lunedì 11 marzo 2024

Rapporto sulla cecità (Pt.4)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Altra opera letteraria imprescindibile quando si affronta l’argomento cecità è “L'uomo della sabbia” (“Der Sandmann”) di E.T.A. Hoffmann, del 1815. Si tratta di un racconto così angosciante che Sigmund Freud ne fece materia di studio, citandolo nel suo saggio del 1919 “Il perturbante” (“Das Unheimliche”). Vi si narra della follia che s’impadronisce del giovane Nathanael a seguito di alcune vicende che ruotano attorno a Coppelius, un avvocato amico di suo padre. Nathanael conserva il ricordo di uno spauracchio che la madre evocava per convincerlo ad andare a dormire: quello dell'uomo della sabbia (o mago Sabbiolino), che strappava gli occhi ai bambini che restavano svegli e li dava da mangiare ai suoi figli, delle specie di gufi antropomorfi. Avendo Coppelius minacciato il bambino di bruciargli gli occhi con delle braci incandescenti, lui si era convinto che fosse l'incarnazione dell’uomo della sabbia. 
Dopo questo episodio Coppelius scompare all’improvviso e sembra ricomparire anni dopo, quando Nathanael è ormai adulto, sotto l’identità dell’ottico piemontese Giuseppe Coppola. Un giorno, Nathanael vede una donna con i bulbi oculari estirpati (in realtà si tratta di un automa meccanico, ma lui lo scopre solo più tardi) e l’orrore lo sommerge. La trama è molto complicata da spiegare nel dettaglio e sarebbe anche un peccato farlo, ma, in breve, Nathanael impazzisce quando i suoi incubi infantili sembrano prendere forma. 
Per Freud, questo racconto riflette una paura ricorrente e inconscia, quella di perdere gli occhi, che a sua volta riflette la paura di perdere la virilità, legata alla figura paterna (figura che è scissa nella narrazione, con la metà buona incarnata dal padre e quella cattiva da Coppelius, in modo che Nathanael possa continuare a voler bene al padre mentre scarica l’angoscia e il desiderio di morte sul suo “doppio” – ma sto semplificando). Collega quindi direttamente la cecità al timore dell’evirazione, ma suppongo non sia una sorpresa per nessuno, dato che lo psicanalista austriaco riuscì a ricondurre praticamente ogni moto dell’animo umano alla sfera sessuale. 

Freud si occupò anche della cecità isterica, che descrisse come la somatizzazione di uno stress psichico acuto: il malato non finge, ma è realmente convito di essere diventato cieco. Ci sono due film i cui personaggi sono affetti da cecità isterica e, curiosamente, sono entrambi del 2002: “Hollywood Ending“ di Woody Allen e “Gli occhi della vita” (“Hysterical Blindness”) di Mira Nair. Nel film “Il colore della notte” di Richard Rush, del 1994, c’è una variazione sul tema della cecità isterica, che potremmo chiamare “cecità selettiva” (la definizione è mia): Bruce Willis interpreta un terapista che non riesce più a distinguere il rosso, il colore del sangue, dopo che una sua paziente si è suicidata davanti ai suoi occhi. Un amico (il suo medico?) gli dice che “negarsi il rosso è negarsi le emozioni, e come ben sai può diventare pericoloso”. Purtroppo simili premesse sono inutili: questo dettaglio non è affatto a servizio della trama, e comunque il film si fa dimenticare in fretta. 

Restando in tema letterario, desidero fare almeno altre tre menzioni. Vladimir Nabokov pubblica nel 1932 un romanzo poco noto dal titolo “Risata nel buio” (titolo originale “Камера обскура”, “Camera Obscura”), da cui nel 1969 sarà tratto il film “In fondo al buio” di Tony Richardson, che è la storia di un uomo sposato, Albinus, che si infatua della diciassettenne Margot e comincia con lei una torbida relazione che sfocerà in tragedia. Una relazione parassitica da parte di entrambi, perché Margot sfrutta Albinus per cercare di sfondare nel cinema, mentre lui diventa dipendente da lei quando, a un certo punto, rimane cieco in seguito a un incidente. Questo libro contiene già in nuce gli elementi che saranno sviluppati prima nel racconto “L'incantatore” (1940), e in seguito, e con molto più successo, in “Lolita” (1955). 

