Sette persone, a bordo di una barca a vela, raggiungono un'isola sconosciuta dopo una tempesta. L'equipaggio è composto dal professor Murai, dalla sua ragazza Akiko, dall'uomo d'affari Kasai e dalla fidanzata Mami, da un esperto velista, Sakura, dallo scrittore Yoshida e da un marinaio. Una tempesta danneggia l’imbarcazione e la sospinge su un’isola deserta: alla ricerca di cibo, i sette naufraghi scoprono il relitto di una nave. Non c’è però traccia dell’equipaggio originario. Spinti presto dall’impulso della fame, i naufraghi scendono a terra e scoprono nel folto della foresta delle inquietanti distese di funghi (della specie “Matango”, come si scoprirà). Una delle donne del gruppo assaggia il frutto del sottobosco e, trasformatasi a sua volta in una mostruosa creatura fungoide, come una novella Eva cercherà di attirare nella medesima trappola gli altri compagni.
Questo in breve è il plot di “Matango” (マタンゴ), film del 1963 conosciuto anche con il geniale titolo di “The Attack of Mushroom People”. La sceneggiatura, scritta da Takeshi Kimura, è ispirata ad un racconto breve del 1907 scritto da William Hope Hodgson, un vero classico della fantascienza dal titolo “La voce nella notte” (The voice in the night).
“The Attack of Mushroom People” affronta il classico tema della mutazione, tema che d’altra parte capita sovente di trovare nella letteratura e nel cinema sci-fi giapponese anni ’70. Non a caso il regista, Ishirō Honda, fu anche il padre del primo Godzilla (1953) e di altri sette sequel ispirati alle storie del lucertolone (che in Giappone vanta il record assoluto di 28 pellicole a lui dedicate, girate nell’arco di mezzo secolo).
La singolarità di “Matango” è lo sviluppo del film stesso. Tutti gli altri film di genere, nessuno escluso, avevano una caratteristica comune: la mutazione veniva utilizzata come pretesto per giustificare la presenza della creatura, sia che essa fosse Godzilla o la tartaruga gigante Gamera, il mostro alato Rodan o il calamaro spaziale Dogora. Alla mutazione venivano riservate solo poche inquadrature, a volte solo un breve accenno, all’inizio. Dopodiché il film si sviluppava attorno alla distruzione di Tokyo fino al classico e abusato finale della vittoria del bene sul male.
In “Matango” le parti le troviamo invertite: qui la mutazione è il risultato finale, conseguenza delle azioni dei protagonisti nel corso della vicenda.
Basterebbe questo per invogliare alla visione del film: qui però la mutazione non va intesa soltanto come cambiamento fisico, ma come corruzione dell’animo umano rispetto alle regole del pensiero comune. Non è un caso se la vicenda vede protagonisti (con la sola eccezione del marinaio) un gruppo di persone appartenenti all’alta borghesia.
La storia viene comunemente letta come una sorta di pittoresca metafora del problema della droga, che proprio in quegli anni andava intensificandosi in maniera preoccupante nel mondo. Come non interpretare il Matango come una metafora del peyote messicano o di qualunque altra sostanza allucinogena tra quelle che erano particolarmente in voga in quegli anni? Matango ci mette quindi in guardia dalle sostanze allucinogene viste come causa della degradazione del genere umano. Una pellicola proibizionista quindi? Forse. Ma allora come spiegare la scena (precedente allo sbarco sul’isola e che si rivelerà poi un’allucinazione) in cui una nave per poco non investe lo yacht dei protagonisti? La degradazione degli esseri umani è già in atto? E’ la stessa società borghese, dove non c’è spazio per la solidarietà umana, che è corrotta alla base? Il fungo sarà solo un capro espiatorio?
Matango non fu in realtà il primo adattamento assoluto del racconto di William Hope Hodgson: verso la fine degli anni 50 infatti fu realizzato un omonimo episodio nell’ambito della dimenticata serie TV “Suspicion”.
Ma come venne a William Hope Hodgson l’idea di una creatura uomo-fungo? Difficile dirlo. Le leggende attorno alla cosiddetta “mushroom people” potrebbero addirittura risalire alle civiltà maya e azteca: tra i principali reperti archeologici ritrovati in Messico a Guatemala, infatti, i più enigmatici furono indubbiamente alcune statuette raffiguranti figure totemiche umane o animali sormontate da un'ampia cappella di fungo e risalenti in alcuni casi, a 3000 anni fa. La posizione geografica (e la cultura) è quella, inutile dirlo, del peyote, attraverso la cui consumazione e mediazione sacerdoti e sciamani raggiungevano il diretto contatto con il soprannaturale a la comunione con gli Dei. Ma gli uomini-fungo raffigurati sugli artefatti precolombiani sono davvero da considerarsi metafore? Oppure si tratta di una reale rappresentazione di un popolo ormai dimenticato, contemporaneo delle civiltà maya e azteche? Mostri metà uomo e metà qualcos’altro sono possibili solo in un racconto di HP Lovecraft? Oppure sono realmente esistiti? Sembra strano ma la realtà supera spesso la fantasia. Un recente articolo del National Geographic sembra realizzare quello che gli autori di fantascienza hanno solo sognato... almeno finora: un fungo senziente in grado di controllare la mente delle formiche, trasformandole, come suggerisce l’articolo stesso, in una sorta di insetti-zombie. Quando il parassita infetta una formica, prende il sopravvento sul suo cervello, lo costringe a divorare i propri simili, poi appena l'insetto si sposta in un luogo ideale per il fungo in cui disperdere le sue spore, lo uccide. Vi sono alcune immagini particolarmente impressionanti, allegate all’articolo citato: il fungo emerge dal cervello della formica come un’escrescenza del tutto simile ad un paio di corna ramificate. Vi sembra incredibile? No, non è incredibile. E’ la natura, che non smette mai di sorprenderci. Per il momento, su questo pianeta, siamo (più o meno) alla cima della catena alimentare, ma quanto ci vorrà perché da predatori ci trasformiamo in prede? I funghi saranno in grado di diventare la nuova frontiera dell’evoluzione?
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