lunedì 17 giugno 2024

La Grande Abbuffata: il lato oscuro della ristorazione (Pt.2)

In “The Menu”, la final girl chiede allo chef di prepararle due cheeseburger. I cheeseburger vengono quindi presentati come un cibo semplice, tradizionale, da contrapporre a quello ricercato e moderno in cui lo chef si è specializzato. Naturalmente, l’hamburger (di cui il cheeseburger è una variante) non è l’unico cibo che si presta a essere cucinato e consumato velocemente, benché sia di certo il più famoso. 
Ciò che ci interessa capire oggi, però, è se questa percezione dell’hamburger, o cheeseburger che dir si voglia, è coerente con quanto proposto oggi dai ristoranti fast food diffusi nel mondo. Sarà forse il caso che iniziamo con qualche cenno storico. 
Sebbene l’hamburger sia ormai diventato simbolo di americanità, le sue vere origini sono ancora dibattute. Bisogna però distinguere tra l’hamburger propriamente detto, cioè la fetta di carne tra due fette di pane, e la carne macinata servita da sola, o tra le foglie di insalata. 
Si dice che la prima forma di hamburger sia nata presso gli antichi egizi, e che fosse una sorta di polpetta. Altre ipotesi ne ascrivono le origini ai romani, che in effetti realizzavano numerose ricette a base di carne macinata, come testimonia il “De re coquinaria” (ovvero “L’arte culinaria”), il più antico ricettario a noi pervenuto, opera in dieci volumi attribuita a Marco Gavio Apicio. Il secondo volume si intitola “Sarcoptes”, che significa “carne tritata”, ma è evidente che si tratta di ricette ricercate, destinate ai patrizi e non certo ai comuni cittadini. 
Altre fonti affermano invece che il primo hamburger fu inventato nel XII secolo, involontariamente, dai tartari. Di fatto, le popolazioni barbare erano nomadi e trascorrevano gran parte del tempo a cavallo, ragion per cui non avevano tempo di cucinare e si limitavano a intenerire e intiepidire la carne tenendola a lungo sotto la sella: così facendo, le fibre si rompevano e la carne poteva essere consumata cruda. 
Il consumo di carne cruda si affermò in Europa in seguito alle invasioni barbariche del XIII secolo, quando alla morte di Gengis Khan l’impero mongolo si divise e il Khanato dell’Orda d’Oro cominciò a espandere i propri confini a ovest, invadendo la Russia. Sei secoli dopo in Francia venne coniato il nome “tartare” per definire un piatto ormai entrato di diritto nella tradizione culinaria francese – un nome che ancora oggi ne ricorda le origini. 

Se invece ci riferiamo ai moderni hamburger, la loro invenzione viene attribuita al cuoco tedesco Otto Kuasw (o Otto Krause), che friggeva la salsiccia tolta dal budello nel burro, servendola accompagnata da un uovo all’occhio di bue. Poiché la carne così cucinata si poteva comodamente inserire tra due fette di pane, era ideale per un pasto veloce e in quanto tale divenne popolare soprattutto tra i portuali di Amburgo, il più importante porto tedesco dell’epoca. Quando da Amburgo la ricetta approdò oltreoceano, alla fine dell’800, gli americani coniarono il termine “Hamburger Steak”, cioè bistecca di Amburgo, per contraddistinguerla. Da allora l’hamburger divenne un cibo di strada, cucinato da venditori ambulanti che apportarono alla ricetta un’infinità di varianti. 

Negli Stati Uniti in moltissimi cercarono di accreditarsi come gli inventori del vero hamburger americano: tra questi ricordiamo Louis Lassen (1865-1935), un immigrato tedesco che si trasferì a New Haven, nel Connecticut, nel 1886. Lì lavorò come venditore ambulante fino al 1895, quando stabilì la sua carrozza mobile in un capannone, fondando l’attività di preparazione e vendita cibi chiamata Louis’ Lunch. La sua versione è stata accreditata dal Congresso degli Stati Uniti su mozione di Rosa L. DeLauro, rappresentante del Connecticut al congresso, nel 2000. 

