Proseguendo il discorso iniziato la volta scorsa, concentriamoci adesso su una quarta categoria, identica alla precedente se non per il fatto che l’elemento scatenante si risolve con la morte del soggetto. È la categoria in cui rientrano praticamente tutti i soggetti che includono un elemento soprannaturale.
Categoria 4: Episodio scatenante → Morte del soggetto → Rancore → Cortocircuito → Violenza vendicatrice
È il caso de “Il corvo” (Alex Proyas, 1994): Eric e Shelly sono due giovani innamorati in procinto di sposarsi. La notte prima delle nozze quattro balordi irrompono nel loro appartamento e a turno picchiano e violentano selvaggiamente Shelly dopo averla aggredita. In quel momento rientra in casa Eric: lo accoltellano, gli sparano e, non contenti, lo lanciano dalla finestra (fase 1: episodio scatenante). Morirà, dopo 30 ore di sofferenze, in ospedale (fase 2: morte del soggetto). Non ci è dato sapere cosa succede nell’anno successivo, ma possiamo ben immaginare che la sua anima non riesca a trovare la pace (fase 3: rancore). Un anno dopo la sua morte, un misterioso corvo si posa sulla tomba di Eric ed il giovane resuscita (fase 4: cortocircuito). Grazie al corvo un'antica leggenda diventa realtà ed Eric può preparare la vendetta contro coloro che hanno portato così tanto dolore nella sua vita da farlo tornare dal regno dei morti (fase 5: violenza vendicativa).
Avrete certamente già capito dove voglio andare a parare, perché a prima vista questa terza categoria dovrebbe includere un po’ tutti i film che siamo soliti definire “J-horror”, ma in realtà non è così. Nel J-horror ci sono situazioni se vogliamo ancora più complesse, e in parte le abbiamo già affrontate in passato all’interno di “speciali” molto simili a questo: mi riferisco ai film che hanno come protagoniste, seppur con piccole variazioni, due tra gli Onryō più importanti (ce ne sarebbe un terzo, altrettanto importante) del folklore giapponese: Otsuyu e Okiku.
Categoria 5: Episodio scatenante → Dolore → Morte del soggetto → Elemento razionale → Cortocircuito → Violenza vendicatrice
Appena adolescente, Otsuyu incontra per caso Hagiwara Shinzaburō. I due giovani, già al primo sguardo, si innamorano perdutamente l’uno dell’altra (fase 1: episodio scatenante), al punto che Otsuyu, prima di congedare il giovane (fase 2: dolore), si fa promettere un nuovo incontro, in mancanza del quale si lascerà morire di tristezza. Impossibilitato, per motivi che non starò qui a specificare, a mantenere la propria promessa, Shinzaburō fa sì che il destino di Otsuyu si compia (fase 3: morte del soggetto). Anni dopo, nel corso della festa di mezza estate del culto buddhista ai defunti, lo spettro della giovinetta, accompagnato da quello della sua fedele ancella, appare nei pressi dell’abitazione di un samurai, illuminando la propria via con il tenue chiarore di una lanterna di peonie (fase 4: elemento razionale). Ogiwara Shinnojo, reincarnazione di Shinzaburō, le invita a entrare e resta immediatamente colpito dell’eterea bellezza di Otsuyu. Ma la verità viene presto a galla e il malcapitato decide di proteggere la propria abitazione con degli amuleti, che la sera stessa danno i risultati sperati: Otsuyu non riesce più ad avvicinarsi all’amato (fase 5: cortocircuito). La determinazione di Otsuyu ha infine la meglio, e la mattina seguente il corpo senza vita del samurai verrà trovato nei pressi di una tomba, al vecchio cimitero del tempio, saldamente intrecciato con lo scheletro di quella che fu una giovinetta (fase 6: violenza vendicatrice).
La vicenda di Otsuyu e del suo amante è stata adattata per il cinema un numero impressionante di volte, come abbiamo visto in questo articolo, ma la struttura di base rimane sempre la stessa. E così come non può sorprenderci la presenza del dolore emotivo in luogo del rancore, non può nemmeno sorprenderci il fatto che sia un amore eterno, talmente forte da essere in grado di superare i confini del tempo e dello spazio, il vero carburante che, una volta incendiatosi, porta a un tragico epilogo (tragico dal punto di vista del samurai, più che altro). Avrei potuto tranquillamente definire l’amore un “elemento irrazionale”, ma è evidente che c’è un certo grado di razionalità nel modo in cui Otsuyu si presenta a Ogiwara.
Completamente diverso è il caso di Okiku, al quale, come certamente vi ricorderete, si è ispirato uno degli spettri più celebri e terrificanti del J-horror.
Categoria 6: Episodio scatenante → Morte del soggetto → Rancore → Violenza vendicatrice
La leggenda di Okiku è una delle più antiche storie di fantasmi giapponesi di tutti i tempi, le cui origini risalgono a un tempo talmente remoto che il suo ricordo è andato perduto con il trascorrere dei secoli. Molti anni fa, nella provincia di Harima, una bellissima fanciulla di nome Okiku lavorava al servizio di un samurai di nome Aoyama Tessan. Leggenda vuole che quest’ultimo fosse perdutamente innamorato di Okiku senza però essere ricambiato. Le avance del samurai venivano respinte sistematicamente fino al giorno in cui, portato ormai alla disperazione, decise di passare alle maniere forti.
