“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello
speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato
ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di
piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in
uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o
rimandata, a vostro piacimento.
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Nel post precedente abbiamo accennato al fenomeno delle “fasting girls”, donne o bambine a digiuno e “nutrite da Dio”.
Una di queste fu la francese Jane Balan, di Confolens, che si diceva avesse digiunato per almeno tre anni e fu sorvegliata
da un medico per ordine del re Enrico IV; un’altra fu Martha Taylor, che attirò l’attenzione dopo che ebbe digiunato, a
suo dire, per un intero anno.
Quasi sempre il fenomeno aveva inizio dopo una breve malattia (come nel caso Sarah Jacob, una bambina gallese che si
ammalò nel 1867, poco prima del suo decimo compleanno) o un incidente (come in quello della diciottenne di Brooklyn,
New York, Mollie Fancher, che nel 1865 fu trascinata da un tram dopo che la sua gonna restò impigliata nella ruota della
vettura. Per la verità lei affermava di assumere una quantità molto piccola di cibo all’incirca ogni sei mesi, ma poco
cambia).
Quando la notizia dei “prodigi” si diffondeva, le persone andavano in pellegrinaggio a visitare le giovani e far
loro delle offerte nella speranza di essere esse stesse toccate dalla benedizione divina e per far esaudire le loro preghiere;
queste giovani venivano infatti considerate molto pie e in odore di santità.
Bisogna considerare che a quel tempo le
carestie, specie in Europa, non erano rare, e il fatto che qualcuno potesse sopravvivere senza cibo senza apparenti
problemi doveva colpire molto l’immaginazione; inoltre, in quei tempi e luoghi la religione aveva un grosso peso nella
vita quotidiana e non è da escludersi che molte di queste ragazze si fossero autosuggestionate, cadendo preda di una sorta
di delirio religioso.
Alcuni medici incolpano l’isteria, una nevrosi spesso usata per giustificare i malanni femminili; altri
ancora sospettano che gli stessi familiari delle ragazze avessero involontariamente provocato il digiuno lodandole per il
poco cibo che avevano consumato mentre erano ammalate o in fase di remissione; e una volta che il fatto era reso
pubblico e le famiglie cominciavano a ricevere visite e accettare donazioni, era molto difficile tornare indietro.
Fatto sta che in molte furono sorprese a barare; si scoprì infatti che mangiavano di nascosto (per esempio facendosi
passare del cibo dalla bocca di un familiare quando si baciavano), non molto ma quanto bastava per non morire di fame.
Qualcuna, come la Fancher, rifiutò sempre di farsi sorvegliare e non si riuscì a provare né le sue affermazioni, né la
probabile frode. E quando invece la ragazza veniva sorvegliata giorno e notte, si assisteva immancabilmente al
peggioramento delle sue condizioni fisiche e alla sua morte, come nel caso della Jacob, senza che né i familiari delle
vittime né i medici e le infermiere venissero mai messi sotto accusa.
Come si può lasciar morire un figlio di fame per non svelare un imbroglio?
Questo è il terribile interrogativo che ci
attanaglia e accompagna anche la visione del film del 2022 di Sebastián Lelio “Il prodigio” (The Wonder), prodotto da
Netflix e basato sull’omonimo romanzo del 2016 di Emma Donoghue.
La vicenda dell’irlandese Anna O’Donnell qui
narrata ricorda da vicino quella di Sarah Jacob, anche se l’autrice del libro (nonché coautrice della sceneggiatura) disse di
essersi ispirata al fenomeno delle ragazze a digiuno nel suo complesso piuttosto che a un singolo caso. Venendo alla
trama, Anna non mangia dal giorno del suo undicesimo compleanno, quattro mesi prima, e sostiene di vivere grazie alla
manna mandatale da Dio. Quando però l’infermiera Wright e una suora sono chiamate ad assisterla di continuo, la
bambina comincia a deperire e a nulla valgono le esortazioni alla famiglia e alle istituzioni mediche e religiose per farla
riprendere a nutrirsi. Il rifiuto del cibo da parte di Anna è legato a un terribile segreto familiare che non sarà semplice
portare a galla. Il problema psicologico di Anna sarà anche la chiave attraverso cui Wright cercherà di salvarla; Anna, a
sua volta, riuscirà a sollevare l’infermiera dai tormenti del passato (questo sì un evento che potremmo definire
miracoloso) donandole una nuova ragione di vita. Guardatelo, se ne avete l’occasione: il finale non è affatto scontato, per
quanto forse improbabile.