Da allora è legalmente riconosciuto che fu Lassen, nel 1900, a vendere il primo hamburger e il primo “steak sandwich” negli Stati Uniti. La cosa non chiuse affatto il contenzioso, infatti neanche un decennio dopo, nel 2009, lo storico e scrittore Josh Ozersky pubblicò un libro dal titolo “The Hamburger. A History“ nel quale specificava che nell’hamburger, per essere definito tale, la carne deve essere inserita in un panino (bun) e non in due fette di pane tostato, il che attribuirebbe il primato del primo vero hamburger a Oscar Bilby, di Bowden, vicino a Tulsa, in Oklahoma. 
Come testimoniato dal nipote Harold, Oscar si costruì da solo una grossa griglia di ferro per la carne nel 1891 e cucinò i suoi primi hamburger proprio su quella griglia il 4 luglio di quell’anno, servendoli a parenti e amici. Quella griglia è ancora in funzione nel ristorante di famiglia, il Weber’s Superior Root Beer Stand, fondato nel 1933 a Tulsa da Oscar e suo figlio Leo. È anche possibile che più persone in luoghi diversi abbiano avuto la stessa idea contemporaneamente, e in assenza di fonti scritte è molto difficile determinare dove stia la verità. 
La moda degli alimenti trasformati sembra invece essere stata lanciata dalla catena di ristoranti White Castle di Edgar Waldo Ingram negli anni ‘20, e resa ancor più popolare da McDonald's a partire dagli anni '40, ma travalicò i confini nazionali solo dagli anni ‘80, quando il sistema di ristorazione fu massificato su scala industriale. 

Il fast food è oggi un fenomeno globale, tanto che il prezzo del Big Mac, il Big Mac Index, viene usato per confrontare il potere d'acquisto dei diversi paesi in cui il Big Mac viene venduto. Le catene di fast food affermano la propria vocazione etica, in quanto permetterebbero ai meno abbienti di nutrirsi di carne a un prezzo contenuto (l’essenza del famoso “capitalism with a conscience”, in pratica). 
Ma sarà vero che questo tipo di alimentazione è del tutto etica? A giudicare dal parere espresso da registi come Morgan Spurlock e Richard Linklater, sembrerebbe proprio di no. Che dire poi della sua salubrità? 

Documentari come “Super Size me” di Spurlock (2004) e film come “Fast Food nation” di Linklater (2006) hanno gettato un’ombra sul mondo del fast food, evidenziandone le criticità. Se Spurlock ha posto l’accento soprattutto sulla qualità del cibo dei fast food, Linklater ha voluto riflettere anche sulla realtà dei lavoratori del settore. “Super Size me” è stato interpretato dallo stesso Spurlock, e documenta un periodo di trenta giorni in cui egli si nutrì solo di cibo prodotto da McDonald's. La regola che si era autoimposto era che avrebbe dovuto ordinare il menù supersize ogni volta che gli fosse stato proposto dall’operatore alla cassa (cosa che accadeva praticamente sempre). Il risultato dell’esperimento viene riassunto alla fine del documentario dallo stesso Spurlock con queste parole: "Io per un mese intero ho mangiato da McDonald's e ho preso circa 11 chili. Il mio fegato si è ingrossato e il mio colesterolo è salito a 230. La percentuale di grasso è passata dall'11% al 18%, al di sotto comunque della media nazionale che è del 22% negli uomini e del 30% nelle donne. Il rischio di malattie cardiovascolari si è raddoppiato, aumentando quindi del doppio le probabilità di avere un infarto. Ero depresso, stanco, la maggior parte delle volte il mio umore era instabile e la mia vita sessuale era diventata inesistente. Cresceva sempre di più la necessità di quel cibo e mi venivano dei terribili mal di testa se non mangiavo. Nelle ultime analisi del sangue i miei valori sembravano aver subito un leggero miglioramento, ma i medici non erano molto ottimisti.
Tradotto, “non molto ottimisti” significa che i medici avevano paventato l’insorgere di una malattia vascolare, infiammazione e sclerosi del fegato se avesse continuato con quel tipo di alimentazione, suggerendogli di non mettere più piede in un fast food per almeno un anno. 
Nel 2017 Spurlock presenta il suo secondo documentario, “Super Size Me 2: Holy Chicken!”: convinto che la proposta dei ristoranti fast food non sia migliorata nel corso degli anni, Spurlock indaga dall’interno, ovvero aprendo la propria catena di fast food, il che lo porta a identificare le molte criticità del business della carne di pollo. 
Morgan Spulock è morto nei giorni scorsi, il 23 maggio 2024, all'età di 53 anni, per delle complicazioni legate a un tumore. Sono certo che in molti avranno pensato che la sua prematura scomparsa sia correlata a quell'esperienza a base di fast food che gli valse una candidatura all'oscar. Personalmente trovo l'ipotesi alquanto improbabile.



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