lunedì 6 giugno 2022

Da donna a strega: madre o strega

L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI

Lascia ch’io pianga la mia cruda sorte. (Rinaldo, Georg Friedrich Händel) 

Antichrist” di Lars von Trier (2009) è uno dei miei film preferiti. I movimenti di macchina, il colore, il sonoro sottolineano benissimo i mutamenti di umore – e l’orrore – che variano e raggiungono via via nuovi livelli d’intensità, Charlotte Gainsbourg e Willem Dafoe ci regalano un'interpretazione magistrale, e si esplorano territori a me congeniali con coraggio e grande libertà. Soprattutto, questo non è solo un film ampiamente sottovalutato ma anche, secondo me, frainteso dai più. 
Antichrist” parla del dolore e del senso di colpa, certo, ma anche di qualcos’altro. Qualcosa che ha parecchio a che fare con il tema di questa serie di post, e non a caso ho deciso di affrontarlo proprio ora che, con l’articolo precedente, siamo finalmente giunti a quello che considero il nodo cruciale del discorso, ovvero l’identificazione della donna con la madre e lo squilibrio che segue la rottura di questa inevitabile equazione. Non prendete quindi questo post come una recensione del film, ma solo come una serie di pensieri sparsi che finalmente trovano uno spazio nel blog.
La società è una bestia tentacolare che, mentre ci sostiene e ci offre protezione, ci soffoca nel suo abbraccio. Per farne parte dobbiamo infatti sostenere un ruolo ben preciso, dall’evidente funzione utilitaristica, pena il ritirarsi a vivere in ascesi in un eremo o in una grotta, ammesso e non concesso che in un mondo così globalizzato come quello odierno si riesca, almeno lì, a non farsi trovare; e qual è il ruolo di due persone di sesso diverso, unite nel sacro vincolo del matrimonio e in età fertile, se non quello di riprodursi per produrre forza lavoro, maggiorenni aventi diritto di voto, carne da macello o quant’altro? 
Se credete che esageri, pensate a quant’è difficile non omologarsi con pensieri e parole alla massa, nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore dover sottostare a regole che limitano più o meno pesantemente la nostra libertà personale (uno scenario drammatico in paesi con leggi più restrittive, o come qualcuno direbbe, sessiste, delle nostre). 
Avete mai fatto caso al fatto che a nessuno viene mai domandato perché ha deciso di fare un figlio, ma se per caso decide di non averne l’interrogativo si fa pressante? Come se non sfornare pargoli significasse mancare a un dovere sociale e morale, e pure essere insensibili, gretti, egoisti. E come mai in questi casi l’onta maggiore è sempre per la donna, la quale se non trova un compagno viene bollata come zitella mentre l’uomo può, quantomeno, fregiarsi del glorioso epiteto di playboy? 

Ma esaminiamo per sommi capi la trama del film. Ci sono un uomo e una donna che fanno l’amore e, nel mentre, il figlioletto muore cadendo dalla finestra. La moglie, naturalmente, la prende malissimo: si sente in colpa, è sofferente e apatica. Viene ricoverata in una clinica, ma la cosa non sembra darle alcun sollievo. E allora il marito, che fa lo psicoterapeuta, che fa? Decide di curarla lui stesso, la fa dimettere e la conduce in un luogo che lei, per un motivo che scopriremo strada facendo, teme molto: uno chalet nel mezzo della foresta di Eden dove ha trascorso qualche tempo sola con il figlio l’estate precedente per svolgere delle ricerche. Lì esplode l’orrore… 
Qualcosa di oscuro è avvenuto a Eden, qualcosa che ha a che fare con l’oggetto di queste ricerche. La donna si è convinta che la natura femminile sia malvagia e a nulla serve cercare di persuaderla altrimenti. Fra le prove del suo bizzarro comportamento c’è una raccolta di libri e articoli che parlano di stregoneria, il suo diario e una foto che mostra il piccolo Nick che calza le scarpe al contrario, probabilmente non per la prima né l’unica volta, dato che (come confermato dall'autopsia) aveva cominciato a mostrare i segni di una malformazione ai piedi. Forse la madre intendeva così "iniziarlo" al Demonio? Tutto ciò non può che farci tornare alle mente quanto scrissi in uno dei primi post di questa serie, secondo il quale alcuni tipi di malformazione sarebbero la chiave per riconoscere esseri sospesi fra il piano naturale e quello soprannaturale, ovvero fra il regno dei vivi e quello dei morti. "La mancanza di un osso, o una sua malformazione, - scrissi in tale occasione - è una prova del “sacrificio” insito nel rito di iniziazione – qualcosa che nel Cristianesimo divenne la prova tangibile di un patto col Diavolo". 

