L’opera di cui andremo a parlare oggi, il cui titolo strizza l’occhio ad una vecchia canzone synth pop, non è
un romanzo, e forse nemmeno un racconto. Sono una cinquantina di pagine mal contate che potremmo
intendere come una raccolta di appunti sparsi o forse, ancor meglio, come un piccolo tutorial, una specie di
“manuale di istruzioni per principianti della vita”. Nulla di universale come ciò che fece Georges Perec, che
proprio su un manuale di istruzioni costruì la sua notorietà, ma un “manuale”, quello di Marta Dieffe,
destinato prevalentemente a un target di giovanissimi, e non necessariamente femminile.
Cosa c’entro quindi io, vi starete chiedendo, che l’adolescenza l’ho vissuta in un secolo ormai terminato?
Beh, diciamo che quella di tentare un articolo è una specie di sfida con me stesso. Una sfida nella quale un
membro della cosiddetta Generazione X (uno tra i primi, tra l’altro, a potersi fregiare di questo, sempre più
scomodo, titolo) cerca di rintracciare delle similitudini tra la sua esperienza personale e quella di chi è
venuto al mondo giusto quella manciata di decenni più tardi. Avrei forse fatto prima a osservare i miei
nipoti, con tutte le loro insicurezze e le loro piccole manie, ma certamente, mi sono detto, non avrei potuto
aprire certe porte che, di regola, a uno zio sono giustamente precluse (non che ve ne fosse bisogno, visto
che probabilmente sono le stesse porte che io stesso mi indaffaravo a tener sigillate).
Un testo scritto,
tuttavia, specie se posto sotto forma di autoanalisi, e realizzato da una completa sconosciuta, qualche
sguardo oltre la soglia potrebbe consentirmelo, e così eccomi qua. Com’è andata? Non benissimo, visto che
le mie idee sono ancora piuttosto confuse, ma bene, per i motivi che vi spiegherò alla fine. Per il momento
posso solo dirvi che “Enjoy the Silence” è stato in grado di confermarmi che non sono le generazioni ad
essere diverse le une dalle altre, e questo in parte mi era già chiaro, ma sono solo le scenografie entro le
quali esse si muovono a cambiare vorticosamente.
Una sera di ottobre mi accingo quindi ad aprire il mio reader e a immergermi in “Enjoy the Silence” guidato
da un impulso di curiosità mista a sospetto. Il testo è presentato sotto forma di diario, un diario che Penny,
la protagonista, inizia a scrivere alla vigilia della scuola media e porta avanti tra mille incertezze per una
ventina d’anni. La tecnica a scansione temporale diaristica non è affatto nuova in letteratura e, anzi, alcune
tra le opere più importanti dell’ultimo secolo sono divenute tali proprio per l’aver utilizzato tale tecnica. Mi
riferisco, giusto per portare qualche esempio noto, ad Anna Frank o a Primo Levi, ma non vanno dimenticati
i diari di Cesare Pavese, Thomas Mann, Franza Kafka, Robert Musil, Sibilla Aleramo, Virginia Woolf, Anaïs
Nin e chissà quanti altri che al momento mi sfuggono. I diari di Marta, o meglio quelli della sua alter-ego
letteraria, sono ovviamente lontani anni luce, ma non siamo qui per una gara, per cui li prendiamo per
quello che sono e ce li ficchiamo in tasca nel bene e nel male.
La scelta della forma diaristica, tuttavia, mi sorprende: ritenevo che il concetto stesso di diario fosse ormai
ampiamente superato a favore di altri mezzi nei quali riporre i propri pensieri. Già negli ultimi decenni del
secolo scorso, ricordo, il diario era qualcosa di mitologico che nessun adolescente avrebbe mai osato
rispolverare (se non in totale segretezza, pena la completa riprovazione sociale). Mi trovo quindi del tutto
spiazzato nell’accingermi a leggerne uno scritto oggi, e dall’impasse non vengo fuori se non convincendomi
che altro non sia che una soluzione artistica come un’altra.
La scrittura dell’autrice del diario appare subito
incerta e telegrafica. I primi anni vengono liquidati via in fretta, in poche righe, al punto che ci si chiede
perché si parta da così lontano. Ciò che segue non è da meno: la protagonista inizia l’anno scolastico,
incontra qualcuno, si prende, si molla e l’anno scolastico finisce senza nessun dettaglio su quello che c’è
stato in mezzo. Eppure qualche spunto interessante c’è, come la differenza d’età in amore o il classico
tradimento da parte dell’amica del cuore (ah, come poco sono cambiate certe dinamiche!).
Ammetto di essere stato più volte tentato d’interrompere la sterile (almeno in apparenza) lettura, ma
qualcosa mi diceva che dovevo continuare e così ho fatto. La domanda che mi stavo ponendo, per inciso, è
se “Enjoy the Silence” fosse solo una bella copertina con il nulla dentro o se fossi magari io ad essere
“sbagliato”.