L’occasione si presentò alla vigilia di una delle grandi feste che il feudatario dava abitualmente presso il suo castello: Aoyama accusò la sua serva di aver rubato un piatto del più pregiato servizio da tavola. Alla serva stupefatta il perfido samurai si dichiarò comunque disponibile a offrire protezione in cambio del suo consenso a giacere con lui. La giovane Okiku, pur consapevole delle conseguenze, rifiutò l’oscena proposta (fase 1: episodio scatenante). Aoyama Tessan, ancora una volta umiliato, si scagliò furente contro la donna, la strangolò e gettò il suo corpo nel pozzo (fase 2: morte del soggetto). Da quel momento, notte dopo notte, si ode una voce cavernosa risalire dalle profondità della terra. Una voce disperata che, inconsapevole dell’inganno, non trova requie al pensiero del piatto mancante (fase 3: rancore). Okiku si trasforma in uno spirito senza pace in grado di trascinare il suo assassino, notte dopo notte, negli abissi della follia (fase 4: violenza vendicatrice).
Anche se non avete letto il lungo speciale ispirato al personaggio appena citato, pubblicato qui qualche anno fa, non avrete certo fatto alcuna fatica a riconoscere in lei Sadako, protagonista del franchise “Ring”, ovvero uno dei più celebri e terrificanti spettri del cinema horror giapponese moderno.
Categoria 7: Episodio scatenante → Rancore → Elemento razionale → Morte del soggetto → Cortocircuito → Violenza vendicatrice
L’adattamento cinematografico della vicenda di Okiku (trascurando alcuni ben riusciti tentativi vecchi di mezzo secolo) segue uno schema tuttavia molto più complesso. Prendiamo ad esempio il “Ring” originale, quello appunto girato da Hideo Nakata nel 1998 (sappiamo in realtà che esiste un precedente adattamento televisivo del romanzo di Kōji Suzuki risalente al 1995, ma per praticità diamo la precedenza a quello più famoso). In tale film si suppone che la protagonista non perda la vita immediatamente, ma sopravviva, non si sa come, in fondo al pozzo per trent’anni, accumulando rancore. In breve, la trama si può riassumere così: Ikuma cerca di uccidere Sadako buttandola in un pozzo e sigillandolo (fase 1: episodio scatenante), ma Sadako sopravvive alla caduta e resta imprigionata. Qui la ragazza sviluppa un odio sempre più forte nei confronti delle persone che le avevano fatto del male (fase 2: rancore), e inizia a meditare un'atroce vendetta nei confronti dell'umanità intera (fase 3: elemento razionale). Inevitabilmente Sadako muore (fase 4: morte del soggetto), ma il rancore le sopravvive e si concretizza decine di anni dopo sotto forma di una videocassetta maledetta, la cui visione (fase 5: cortocircuito), conduce a morte certa, dopo sette giorni esatti, chiunque la guardi (fase 6: violenza vendicatrice).
Potrei forse stare qui a tirar fuori mille nuovi esempi distinguibili l’uno dall’altro solo da piccole variazioni sul tema, ma non era questo lo scopo che mi ero prefissato. Partendo dall’assunto che i percorsi neurali che generano comportamenti aggressivi sono nettamente distinti da quelli dell’odio, ci eravamo proposti di identificare la “molla” che permette a un’emozione tecnicamente inoffensiva di trasformarsi in aggressività. Mi pare di poter dire che, bene o male, ce ne siamo fatti un’idea.
Qualche paragrafo più sopra abbiamo detto che negli anni scorsi, su questo blog, sono stati affrontati due tra gli onryō più importanti del folklore giapponese e, in un inciso, abbiamo accennato all’esistenza di un terzo onryō, altrettanto e forse ancora più importante e che, insieme a Okiku e Otsuyu, rappresenta i cosiddetti “Nihon san dai kaidan”, ovvero “le tre grandi storie di fantasmi del Giappone”.
È inevitabile a questo punto scoprire le carte e dichiarare apertamente che sarà proprio questo terzo onryō il protagonista dello speciale di quest’anno. Il suo nome ve lo lascerò scoprire nei prossimi giorni, ma è evidente che in questo momento a noi interessa di più il nome con il quale è stato portato al cinema negli anni d’oro del J-horror. E quel nome, lo avete già capito, è Kayako.
Contestualmente alla rivelazione della sua storia, che avverrà in maniera graduale, proveremo anche a trovare una categoria, tra quelle individuate finora, in cui inserirla (sempre, beninteso, che ve sia una), ma per farlo dovremo prima assistere a un numero di film spropositato e a una manciata di cortometraggi.
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 42 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del progetto "Ju-On, speciale rancore" che è iniziato qui lo scorso 7 settembre. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 42° candela...
Lo special su Otsuyu lo ricordo benissimo, tanto è vero che mi colpì talmente che andai a cercare il sunto della leggenda trascritto da Lafcadio Hearn che tu stesso avevi consigliato come lettura.
RispondiEliminaAnche la leggenda legata a questo speciale è molto bella. Ne parleremo a tempo debito.
EliminaIl romanzo The ring mi piacque così tanto che non ho mai avuto il coraggio di guardare il film. Forse sarebbe ora di rimediare.
RispondiEliminaSei forse uno dei rari casi di persona che ha letto il libro ma non ha visto il film (o uno dei film, visto che ne hanno fatti una dozzina e continuano a farli). Occorre certamente recuperare qualcosa!
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