LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Un ribaltamento della prospettiva pare averlo operato anche la letteratura moderna rispetto a quella classica, almeno a giudicare dagli esempi proposti qui sopra, anche se non ne so a sufficienza per poterlo dire con certezza; a ben vedere, comunque, a grandi linee parlano di cecità anche quei racconti distopici, come “1984” (“Nineteen Eighty-Four”, 1949) di George Orwell, che utilizzano il concetto dell’occhio invisibile per parlare della sorveglianza di massa, della repressione e della propaganda nei regimi totalitari, assurto poi a metafora di quanto esprime il potere nella società contemporanea, perché deputare una vista illimitata a un “Grande Fratello”, cioè all'élite come ingannevole surrogato della collettività, significa in fondo sottrarla al singolo, condannandolo a qualcosa di molto simile alla cecità.
Del resto, Orwell prese ispirazione dal Panopticon, il carcere circolare ideato alla fine del ‘700 da Jeremy Bentham, e il nome Panopticon, letteralmente “l'occhio che tutto vede”, deve il suo nome ad Argo Panoptes (Ἄργος Πανόπτης”), una creatura della mitologia greca che aveva molti occhi sparsi sul corpo (secondo Ovidio, addirittura cento), grazie ai quali non doveva mai dormire...