mercoledì 20 marzo 2019

Da donna a strega: sacerdotesse

L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI

Nel mondo classico vi fu almeno un caso documentato di sacerdozio al femminile: sto parlando naturalmente delle Vestali, le sacerdotesse di Vesta, la controparte romana della greca Estia. Una dea che ha parecchio a che fare con l’immaginario cristiano.
La vergine Estia era una divinità che proteggeva la casa e il focolare: primogenita del padre Crono, fu la prima a venire ingoiata da lui e, di conseguenza, l'ultima a essere poi rigurgitata. Proprio per questo era ritenuta il centro dell'universo, e trovava spazio nell'edificio più importante di ogni città così come nei templi degli altri dèi. In un braciere circolare il fuoco, suo simbolo, doveva essere mantenuto sempre vivo, un'usanza poi estesa alla celebrazione delle Olimpiadi e in auge ancora oggi; all'inizio e alla fine del pasto calici di vino si levavano in suo onore.
Il culto romano di Vesta, per quel che ne sappiamo, era molto simile a quello di Estia, ma se possibile ancora più primitivo. Sappiamo per certo che le sue sacerdotesse, le Vestali, erano deputate al mantenimento del sacro fuoco (e chissà che le streghe medievali col loro calderone, o paiolo, oltre ad essere compagne simboliche – madri, figlie, mogli – del Sole, che è poi la fonte del fuoco stesso, non debbano qualcosa del loro immaginario a queste “custodi del fuoco”).

A parte questo, sulle Vestali abbiamo informazioni piuttosto scarse, in gran parte per via del fatto che esse sole avevano accesso al cuore del Tempio e quindi si sa ben poco dei rituali che lì avvenivano e degli oggetti sacri che vi venivano utilizzati. La disciplina loro imposta era molto severa e la perdita della verginità significava morte certa, e anche se al termine del loro incarico erano libere di sposarsi, questo veniva considerato di cattivo auspicio, perciò trovarsi un marito, per loro, poteva non essere affatto facile; diversamente da quanto nell’antichità accadeva, per esempio, alle donne dionisiache, il cui culto era compatibile con la vita coniugale e anzi ne costituiva il complemento.
Sappiamo che le Vestali venivano affidate dalle famiglie al Pontifex Maximus (1) da giovanissime, tra i sei e i dieci anni, per un periodo di cinque anni, poi esteso in una fase successiva fino a trent'anni, forse per transitarle fino a un secondo possibile periodo di fecondità (come la storia biblica di Isacco e di sua madre Sara c'insegna, anticamente la progenie di una donna in là con gli anni, al limite della menopausa, era considerato prezioso e raro quanto quello di una primipara).
Un indizio di quanto il Cristianesimo debba alle religioni preesistenti, se mai ce ne fosse bisogno, sta proprio nel legame rinvenibile tra la figura della suora e quello più antico della Vestale: a entrambe erano richieste purezza e castità, e al momento della consacrazione alle Vestali venivano tagliati i capelli, che venivano appesi a un’antica pianta di loto, e le giovani venivano abbigliate con vesti candide, a mo’ di spose, in maniera fin troppo simile a quanto avviene ancora oggi quando le suore prendono i voti per pensare a una semplice coincidenza.

Nella Roma cristiana, sotto Teodosio I, si proibì il culto di Vesta, ma esso era radicato così profondamente nel sentimento popolare che non fu possibile estirparlo del tutto. E così, il Cristianesimo fece quello che fa sempre: ne inglobò le vestigia.
La suora, come la Vestale prima di lei, sembrerebbe però essere soprattutto un retaggio dell’antichissima usanza di sposare un essere umano a una divinità, usanza in base alla quale la donna si votava alla verginità e offriva sacrifici all’idolo a nome di tutta la comunità. A dire la verità, se sotto Tarquinio Prisco la Vestale che infrangeva il voto di castità veniva sepolta viva, ciò che accadeva in tempi più remoti è ancora oggetto di dibattito. C'è chi pensa che, in determinate circostanze, probabilmente durante le feste di mezza estate e di mezzo inverno, le Vestali si unissero carnalmente con i compagni del re durante incontri di gruppo, cerimonie che avvenivano in segreto e in un ambiente buio, in modo che a posteriori non si potesse stabilire con certezza a chi attribuire i frutti di quelle unioni. Frutti che erano accolti con benevolenza: di padre incerto, erano tutti "figli del dio", e in mancanza di altri pretendenti i futuri re sarebbero stati scelti fra di loro. Ma poi.... poi nacque l'istituzione della paternità, e con essa la monogamia, e queste cerimonie cessarono, sopravvivendo per un certo periodo solo come feste orgiastiche popolari.

