È giunto anche il momento di “Madre Nostra”, romanzo di Stefano Paparozzi del 2018 edito da Zona
42, un romanzo che stazionava da tempo sul mio tavolino delle letture (un ripiano della libreria,
in realtà). La cosa singolare è che l’ho letto a poca distanza da “Il potere” di Alessandro Vietti, altro
romanzo uscito lo stesso anno per Zona 42 con il quale ha diverse cose in comune, a partire dal fatto che
entrambi narrano di persone speciali alle prese con un destino che non si sono scelte, e che affrontano tra
successi e fallimenti dalle tragiche conseguenze. Mi è venuto naturale, quindi, accostare i due romanzi,
anche se le differenze sono forse più delle similitudini.
Se Alessandro, il protagonista di “Il potere”, è un supereroe dotato di una facoltà molto particolare,
Miriam, la protagonista di “Madre Nostra”, è anche lei, a modo suo, una supereroina. La definizione per
la verità non è mia, ma della stessa Miriam, che però la sconfesserà nel corso del romanzo. Ma non
importa. A quel punto della lettura, quest’idea mi si era attaccata alla mente e non se n’è più andata. Non
avevo mai riflettuto davvero su cosa voglia dire essere un supereroe, dando per scontata la presenza di
poteri clamorosi: nei fumetti il supereroe è sempre qualcuno di superforte, ultraveloce, che vola o si
attacca alle pareti, o che può allungare il suo corpo o renderlo invisibile, e così via, e se non ha particolari
doti, vi supplisce con la tecnologia (vedesi Batman o Iron Man). Tuttavia, basta molto meno per fare di
una persona ordinaria un supereroe e qualunque dono precluso a noi comuni mortali può essere in effetti
definito come un superpotere, incluso quello di riprodursi da soli.
Quando la protagonista di “Madre Nostra”, Miriam, resta incinta a soli dodici anni, tutti pensano che la
sua sia una normale gravidanza e credono che stia coprendo il colpevole oppure che abbia rimosso il
trauma di un abuso. Ci vorrà un po’ per appurare che in realtà la bambina è rimasta incinta da sola:
partenogenesi, è il responso, ed è un’anomalia genetica. A ben vedere il suo è un po’ un superpotere del
cavolo, visto che le sue figlie (sì, ne avrà diverse) nascono premature e senza la tecnologia moderna,
incubatrice e quant’altro, sarebbero probabilmente morte. Questo condizionerà la sua vita, che sarà divisa
fra scienza e religione, ovvero tra un centro di ricerca medica che spera di trovare nei suoi geni il segreto
della fertilità e una chiesa fondata in suo nome, che prenderà il nome di Chiesa della Madre delle
Moltitudini (da una pianta chiamata “mother of thousands”) e che la propala come una nuova Madonna in
grado di operare miracoli (anche per via della strana coincidenza per la quale il suo nome, Miriam, è la
forma ebraica del nome Maria).
A ben vedere, a differenza di Alessandro, lei è totalmente in balia del suo potere, non potendo decidere se
esercitarlo o meno. I due protagonisti hanno però in comune due famiglie problematiche, in cui i rapporti
tra i membri sono sfilacciati: anaffettiva quella di lui, scollata quella di Miriam. È proprio a causa del
lassismo dei suoi genitori, della loro decisione di non farle da guida che Miriam finisce irretita da quella
che si rivelerà essere una vera e propria setta. E come Alessandro, anche Miriam sceglierà di affidare le
sue memorie a un diario, ma mentre il suo Alessandro lo scrive da adulto, filtrando il suo vissuto con la
maturità acquisita nel frattempo, il diario di Miriam racconta tutti gli avvenimenti in presa diretta; tuttavia,
il suo diario presenta buchi temporali e Miriam si sforzerà di interpretare a posteriori alcuni appunti e
pensieri sparsi e di collocarli nella giusta sequenza e nel tempo per farli rassomigliare a un vero racconto,
ma tutto il materiale verrà anche rimaneggiato da una curatrice, che darà un senso ad alcune parti che
potrebbero apparire slegate fra loro e interpreterà alcuni scritti alla luce delle vicende di Miriam e di come
la sua evoluzione personale le appariva dal di fuori. La stessa Miriam, nel libro, riflette sul peso del
ricordo: nessun racconto è oggettivo, e se si rilegge qualcosa che si è scritto tempo fa con una nuova
consapevolezza anche la percezione dei fatti raccontati sarà diversa. È, mi pare, la maniera scelta
dall’Autore per avvisarci che ci sono parti della storia che potrebbero essere un po’ differenti da come la
protagonista ce le ha presentate.
