lunedì 29 maggio 2023

Confessioni di una maschera #11 (Manoscritto trovato tra le pagine di un libro di Seichō Matsumoto)

Confessioni di una Maschera”, piccola collezione di ricordi sparsi buttati lì senza un filo logico, è una rubrica che avevo iniziato ormai quasi cinque anni fa con lo scopo di esorcizzare la temuta ricorrenza del mio cinquantesimo compleanno. Non è stata, lo ammetto, una rubrica alla quale ho dedicato una quantità esagerata del mio tempo (una media di due post all'anno è infatti piuttosto ridicola), ma talvolta mi è capitato di utilizzarla nei momenti di assenza di particolare ispirazione oppure, in pochi altri casi, per pura coincidenza, dopo aver recuperato qualcosa che ritenevo fosse andato perduto, come ad esempio quella frase ritrovata scritta in una mia vecchia agenda che (lo avevo dimenticato) si era poi rivelata essere un estratto da una vecchia canzone di Robert Smith e soci.

Frugare tra le pagine dei libri è sempre un'attività interessante, specie per chi come me è un avido (e compulsivo) compratore di libri usati, tra le cui pagine, negli anni, ho trovato memorabilia di ogni tipo, oggetti probabilmente usati come segnalibri di fortuna: biglietti dell’autobus o del treno, del cinema o del teatro, cartoline, ricette, liste della spesa, buoni sconto del supermercato, cartellini segnaprezzi e persino compiti di matematica. Tra le le pagine del romanzo "Tokyo Express" di Seichō Matsumoto (recensito solo qualche giorno fa qui sul blog) ho invece trovato un foglio a quadretti, ripiegato in quattro, con vergate a mano le parole riportate qui sotto in una calligrafia minuscola, a occhio e croce maschile, al limite dell’intelligibile. Si tratta con ogni evidenza dell’inizio di un romanzo o di un racconto (per via del testo, ma lo vedrete, escludo si tratti di una pagina di diario o di un tema scolastico). 

L’ho riletto varie volte, ma non so decidere se possa essere stato ispirato dalla lettura del suddetto libro (che comunque è più filosofico di quanto possa apparire in superficie) o se sia stato infilato tra le sue pagine per caso e lì dimenticato. Dubito che chi lo ha scritto passerà mai di qui ma, se lo facesse, vorrei che sapesse che mi ha incuriosito. Ho letto come comincia, avrei voluto sapere come finisce. Ecco qui la trascrizione del testo (cancellazioni dell’autore incluse).

Cosa è realtà, cosa è finzione nella mente dell’uomo? Pensieri, ricordi, speranze, sogni… La ricerca di un universo parallelo dove il fantastico crea un tutt’uno con la pura e semplice oggettività del mondo a cui apparteniamo. Mondanità e quotidianità che spingono l’uomo ad abbandonarsi al pensiero di un’estraneazione dalla vita terrena, che non permette all’individuo di dettare le proprie regole per la creazione di un mondo a propria detta migliore e perfetto. Ebbene sì, molti di Voi si chiederanno cosa mi spinge a formulare un’immagine dell’uomo così fragile e diversa da quella che uno si aspetterebbe di sen vedere. Ma partiamo dal principio; questa è la storia di un uomo. Per spiegarlo mi appello alla vostra pazienza, perché occorre partire dal principio, quando tutto ebbe inizio. Vi narrerò la storia di un uomo che ha vissuto la propria vita nella speranza che l’uomo dedizione verso le opere di filosofi nella ricerca della medicina migliore per un mondo costernato di ingiustizie e violenze. Uomo che ha trovato una soluzione nel Teatro. 
Sono in tutto tredici righe che, una volta digitalizzate per questo post, si sono incrementate di un paio di unità. Potrebbe essere, come dicevo poc'anzi, l'inizio di un racconto o di un romanzo, ma nulla ci vieta di ipotizzare che sia l'inizio di qualcos'altro, come per esempio un saggio sul teatro e sulla recitazione. 

L'autore del breve manoscritto ci introduce rapidamente al concetto di "finzione" (o fiction, come oggi si preferisce dire), che non ci dà molti indizi in quanto, per definizione, "finzione" (il tema qui è quello del rapporto fra la realtà e la sua alterazione) è un termine che abbraccia qualsiasi forma di espressione che contiene elementi immaginari, ma che è anche un concetto antico quanto l'uomo stesso, se consideriamo il fatto che i testi più antichi giunti fino a noi non sono altro che opere di finzione (basti pensare all'Odissea di Omero, poema epico sopravvissuto a migliaia di anni di storia). 
L'autore prosegue mettendo in campo concetti come "estraniazione dalla vita terrena" e "creazione di un mondo [...] migliore e perfetto": si sta parlando evidentemente di "escapismo", termine che sottoindende un immaginario le cui origini si possono far risalire ai war games strategici di inizio ‘800 come il Kriegsspiel tedesco, o ancor prima, se pensiamo al gioco degli scacchi. Oggi parlando di "escapismo" ci riferiamo più che altro all'immaginario videoludico, agli intramontabili giochi di ruolo e, perché no, alle sostanze psicotrope e alla cultura rave, tutte categorie dove è presente una componente psicologica (l’assunzione di un ruolo, di un’identità fittizia), una componente teatrale (il contesto narrativo) e una componente normativa (le regole da seguire e le pene per chi sgarra). 
Sembrano confermare l'ipotesi "escapista" le parole con cui l'autore chiude lo scritto, attraverso le quali preannuncia l'analisi delle vicende di un uomo che troverà nel teatro (e quindi nella finzione) la soluzione per "un mondo costernato di ingiustizie e violenze". Si tratta di un'idea tra le più classiche che si appropria di elementi prelevati dall'universo reale, li immerge in un contesto immaginario e li fa riaffiorare nel corpo di un eroe le cui gesta finiscono inevitabilmente per ricalcare il mito di Teseo e del Minotauro, un mito nel quale c'è costantemente un eroe, un anti-eroe, e qualcuno (una fanciulla) o qualcosa (il mondo) da salvare.
Peccato che l'autore del breve manoscritto si sia interrotto proprio in quel punto: credo che un paio di paragrafi in più sarebbero stati sufficienti per capire con sufficiente chiarezza dove sarebbe andato a parare. E voi? Che idea vi siete fatti?

2 commenti:

  1. Mi chiedo se la soluzione nel "teatro" trovata dall'uomo che ha scoperto la ricetta per affrontare i mali del mondo sia da intendersi in senso letterale (ovvero l'uomo ha deciso di dedicare la propria vita all'arte del teatro, magari allenandosi a fingere che il mondo intorno a lui sia solo una scenografia e le persone siano solo attori che seguono una sceneggiatura) o se intenda una soluzione da applicare all'intera umanità, ossia convincere l'umanità a vivere la propria vita seguendo il proprio ruolo che gli viene assegnato da una qualche autorità superiore...

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    1. Abbiamo il 50% di possibilità che sia l'una o l'altra cosa. Di primo acchito avrei dato per scontata la prima tua ipotesi, ma effettivamente ora che mi ci fai pensare, ci sarebbe spazio anche per la seconda.

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