Di marito e moglie non sappiamo neppure il nome, ma non è importante, perché si parla di archetipi; il figlioletto invece si chiama Nick che, nella mitologia nordica, indica un demone o uno spirito malvagio (“Old Nick” è attestato come appellativo del demonio fin dal XVII secolo, anche se la sua origine rimane ad oggi un mistero). Solo un caso? 
Ora, che violare la deontologia professionale per curare un parente sia non solo scorretto, ma anche rischioso, non è certo una novità, ma qui è evidente che l'orrore non è dato dalla presunta pazzia della moglie, e perfino l'avvento dei tre "profeti" (rimando a una fiaba balcanica che non conosco, o così ho letto in giro) prefigura, più che un collasso psicologico, un'epifania spirituale. Di pari passo, a contatto con la natura la donna pare riscoprire il proprio erotismo, un erotismo primitivo e selvaggio che, anziché riavvicinarla al marito, sembra spalancare fra di loro un abisso. La moglie è la Menade che si accoppia con furia dionisiaca, che poi immobilizza il maschio, che è come dire castrarlo... 

C'è chi ha visto in questo film la descrizione di un devastante senso di colpa che causa un delirio di feticistico orrore (specie per la feroce determinazione con cui lei si asporta il clitoride), ma non bisogna dimenticare che il ritorno all’Eden rimanda sì alla condizione di primigenia purezza, ma anche a una nuova consapevolezza. Il dovere della maternità allontanava questa donna dalla natura, non è quindi un caso che lei vi si reimmerga nel momento in cui non è più madre; suo figlio è morto, non importa come (lei ha peccato d’incuria? Forse, ma allora suo marito è colpevole quanto lei; poteva salvarlo? Forse, ma non lo ha materialmente ucciso e nulla prova che lo volesse morto), e in qualche modo pare che dentro di lei si scateni una vera e propria lotta fra il suo istinto, che la vuole libera e non-madre, e la sua parte più razionale dominata dal senso di colpa. La sua personalità è scissa, le due parti contrapposte, e ne ha paura. 

A sua volta, suo marito teme questa sua femminilità ferina, libera e castrante. Anche il nome “Eden” non è affatto casuale. Eden è il paradiso perduto, ma certo non il paradiso che ci hanno insegnato a conoscere. Qui vi è infatti un ribaltamento del concetto di Dio e (è) Natura. Se un dio è immanente alla natura, non si tratta certo di quello cristiano, ma di un dio pagano o forse, più correttamente, di un'antesignana dea lunare e ctonia, poi soppiantata da un dio maschile. Parrebbe la deroga a un mondo "naturale" maschile, se non fosse che anche il Cristianesimo deve la sua popolarità più alle figure della Madre e del Figlio della tradizione egea che alle divinità maschili di quella stessa area, anche se non è un fatto su cui in genere si riflette troppo, così come il dio dei Vangeli ha fatto dimenticare quello guerrafondaio e violento della Bibbia. 

