martedì 9 agosto 2011

The Insect Woman

The Insect Woman (にっぽん昆虫記, Nippon Konchūki), conosciuto anche con il singolare titolo di "Cronache entomologiche del Giappone" (chissà chi l’ha inventato…), è un film del 1963 diretto dal regista e sceneggiatore giapponese Shōhei Imamura (1926-2006), che sarà anche l'autore 20 anni più tardi del capolavoro "La ballata di Narayama". Presentato l'anno successivo al 14° festival del Cinema di Berlino, "The Insect Woman" si fregiò dell'Orso d'Argento, grazie all'interpretazione della brava Sachiko Hidari (1930-2001), che ottenne il riconoscimento quale migliore attrice protagonista della rassegna.
Il film è distribuito da Criterion assieme ad altri due film di Imamura, “Intentions of Murder” e “Pigs and Battleships”, in un interessante cofanetto intitolato “Pigs, Pimps, and Prostitutes.”

Tome nasce nel 1918 in una povera comunità di campagna e fin da piccola vive in promiscuità con il padre Chuji, che l’altro è mentalmente disturbato, con l’esplicita approvazione della madre (la quale a sua volta, fuori casa, sessualmente è altrettanto promiscua). Ancora giovanissima diviene l’amante dell’uomo per cui lavora, mentre sullo sfondo la seconda guerra mondiale infuria.
La relazione ben presto fallisce, ma non prima che Tome diventi madre di una bambina di nome Nobuko. L’arrivo della bambina non è proprio accolto a braccia aperte, perché aggrava le già precarie condizioni economiche della famiglia: è un’altra bocca da sfamare e oltretutto un’altra femmina… È a quel punto che Tome si trasferisce a Tokyo per cercare lavoro, lasciando la figlia alle cure dei suoi genitori: Nobuko prende il suo posto anche nel letto di Chuji... Dapprima cameriera in un bordello, Tome diviene a sua volta una prostituta, forse vedendo questa come una scelta obbligata per poter sopravvivere e per senso del dovere nei confronti dei suoi parenti, che non conoscono o fanno finta di non conoscere la sua situazione e le mandano continue richieste di soldi. Partita dal gradino più basso, la donna si guadagna nel tempo il rispetto di clienti e colleghe fino a cogliere l’occasione che le si presenta per prendere in mano le redini del bordello e da qui in avanti si trasformerà senza difficoltà da vittima a carnefice, il tutto in pieno dopoguerra con le privazioni ed ansie connesse. Questa in poche parole la trama. Sullo sfondo della vicenda principale il regista ci mostra l’evoluzione del Giappone nel corso degli anni del secolo scorso: la guerra, il dopoguerra, l’occupazione americana, le sottili modifiche che le influenze straniere hanno portato alla cultura tradizionale giapponese (simboleggiate amaramente dalla discesa di Tome nella prostituzione), i diversi punti di vista delle tre generazioni che si susseguono con l’avanzare della pellicola. Insomma è un film a molte facce, una testimonianza unica.

Il titolo originale rimanda ad un insetto. Il film comincia, infatti, con l’immagine di un insetto che ripete all'infinito i suoi errori come in un circolo vizioso. Imamura, con questa metafora buddhista, ci introduce la protagonista Tome (Sachiko Hidari), che riuscirà a cambiare la sua misera vita soltanto con un'altra egualmente misera. In realtà, guardando questa prima scena, ci si chiede se non si stia per affrontare un film il cui tema sia una mutazione genetica dovuta alle radiazioni (come il titolo può lasciare erroneamente credere). Nel proseguo del film poi ci si dimentica di questa idea e dopo due ore abbondanti di pellicola la si sarà rimossa completamente. Il significato di questa metafora l’ho scoperto qualche giorno dopo, leggendolo su Wikipedia, ma se ci si riflette un attimo ha perfettamente senso.

La protagonista compie un cammino fisico in questo mondo, ma non realizza affatto quello spirituale, proprio come un insetto che si muove spinto unicamente dai propri istinti primari, senza una morale a fare da freno. Tome anzi della propria vita spirituale non ha proprio coscienza, non realizzando neanche nei momenti più bui che non può esserci cambiamento senza che si metta in discussione il proprio mondo, le proprie abitudini, e il proprio stesso modo di pensare. In sostanza Tome non è una vittima, se non di se stessa, perché anche quando viene tradita questa non è altro che una conseguenza del suo stesso modo di fare.

È vero che si è il prodotto dell’ambiente dal quale si proviene, ma Tome avrebbe potuto immaginare, desiderare una vita diversa e allora magari ne avrebbe avuta davvero una. Per quanto mi riguarda, però, considero il finale come un finale aperto: nel senso che se Tome non spezza il cerchio, potrebbe farlo in seguito sua figlia… nonostante le premesse mostrate siano scarse. E per chiudere vi dico che Tome mi ha riportato alla mente per associazione di idee il Wrestler Randy "The Ram" Robinson… Scherzi della mente, o forse no.


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