Più recente de “Il prodigio”, “Club zero“ di Jessica Hausner (2023) mostra un aspetto diverso e più attuale della
questione. Un’insegnante di scienze dell’alimentazione, Miss Novak, viene assunta da un prestigioso liceo privato dove
promuove l’”alimentazione consapevole”, ovvero l’assunzione di una piccola quantità di cibo accompagnato da una
particolare tecnica di respirazione ispirata allo yoga, allo scopo dichiarato di aiutare l’ambiente e di mantenersi sani
eliminando le tossine dal proprio corpo.
Il suo vero scopo è però manipolare i suoi studenti per affiliarli al “Club Zero”,
una setta segreta di persone che riescono a vivere senza mangiare; ci riuscirà con cinque di loro, approfittando della
distanza (anche fisica) dei genitori; in effetti, genitori e insegnanti si renderanno conto troppo tardi del pericolo che i
ragazzi stanno correndo.
Il film ammicca alle esagerazioni e veri e propri estremismi che caratterizzano il mondo
moderno, anche sanitario e politico (zero calorie, zero contagi, zero emissioni...), in particolare alla concezione del cibo
come qualcosa di nocivo per il corpo e l’ambiente, da cui la necessità di eliminarlo in modo graduale ma costante, se
necessario fino a privarsene del tutto; e allude a certe pratiche new age distorte che hanno la caratteristica e forse lo scopo
di far sentire i loro praticanti migliori degli altri. Non è un caso che Miss Novak pratichi anche una forma personale di
Buddhismo, la religione più imitata e falsata del mondo.
Pur non essendo un horror, il film è genuinamente disturbante e
claustrofobico, sostenuto visivamente da magnifiche inquadrature e cromatismi, e con un finale allegorico e potente.
L’alimentazione consapevole esiste davvero, anche se è lontana dalle farneticazioni di Miss Novak; per esempio è alla
base dell’Igienismo, che promuove anche il digiuno come metodo per eliminare tutti i residui e le scorie incamerati dal
corpo approfittando del risparmio energetico-digestivo ottenuto astenendosi dal cibo.
Senza entrare troppo nel dettaglio,
cosa che richiederebbe pagine e pagine di approfondimento, gli igienisti sono convinti che il digiuno permetta di espellere
anche cellule morte, pus, cisti e tumori, non perché si tratti di un mezzo di guarigione di per sé, ma perché stimola la
capacità di autoguarigione del corpo, nella convinzione che un corpo sano è in grado di ristabilirsi dalla malattia senza
intervento medico.
I primi pionieri dell’Igienismo operarono nel XIX secolo. Herbert M. Shelton (1895-1985), fondatore della ANHS
(American Natural Hygiene Society), fu l’autore di una cinquantina di testi alternativi sulla salute umana, come "Il
digiuno può salvarti la vita" (1964) e un fervente sostenitore del crudismo e del digiuno terapeutico; il digiuno a secco (il
digiuno igienistico prevede assunzione di acqua) si è invece sviluppato nella scuola russa, e trova oggi il suo più famoso
esponente in Sergej Filonov; padre del digiuno intermittente si ritiene invece sia il medico britannico Michael Mosley,
anche se la pratica è notoriamente molto più antica.
Al di là di ciò che possiate pensare in proposito, è pur vero che nella storia possiamo contare numerosi casi di persone
sopravvissute senza cibo per periodi di tempo lunghi senza riportare danni, ma traendone anche dei benefici fisici.
Famoso, ad esempio, è il caso di Ralph Flores e Helen Klaben, sopravvissuti a un incidente aereo nella Colombia
britannica e ritrovati il 25 marzo 1963, vivi, dopo 49 giorni di astinenza dal cibo. È probabile che sottovalutiamo le
possibilità del corpo umano; eppure, ironicamente, se da un lato le istanze ecologiste si fanno più pressanti, dall’altra gli
interessi delle multinazionali dell’alimentazione, dei cartelli farmaceutici e delle istituzioni governative sono così estesi
che fino al 1960 molti medici igienisti venivano regolarmente arrestati e incarcerati, mentre oggi la lotta si combatte a
colpi di fact-checking e inviti alla medicalizzazione e alla prevenzione più spinta. Se tutto va bene, la contraddizione
insita in questo sistema un giorno lo farà implodere, e noi potremo tornare a vivere in un mondo meno ossessionato dalla
salute umana e ambientale e forse proprio per questo un po’ più sano.
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