Nel saggio del 1985 “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, il neurologo britannico Oliver Sacks illustra alcuni casi da lui affrontati lavorando in una clinica americana, dedicando a ognuno un capitolo diverso. La pietas umana e la descrizione del dolore miscelati con l’umorismo e le riflessioni filosofiche hanno decretato la fortuna di questo testo, il cui titolo si riferisce a un episodio in cui il dottor P., un musicista, confuse la testa di sua moglie con il suo cappello, e cercò di mettersela in testa. 

Questo caso specifico è narrato nella prima sezione, “Perdite”, che affronta una serie di sindromi neurologiche derivanti da deficit funzionali dell’emisfero destro del cervello, sempre un po’ trascurato (secondo Sacks) dalla neurologia tradizionale. Il dottor P. era affetto da prosopagnosia (l’incapacità di riconoscere i volti), una forma di cecità che Sacks non fu in grado di diagnosticare, in quanto non poté seguire il paziente abbastanza a lungo, ma che dimostrò di avere intuito. Il paziente in realtà non aveva alcun deficit visivo, ma poteva riconoscere gli oggetti e le persone non attraverso la vista, ma solo attraverso gli altri sensi (in genere l’udito o il tatto): era inconsapevole del suo problema perché incideva poco nella sua vita quotidiana, ma purtroppo era destinato a peggiorare molto e molto in fretta. 
Più avanti, nella sezione “Eccessi”, viene riportato il caso simile di una donna affetta da un carcinoma dei lobi frontali, che però, a differenza del dottor P., non solo era del tutto consapevole del suo difetto ma, semplicemente, se ne disinteressava. 
Il caso più pietoso, narrato sempre nella sezione “Perdite”, è però forse quello di Christina, una giovane donna che a causa di una poliradicoloneurite (un'infiammazione di tutte le radici sensitive dei nervi cranici e spinali, una sindrome che non aveva precedenti e non poté essere curata) aveva completamente perso la capacità di percepire il proprio corpo e non era più in grado di effettuare nessun movimento se non teneva lo sguardo fisso sulla parte del corpo che voleva muovere, e definiva se stessa “la disincarnata”. 
Nella sua opera del 1990 “Memorie di un cieco. L'autoritratto e altre rovine” (“Mémoires d'aveugle. L'autoportrait et autres ruines”) Jacques Derrida, partendo dal ricordo di un suo momentaneo problema visivo riflette sulla cecità come impossibilità di vedere l’inizio, con l’arrivare in ritardo, a discorso iniziato, e sulla differenza fra credere e vedere. Il cieco, che brancolando nel buio raccoglie solo qualche traccia del reale, a sua volta l’eco di altre visioni fallaci o parziali, è di base la rappresentazione dell’essere umano. Questo testo difficilmente collocabile che parla di psicoanalisi, arte e poesia, a metà tra il saggio e il romanzo, è da molti considerato uno dei punti più alti della sua produzione, dove il suo pensiero più maturo giunge a compimento.

4 commenti:

  1. Hai fatto una ricerca davvero molto accurata. Anche laddove non fosse completamente esaustiva, è sicuramente ampia e estensiva della cecità nella letteratura da numerosi punti di vista narrativi e simbolici.

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    1. Grazie, Ariano. Ci sono certamente molte opere che trattano di cecità che non conosco oppure che mi sono sfuggite, ma pazienza; altrimenti ogni post diventerebbe un romanzo. Questo è già abbastanza lungo, avendo "sedimentato" molto prima della pubblicazione.

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  2. Amo moltissimo quel racconto di Hoffmann, che si presta a mille spunti e mile interpretazioni, forse proprio perché l'autore sembra evitare di dare la propria versione lasciando molte ombre nella storia. Quel saggio di Freud lo considero importante non per le sue conclusioni, onestamente discutibili, ma per il suo accento su uno dei grandi concetti fissati da Hoffmann: l'unheimlich, che negli anni Settanta la Newton ha chimato "perturbante" e che Mimesis nel 2023 ha ribattezzato "spaesante", cioè la scoperta che ciò che si considerava noto, familiare ("heim"), in realtà non solo non lo è ma non lo è mai stato. Come appunto scoprire che la donna amata non è mai stata altro che una ginoide.
    Una domanda: Nabokov ha quindi scritto ben tre romanzi su un adultoo che si innamora di una minorenne... Stava cecrcando di dirci qualcosa??? :-P

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    1. Diciamo che, tra amori particolari e altri quasi in odore di incesto, intrighi e tradimenti, Nabokov non ci è mai andato giù troppo leggero, e non è un mistero che molti lettori se ne tengano bene alla larga proprio per questo motivo.

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