L’altro dio la cui adorazione era affidata alle Vestali si chiamava Fascinus e il suo emblema era un fallo eretto. Quello che Plinio il Vecchio chiamava Fascinus, e che noi conosciamo con il nome di Priapo, aveva la peculiarità di esercitare influenza, intesa come dominazione, sulla mente degli uomini, un fenomeno che curiosamente si poteva contrastare indossando una piccola effigie raffigurante un fallo. Oggi, nei paesi cristiani, a protezione dal male si erge il crocifisso… Con il tempo, fascinus assunse sia il significato di “affascinare” che di “stregare”: da questo termine latino derivano infatti sia la parola fascino che magia, stregoneria, cioè un incantesimo maligno.
Per comprendere da dove derivi questa valenza negativa bisogna fare un passo indietro e tornare a parlare della prostituta sacra (2) e del suo ruolo. Benché si dedicasse anche a fare offerte e sacrifici, la funzione principale affidata alla donna era però, secondo John Allegro, proprio quella di sedurre il dio-fungo durante i riti sessuali della fertilità, esponendo le proprie parti intime e irrorando il terreno con il proprio mestruo e la propria urina dove si supponeva che il fungo, dormiente, giacesse nascosto nella terra. A gettare una luce sui metodi di evocazione delle prostitute sacre ci sono riferimenti sparsi nella letteratura antica, ma diciamo che questa “seduzione” doveva avvenire lontano da occhi profani, approfittando della copertura offerta da una capanna o altro rifugio, o dalle fronde degli alberi (come in Osea 4:13: “Sacrificano sulla sommità dei monti, offron profumi sui colli, sotto la quercia, il pioppo e il terebinto, perché l'ombra n'è buona.”).

Questa pratica, documentata da Giuseppe Flavio, da Plinio e probabilmente da altri, sarebbe sopravvissuta nell'immaginario medievale associato alle streghe, così come è sopravvissuto il ricordo della protezione magica che veniva utilizzata durante questi riti: un cerchio, tracciato con una spada o con la farina attorno alla pianta. Il cerchio primordiale, per inciso, era noto anche ai mistici cristiani (gli Esseni meditavano all'interno di cerchi magici).
Piccola digressione. Il metallo della spada era reputato carico di poteri sovrannaturali. Diversi metalli, e specialmente il bronzo e il ferro, furono a lungo visti con sospetto e diffidenza, come forse lo erano stati ai tempi in cui erano ancora una novità. Allo stesso tempo erano vitali, perché si pensava che gli spiriti li aborrissero ed erano quindi utilizzati a protezione delle case o delle persone o per farne amuleti. Fine della digressione.
Per John Allegro la nascita del moderno concetto di stregoneria sarebbe da attribuirsi ai riti con i quali le donne stimolavano “l’erezione”, letteralmente l’ergersi del dio-fungo dal suolo. Dio-fungo o meno, abbiamo visto che per sollecitare la fertilità della natura si operava una ritualità ben precisa: che poi questa “magia” consapevole non avesse nulla di diabolico, è tutta un’altra faccenda.