Con questa storia von Trier firma quello che è forse il suo capolavoro, sia dal punto di vista formale che da quello dell’incursione in un mondo, quello intimo femminile, generalmente precluso agli uomini. A dispetto della crudezza di alcune scene, il suo sguardo mi sembra più spaesato che aggressivo, ma la cosa divertente è che quello che potrebbe sembrare un lieto fine è per me invece esattamente l’opposto, il frutto di un pessimismo (realismo?) cosmico e di un cinismo totale e totalizzante. La dea s’inchina al dio, la moglie-strega viene uccisa e bruciata, il Caos si riassoggetta all’Ordine; Caos che da sempre significa Male, Maligno, e dunque per definizione è pagano, ecco perché quel fuoco che vediamo bruciare diventa ai nostri occhi lo stesso fuoco dell’Inquisizione. La natura è la chiesa di Satana – ci dice il personaggio della Gainsbourg. Insomma se non si è madri, si è streghe. O lo si diventa. 

Mi viene naturale a questo punto accostarle due personaggi, prelevati stavolta dal mito e dalla letteratura. Il primo è Canidia, la maga delle Epodi di Orazio che sacrifica bambini per fare filtri d’amore con il loro midollo e fegato essiccati; il secondo è Lilith la "Luna nera", sconcertante caso di sincretismo a cui già in passato avevo accennato (ne avevo parlato in breve qui). La demonologia ne ha tramandato un'immagine spaventosa e bisogna rivolgersi alla tradizione cabalistica per rivalutare la sua figura, ma quel che mi preme sottolineare in questa sede è che nei diversi i miti che sono sopravvissuti su Lilith, essa è o maledetta da Dio e destinata a concepire figli che moriranno prima della nascita, oppure in grado di generare solo demoni. Questo è il destino di colei che si ribella al suo destino, che non si sottomette. I cacciatori di streghe sembravano avere particolarmente in odio le donne di età avanzata. In fondo, nella mentalità cristiana ortodossa una donna che non è più fertile è inutile… e una donna non più fertile che vive sola, conosce le proprietà curative delle erbe e magari è un po’ sempliciotta e ignorante non può che generare sospetto. 

Ma prima di proseguire con questo argomento, vale la pena rilevare che la figura della strega è ricorrente nella letteratura biblica, e semmai bisognerebbe ragionare su come questa fosse intesa in origine e quando esattamente cominciò a venire aborrita. Leggendo ora determinati passi biblici, se persino un personaggio come il re Saul vi ricorse per poter interrogare lo spirito del defunto Samuele in un momento di difficoltà (1 Samuele, 28), è evidente che in passato la necromanzia dovette essere molto comune. All'epoca di Saul però questa pratica era vietata dalla legge di Yahweh, chi la esercitava era definita una “strega” e chi ricorreva ai servigi di una strega veniva punito (proprio come Saul nel racconto). Perché la necromanzia venne in seguito demonizzata non è invece difficile da capire: colei (o colui) che cerca di attingere alla saggezza naturale/cosmica alla ricerca di aiuto spirituale o materiale sfida l’autorità ecclesiastica ufficiale perché mette in discussione l'esistenza stessa della sua casta di sacerdoti. È una questione temporale, non morale. 

La strega che vola sulla scopa di saggina o sulla groppa di un animale fa invece parte dell’immaginario medievale, anche se il legame tradizionale fra la scopa e la donna deve essere molto più antico, dal momento che la scopa era il simbolo del luogo d’elezione della donna, la casa, così come il forcone lo era per l’uomo (e lo provano le numerose raffigurazioni medievali di danze nelle quali le donne o streghe impugnavano delle scope e gli uomini dei forconi). Fu sempre nel Medioevo che si descrisse per la prima volta la stregoneria come una setta e un’eresia: l’associazione delle streghe col Demonio fu la base sulla quale l’Inquisizione istituì i processi, le torture e i roghi che uccisero migliaia e migliaia di persone, prima di infiammare anche le colonie americane in epoca più tarda. Non tutte le vittime dell’Inquisizione furono donne, naturalmente, ma è innegabile che la loro preponderanza abbia fatto sì che in genere si pensi alla strega come a una creatura di sesso femminile.