Qui finiscono le similitudini fra i due romanzi. Quello di Vietti è anche una distopia nella misura in cui
racconta di una dittatura, ancorché camuffata, in cui persone obnubilate possono trovare una confortevole
nicchia: con un pin tatuato sul polso e la Società (ovvero il governo) che ti assegna un lavoro, un alloggio
e una Spesa di Cittadinanza (da spendere rigorosamente entro la fine del mese), il cittadino è dispensato
dal dover pensare e preoccuparsi del futuro e se poi si sgarra, ci pensano le Divise Verdi a fustigare, o
peggio, e a riportare il trasgressore sulla retta via. Lo stesso protagonista del libro non pensa affatto a
usare il suo potere per cambiare le cose, ma al massimo a sfruttarlo per diventare famoso (facendomi
venire alla mente, con le debite differenze, Enzo nell’incipit di “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele
Mainetti, 2015). La balzana idea di mostrare le sue capacità in pubblico lo precipita ancor di più nelle
spire del sistema, fino al twist finale che ci fa capire che non tutto si è svolto come narrato nel diario (e
che Vietti è bravissimo a far intuire disseminando piccoli indizi e impercettibili incoerenze nel
comportamento del suo protagonista che sanno penetrare nell’inconscio del lettore). Non che manchino i
riferimenti personali, anzi la vita di Alessandro viene passata al microscopio, ma è evidente che il
romanzo di Paparozzi è molto più sentimentale e intimista, e anche se Miriam a un certo punto cerca di
sdrammatizzare la sua situazione, alla fine sono veramente tante, forse troppe, le sue circonvoluzioni
mentali, i momenti in cui dice tutto e il contrario di tutto, contraddicendosi; sono molte le riflessioni
personali e il suo guardarsi dentro alla ricerca di se stessa, sommati al fatto che c’è veramente tanta carne
al fuoco a livello di temi (più avanti accennerò qualcosa). Insomma, si scava a fondo in un dramma e in un dolore umano che non hanno alcuna via d'uscita.
Da questa lettura sono uscito, ecco, frastornato, e per questo mi pare che la forma diaristica che riporta un
unico punto di vista, quello di Miriam, sia un po’ il punto debole del romanzo di Paparozzi. Non è un
problema di forma (come poteva mai scrivere un Millenial da preadolescente? Non ne ho idea, ma la
scrittura di Miriam mi sembra molto verosimile), e tra l’altro ho trovato molto originale che ciascuno dei
capitoli numerati da Miriam includa il numero della gravidanza in corso seguito da una sottonumerazione
crescente (1.1, 1.2, eccetera); il problema è che tutto il focus è su di lei e non sono riuscito a comprendere
gli altri personaggi come avrei voluto, e credo anche che conoscerli meglio, con le loro complesse
personalità e motivazioni, avrebbe contribuito ad alleggerire e variegare la narrazione. Ma quella di voler
avere un approfondimento di tutti i personaggi, o di più personaggi possibile, è una mia fisima e ammetto
che non fosse forse la principale preoccupazione dell’Autore.
Dicevo che in “Madre Nostra” c’è davvero molta carne al fuoco. C’è innanzitutto il dramma di una
bambina costretta a crescere anzitempo, a cui la scelta di fare la madre (ancora e ancora) di figlie non
volute ha sottratto la possibilità di una vita normale. C’è il suo desiderio di essere una brava persona e di
fare del bene donando speranza a donne infertili, prima cercando di curarle come Madre delle Moltitudini
(con un miracolo o come effetto placebo) e poi offrendo il suo corpo alla scienza. C’è il senso di colpa per
essersi adoperata male, facendo qualcosa che in fondo sentiva inutile, e per essere stata usata. Ci sono i
legami familiari, labili ed evanescenti (per certi versi è più significativa, per lei, la presenza dell’amica
Vanessa e della psicologa Adele di quella dei suoi stessi genitori). Per finire, c’è la contrapposizione tra
fede e scienza, ma è chiaro che le convinzioni dell’Autore pendono decisamente dalla parte di
quest’ultima. Nel romanzo, Miriam si interroga dapprima sulla differenza tra una setta e le religioni
tradizionali e perfino i partiti politici, tutti gruppi di persone che fanno proselitismo, cercando di
convincere altre persone a credere a ciò in cui loro credono, arrivando quindi alla conclusione che la
differenza tra queste associazioni è molto sottile.