Ma c’è un altro fatto da tenere presente. In tutte le religioni in cui la donna ha avuto parte attiva, l’evocazione accompagnata da lamentazioni sembra essere una costante. Il fatto che questo rito fosse praticato in prevalenza da donne trova una sua ragion d’essere in quella che qualcuno, con un pizzico di ironia, definirebbe la predisposizione naturale alla tragedia del genere femminile. E per via della loro costituzione fisica e sessuale è innegabile che le donne, più degli uomini, siano portate a provare sentimenti di pietà e di empatia.
Questo in teoria, almeno: nella pratica le lamentazioni sono una faccenda un po’ più complessa, ma magari ci tornerò sopra più avanti. Per ora mi limito a dire che ancor oggi è usanza tipicamente femminile (benché questo sia più comune nei contesti rurali e più arretrati) piangere a gran voce e stracciarsi le vesti durante i funerali. Se la professione della prefica, che piangeva ai funerali a pagamento, nacque nell’antica Roma, il concetto alla base di questo rito è tuttavia molto più antico. Per l'uomo primitivo, la morte di una persona cara non era solo una grave perdita affettiva, ma anche un memento mori che andava a scardinare le sue certezze, riportandogli alla mente in maniera brutale l’atavico terrore per la propria stessa condizione di mortalità; da qui la necessità di controllare il dolore, ritualizzandolo. Forse condividere il lutto con qualcuno poteva avere l'effetto di restituirgli l'equilibrio e la serenità perduta, mentre al contempo il pianto collettivo riaffermava l’esistenza di chi era ancora in vita e placava lo spirito del defunto che diveniva, da quel momento in avanti, un nume tutelare per la famiglia e l'intero clan. Archetipo della donna propensa a partecipare alla sofferenza altrui è la dea Ishtar, che ricordiamo intenta a compiangere la sorte del suo defunto marito Tammuz, ma una tradizione simile esistette in Egitto e anche altrove.
In generale, la figura del dio morente, che viene “sacrificato” e “fertilizza” la terra con il suo sangue, sembra una costante del passato.

(1) Da cui deriva com’è noto il titolo di Pontefice, termine entrato di diritto nel lessico cristiano prima per indicare i vescovi, e poi per indicare il vescovo di Roma: il Papa.
(2) Alcune di queste, per quanto possa sembrare strano, erano di sesso maschile. Lo confermano anche alcuni scritti biblici dove questi soggetti sono chiamati “cani”, forse in riferimento alla loro maniera di accoppiarsi (cioè come soggetti passivi del rapporto). Naturalmente, visto l’argomento trattato, in questa sede mi riferisco sempre alla prostituta sacra di sesso femminile.

8 commenti:

  1. Molto interessante. La similitudine tra vestale e suora in effetti non passa inosservata. Il sangue mestruale come simbolo di fecondità (e poi sangue e basta in seguito) credo che sia anche alla base dei sacrifici animali offerti alle divinità, no?

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    1. Ci sono diverse ipotesi e scuole di pensiero a questo proposito, Ariano. Diciamo che il pensiero di Frazer e dei suoi epigoni è orientato più o meno in tal senso, ma c'è anche chi grossomodo equipara il sangue mestruale ad altri liquidi corporei come il liquido seminale o la saliva. Tornerò a parlare di sacrifici animali e umani andando avanti, ma temo di essere molto lontano dal poter fornire tutte le risposte. Ovviamente. ^__^

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  2. Sai che adoro questo tipo di post vero?
    Per curiosità, arriverai anche a parlare di alcune delle tipologie di streghe del folklore italico?

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    1. Sì, mi fa molto piacere sapere che apprezzi. ^__^
      Guarda, all'inizio pensavo di no, perché già lo fanno in tanti (tra cui tu) ed egregiamente, ma ammetto che sto cominciando poco a poco a cambiare idea, perché la cosa mi appassiona. Anche se più che fare una "monografia" delle varie tipologie di streghe, mi piacerebbe piuttosto raccogliere racconti o testimonianze dirette di persone che conoscono qualche variante regionale poco nota, delle derivazioni delle figure di streghe più famose... E tra l'altro la cosa si presterebbe bene anche una sana operazione di guest-blogging, anche se i post che parlano del folclore, che da te sono molto letti e commentati, qui da me non hanno molto seguito. Sicuramente la ragione sta nel modo in cui ho scelto di affrontare l’argomento e nelle mie scarse capacità di divulgatore, ma insomma bisognerebbe trovare qualcuno interessato, con qualcosa di pertinente da raccontare e disposto a scriverne. È ancora tutto da pensare e organizzare… vedremo. :-)

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  3. Complimenti! È un tema veramente interessante. Non finisco mai di stupirmi di quanto il cristianesimo deve per i suoi riti alle religioni precedenti.

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    1. Guarda, io ormai sono arrivato al punto di stupirmi quando, entrando in una delle nostre chiese, trovo qualcosa di originale...

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