4 commenti:

  1. A differenza tua non sono poi così legato al Cinema di Von Triers però va detto che specie in questa pellicola dimostra un taglio davvero incandescente ed irriverente, adesso alla luce delle tue analisi sulla figura della strega e i cambiamenti dei modi di vederla, capisco perchè na hai voluto parlare. Alla fine credo rimanga sempre l'interrogativo che mi faccio da sempre. che sia stata la società patriarcale ( come accusano spesso le frange più estreme del femminismo) a voler eliminare una sorta di potere al femminile, più integrato con la natura? Oppure come penso io si è trattato di una sorta di naturale evoluzione della società? Ancora non ho trovato una risposta che mi convinca del tutto.

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    1. Ti confesso che neppure io ho ancora trovato una risposta del tutto soddisfacente a quella domanda. Se questa serie di post era nata anche con lo scopo di mettere ordine del mio cervello, allora devo dire che non ha ancora assolto alla sua funzione.

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  2. Io pure ammetto che Von Trier, pur essendo certamente un regista di enormi capacità, non è però in sintonia con i miei gusti individuali.
    Riguardo l'interrogativo che solleva Nick, ricordo che in un programma televisivo visto molti anni fa uno studioso di etnografia sosteneva che nella società tribale polinesiana tradizionale le donne avevano un elevato livello di indipendenza (sempre relativo in realtà, ma più elevato che in altre società ad altre latitudini) poiché la natura rigogliosa forniva in abbondanza il cibo necessario per la sopravvivenza e l'assenza di conflitti rendeva meno rilevante la maggiore potenza fisica degli uomini. Se fosse un'ipotesi corretta, si potrebbe sostenere che nel momento in cui un aumento della popolazione, in Europa come in Asia e in Africa, ha ristretto i territori a disposizione per la sussistenza spingendo le tribù a farsi guerra per mantenerne il possesso e riducendoli a poter contare su risorse molto limitate per i propri membri, la maggiore possanza fisica maschile è diventata prioritaria per la sopravvivenza, aumentando notevolmente il ruolo (e il potere) dell'uomo.

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    1. Questa è all'incirca anche la tesi di Marvin Harris, autore di "Cannibali e re", con la differenza che lui sostiene che la pratica della guerra fu sì una risposta alla pressione demografica ed ecologica, ma in un senso diverso da quanto saremmo portati a credere, noi che conserviamo sempre il mito del "buon selvaggio" e, inoltre, riteniamo i popoli delle tribù generalmente incapaci di qualunque tipo di pianificazione: nelle società tribali non si faceva la guerra per ampliare i propri territori o garantirsi territori più ampi e con più risorse, o meglio, non solo per questo, bensì come una maniera molto semplice per tenere sotto controllo la crescita della popolazione. In pratica la guerra (ma anche l'infanticidio, generalmente femminile) era essa stessa un metodo di controllo demografico, e anche un modo di prevenire l'esaurimento di risorse animali, dato che il fabbisogno di carne di una popolazione adulta crescente nel lungo termine non è sostenibile. Poiché la guerra era essa stessa uno stimolo ad allevare maschi da destinare al combattimento, non è chiaro che cosa possa aver stimolato un aumento demografico spropositato in alcune popolazioni in periodi di pace, ma nel caso degli Yanomamo, una popolazione tribale del sudamerica, Harris ipotizzò che questo potesse avere a che fare con il fatto che quando questi popoli entrarono in contatto con l'uomo bianco, vennero in possesso di attrezzi che gli permisero migliori raccolti, e persino di coltivare più varietà di piante, producendo quindi un sovrappiù di calorie e nutrienti. La supremazia maschile secondo Harris non è naturale e però prevale ancora oggi che a fare la guerra, e soprattutto a pianificarla, non sono più solamente gli uomini, quindi mi sembra logico pensare a una sorta di indottrinamento ideologico che in parte si deve alla religione, ma i cui meccanismi in effetti non sono ancora del tutto chiari (come dicevo a Nick, non ho ancora trovato una spiegazione del tutto soddisfacente). Il discorso è ovviamente più complesso e mi piacerebbe approfondirlo...

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