Continuo quindi a leggere. La protagonista accenna rapidamente a quello che sembra essere un
tentativo di stupro andato storto e da quel momento inizia la sua discesa negli inferi dell’anoressia,
dell’alcolismo e del (tentato) suicidio, ma io lettore ancora non riesco né a provare alcun trasporto, né a
immedesimarmi in lei, come feci per esempio ai tempi di Christiane F., altra celebre creatura borderline
anni Settanta.
Penny, la protagonista di “Enjoy the Silence”, non si sforza affatto di rendere piacevole la
lettura del suo diario, anche perché, correttamente, il diario non è destinato a quello scopo. Anzi, ripete
pedissequamente formule strabusate come “imbottirsi di farmaci” (ne ho contate almeno una decina),
segnale evidente di un vocabolario, quello di Penny, piuttosto limitato.
Attenzione però a non confondere lo stile di quest’ultima con quello dell’autrice, ed è proprio su questo
sottile e pericolosissimo filo di rasoio che si muove Marta Dieffe. Eh già, perché come accennato in
precedenza, la lettura di “Enjoy the Silence” ha rischiato più volte di venire abbandonata proprio a causa di
quel lessico così essenziale, e a tratti irritante, che da me, come immagino da molti altri, è stato ritenuto in
prima battuta appartenere a chi le parole le ha messe in bocca alla protagonista.
E nemmeno ci sarebbe da stupirsi, considerata la mole di immondizia che sommerge il variegato mondo
delle autopubblicazioni, ma ecco invece che arriva il delizioso twist che mi fa ricredere, e arriva, badate
bene, oltre la parola fine.
È nel momento delle postfazioni, o dei ringraziamenti finali, che Marta Dieffe
cala la maschera e inizia a parlare con la sua voce, con la proprietà di linguaggio che ovviamente ci si
aspetta da lei, con l’irruenza di una figlia dei suoi anni, con la lucidità di chi si rivolge a un pubblico
complesso ed eterogeneo, e con il coraggio di una ragazza che ha indiscutibilmente scelto la strada più
impervia per entrare nel burrascoso mondo dell’editoria.
Prima di chiudere proviamo però a rispondere all’annosa questione che mi ero posto all’inizio: può “Enjoy
the Silence” essere definito un ritratto delle nuove generazioni, a uso e consumo dei vecchietti che vogliono
provare a capirci qualcosa?
La risposta è ovviamente no. Ed è no per almeno un paio di buoni motivi: il
primo è che, come detto, non c’è alcuna differenza apprezzabile tra la mia generazione e quest’ultima.
Entrambe apparteniamo a un’epoca, quella emersa dai fermenti del Sessantotto, in cui in cui i giovani
hanno assunto una nuova autorità all’interno della comunità, una comunità dove le dinamiche di
apprendimento sono bidirezionali (gli adulti danno e ricevono allo stesso tempo) e non più, con la sola
eccezione di piccole comunità a carattere religioso e ideologico, dipendenti da quegli eterni e immutabili
schemi del passato. La seconda ragione è che, come lo fu Christiane F. o l’anonima protagonista di “Alice, i
giorni della droga”, anche Penny non è rappresentativa di una generazione. Penny è una persona debole,
esattamente come lo furono le sue “antenate” letterarie (solo si affida a sballi diversi), ma non può che
essere un’eccezione alla regola.
Marta Dieffe, nome d’arte di Martina Di Franco, di origini calabresi ma romagnola di adozione, ha 35 anni
e coltiva la scrittura sin dagli anni della scuola, nel corso dei quali già aderiva con entusiasmo ai più svariati
concorsi letterari. “Enjoy the Silence” nasce su Facebook una decina di anni fa, sotto forma di piccoli ma
calibrati “assaggi”, e diventa solo oggi qualcosa di veramente concreto (lo trovate, come spesso accade, su
Amazon. Se volete seguire
Martina la trovate invece, un po’ come il prezzemolo, dappertutto sul web (partendo da qui).
Le nuove generazioni, per quanto vedo da padre e zio, sono per certi aspetti paragonabili agli hippie, ma con molta tecnologia in più, nessuna voglia di rinunciare alle piccole comodità consumistiche che pur criticano, e un'ingenuità che la metà sarebbe già troppa...
RispondiEliminaNon penso che daranno un gran contributo al futuro del nostro paese...
E' quello che temo anch'io e ciò è abbastanza evidente guardandosi attorno. Non voglio comunque dare loro la colpa. E' la società stessa, per come si è ridotta, ad averli incanalati sull'unica strada possibile, quella che tutto va bene purché si lo si faccia a cervello spento e ci si assicuri di uniformarsi alla massa lasciando fuori qualsiasi pensiero critico. Non è la tecnologia in se, o gli strumenti social dove tutti danno il peggio che possono, ma è il nuovo modello di occidente, quello che abbiamo creato noi "grandi", un modello che gli ficcano in testa fin dai primi anni di scuola, e che presto o tardi capitolerà, e allora saranno ca##i per tutti.
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