In seguito si domanda se la chiesa, che la sfruttava per
chiedere soldi ai fedeli, sia poi tanto diversa dall’istituto, che invece la usa per avere sovvenzioni per le
ricerche, decidendo però che la chiesa è da condannare perché in concreto non ha fatto niente per lei o per
altre donne, mentre l’istituto ha trovato una cura per la partenogenesi di cui non beneficerà lei, ma le sue
figlie, e che in futuro sarà forse in grado di curare l’infertilità femminile. La riflessione appare un po’
parziale, tuttavia, perché Miriam non sa o finge di non sapere che la ricerca è nelle mani di medici o case
farmaceutiche che mettono brevetti sulle nuove tecnologie e guadagnano sulla vendita dei nuovi farmaci.
Che anche la medicina è una questione di business. Ma a parte questa considerazione, davvero mettere le
mani sulla pancia di una donna fingendo di guarirla è peggio che testare su qualcuno un farmaco
sperimentale che potrebbe creargli un danno permanente? Per l’autore, evidentemente sì; io, invece, non
ne sono così sicuro.
Si riflette anche se la coscienza sia di esclusivo appannaggio degli organismi complessi o se possa esistere
a livello atomico, cellulare. Può il DNA avere una sua volontà di autopreservarsi e trasmettersi? Una
domanda che hanno affrontato, in tempi e modi diversi, sia la scienza che la filosofia, che il romanzo si
limita a porre senza fornire alcuna risposta e a che a me ha ricordato letture di tanto tempo fa (i
mitocondri di “Parasite Eve” e il virus del vaiolo di “Ring”) su i cui i rispettivi autori hanno invece preso
una posizione netta, una prerogativa dell’horror che è negata alla migliore fantascienza.
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma la chiudo qua. Concludendo, sottolineo che “Il potere” è l’opera di un
autore navigato già pubblicato in precedenza, mentre “Madre Nostra” è un’opera prima, e se li ho
accostati è solo per una questione di assonanze, come ho già scritto in apertura, e non certo per fare un
paragone qualitativo. Leggeteli entrambi, se vi capita, che ne vale la pena.
Nato a Roma nel 1986, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte nella Capitale e il Conservatorio a Latina,
Stefano Paparozzi si è trasferito a Mestre per lavoro.
Ha esordito vincendo il Premio Robot nel 2015 con il racconto Rendez-vous, pubblicato sull’omonima
rivista. Nel 2016 il racconto Pranzo di Natale è stato pubblicato nell’antologia Dinosauria (Ed.
Pendragon).
Sul suo blog VersoErcole realizza sottotitoli (fra cui quelli della serie The Outer Limits), recensisce
saltuariamente libri, film e serie TV, e ancor più saltuariamente pubblica nuovi racconti brevi.
Alessandro Vietti nasce giusto in tempo per assistere alla conquista della Luna. Forse è per questo che da
sempre è interessato all’astronomia e all’immaginario fantastico. Ingegnere, vive e lavora a Genova nel
settore dell’energia e si occupa di divulgazione scientifica in ambito prevalentemente astronomico e di
speculative fiction. Suoi articoli sono apparsi sulla rivista Robot e sui mensili Coelum, Le Stelle e
L’Astronomia. Nel 1996 il suo primo romanzo, "Cyberworld", si è aggiudicato il Premio Cosmo ed è stato
pubblicato dalla Casa Editrice Nord nella prestigiosa collana Cosmo Argento. Sempre per i tipi di Nord,
nel 1999 è uscito il suo secondo romanzo "Il codice dell’invasore". Entrambi i romanzi sono stati riediti
nel 2015 da Delos Digital. Suoi racconti sono apparsi in svariate antologie tra cui "Strani Mondi" e
"Coloni dell'Universo" (Mondadori). Per Zona 42 ha pubblicato i romanzi "Il Potere" (2018) e "Real
Mars" (2016) che ha vinto il Premio Italia come miglior romanzo italiano di fantascienza. "Cosmopedia",
uscito nell'ottobre 2023, è il suo quinto romanzo. Il suo sito è www.alessandrovietti.it
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