco della Paura si parlava degli zombi che in realtà sono persone sotto l'effetto di una droga talmente potente da annullare la loro volontà ed esser quindi controllabili da chi li ha drogati
RispondiEliminaEsistono numerosi casi documentati di "zombie" haitiani nel senso che dici tu: tra i più celebri posso citarti i casi di Clairvius Narcisse e di Felicia Felix-Mentor: persone morte (o ritenute tali) che un giorno, tra lo sgomento di chi li conosceva, furono avvistate tra la folla.
EliminaFinalmente sono riuscita a leggere il post con la dovuta attenzione!
RispondiEliminaAffascinante tutta la questione relativa degli zombi e al voodoo, non c'entra direttamente ma poco tempo fa ho letto Amatissima di Toni Morrison: potrebbe incuriosirti, anche se è un romanzo molto duro, sulla schiavitù.
Lui, il Gable rinominato, è parecchio curioso e fa discreta paura o.O
Buona serata TOM, a presto!!! ^_^
Potrebbe incuriosirmi. Anzi, mi ha già incuriosito. Sto googlandolo proprio in questo momento.... eheheh
EliminaMi unisco a Glò dicendo che anche io finalmente leggo questo post... e perbacco cosa mi stavo perdendo! :D
RispondiEliminaL'articolo è estremamente interessante, soprattutto perché tratta di una tematica blasonatissima al giorno d'oggi che sta perdendo man mano di potenza, ovvero quella degli zombie.
Il mondo dei videogiochi e di un certo tipo di letteratura, ma anche dei giochi da tavolo ne sta letteralmente abusando, introducendo il nuovo trend della 'Z' come lettera principe del genere (Day Z; War Z; World War Z; Zpocalypse per fare qualche esempio), però questi zombie stanno perdendo personalità, quella personalità che Romero aveva costruito all'interno dei suoi film e che viene, appunto, dall'ispirazione di una tradizione magica molto particolare. Non interessa capire cosa è lo zombie, ma solo cercare un antidoto per curarsi dal suo morso e dall'infezione, fra l'altro questi zombie non cambiano, non c'è evoluzione nella loro rosa comportamentale, nonostante l'ultimo zombie di Romero guardasse gli uomini vivi da pari - 'da animale ad animale' - decidendo di non attaccarli per proseguire una propria via personale con il suo branco, la sua nuova razza, particolare importantissimo che è stato totalmente dimenticato e mai sviluppato!!!
A me piacerebbe che si ridesse a questi 'mostri' un'importanza specifica, che gli si desse fantasiosamente il peso di un'epoca, come lo fu Frankenstein... ma forse corro troppo io con la fantasia! ^^
Tornando in materia dell'articolo: non vedo l'ora di leggerne il seguito! *_*
Fra l'altro questa cosa del cannibalismo mi fa pensare ad una canzone dei Rammstein che adoro, Mein Teil, oltre che essere strettamente connessa ad un'usanza di certe tribù indigene a quanto ne so.
Bene, ti ho scaricato addosso un fiume di parole! Pardon! :°D