venerdì 28 ottobre 2022

Manga, libri e altri Ju-On

Non è ancora tempo di far scendere i titoli di coda su questo speciale, scrissi in chiusura del post precedente. C’è in effetti ancora un po’ di materiale di cui vale la pena parlare, fermo restando che un’analisi esaustiva di tutto ciò che ruota attorno a un franchise iniziato ormai oltre vent’anni fa è praticamente impossibile. Oggi ci discostiamo un attimo dalle versioni in celluloide di Ju-On e volgiamo lo sguardo a media diversi che, in un business plurimiliardario come quello di cui stiamo parlando, non potevano certo mancare. 
Dopo aver dedicato qualche giorno fa un articolo al videogame Wii, rivolgiamo oggi lo sguardo alle “versioni cartacee” di Ju-On. Come forse alcuni di voi ricorderanno, i libri avevano giocato una parte fondamentale nell’universo di Ring: fu anzi proprio grazie alle opere di Kōji Suzuki che tutto ebbe inizio. 
La trilogia “Ring” (Ringu, 1991), “Spiral” (Rasen, 1995) e “Loop” (Rūpu, 1998) fu infatti la fonte che Hideo Nakata utilizzò per scrivere il soggetto dei suoi film (in seguito arrivò una seconda trilogia, di cui abbiamo però parlato ampiamente qui). Qui il discorso è diametralmente inverso: tutto nasce dall’ispirazione di Shimizu e solo in seguito arrivarono dei libri. In gergo tecnico l’operazione di chiama novelization, termine che identifica un romanzo che adatta la storia di un'opera creata per un altro mezzo, come un film, un fumetto o un videogioco.

lunedì 24 ottobre 2022

Sadako Vs Kayako

Era inevitabile che prima o poi il post odierno sarebbe arrivato. Era nell’aria dalla fine di settembre del 2016, dal giorno cioè in cui tirai le fila e misi la parola fine a uno degli speciali più complessi mai apparsi qui su Obsidian Mirror
Sto parlando ovviamente dello speciale Ghost in the Well, ovvero quel lungo percorso in cui ci addentrammo in un franchise che, senza girarci troppo attorno, possiamo considerare il “gemello” di questo. I motivi per definirlo gemello sono molteplici: entrambi affondano le loro radici in leggende giapponesi risalenti al periodo Edo; entrambi hanno riscosso i primi successi sui palcoscenici Kabuki; entrambi sono stati ideati, guarda caso negli stessi anni, da registi che ne hanno fatto il proprio marchio di fabbrica; entrambi sono stati esportati e apprezzati in Occidente; entrambi raccontano di un defunto la cui anima è rimasta intrappolata nella nostra realtà da una sete di vendetta; entrambi estendono il loro rancore a macchia d’olio, colpendo indistintamente dove capita. Entrambi i franchise, inoltre, sono stati riproposti fino alla nausea e continuano ostinatamente a sopravvivere come le maledizioni che essi descrivono.
Oggi, ormai tardo 2022, ancora vengono annunciati futuri capitoli e prima o poi, inevitabilmente, ci ritroveremo di nuovo al cinema, in parte speranzosi di nuovi sussulti e in parte rassegnati, ma in qualche modo masochisticamente preparati a subire l’ennesima sconfitta.

giovedì 20 ottobre 2022

Ju-On: 3 & 4

Sono trascorsi altri cinque anni e nessuno ormai si aspetta un nuovo capitolo di Ju-On. Troppo tempo è passato, il cinema dell’orrore guarda ormai in altre direzioni e, aspetto niente affatto trascurabile, i due capitoli celebrativi del 2009 non hanno avuto da pubblico e critica quel riscontro che ci si aspettava. In Giappone qualcuno sta però trafficando nell’ombra per mantenere disperatamente in vita la saga, ed ecco che il 26 febbraio 2014, nel corso di una conferenza stampa tenutasi al Santuario Akagi a Tokyo (il cui momento clou è stata una cerimonia di purificazione per placare gli spiriti), viene annunciato “Ju-On; the beginning of the end”, conosciuto in patria anche con il titolo di “Ju-On 3”, sottolineando in tal modo un collegamento diretto con le opere originali, a discapito dei discutibili esperimenti a stelle e strisce del decennio precedente. 
Alla conferenza stampa farà seguito un teaser trailer rilasciato il 14 marzo, e il trailer cinematografico rilasciato il 9 maggio. “The beginning” debutterà sul palcoscenico internazionale il 30 luglio nell’ambito del Fantasia Film Festival di Montreal. 

domenica 16 ottobre 2022

Wii, che paura!

"Il motivo per cui Ju-On è così popolare è che fa paura. Fa paura in tutto il mondo.” (Takashige Ichise, produttore) 

Il 15 aprile 2009 si è tenuta a Tokyo una conferenza stampa per illustrare il progetto "Ju-on 2009”. Ai microfoni l’onnipresente Takashi Shimizu, i registi di "Ju-On: White Ghost" e "Ju-On: Black Ghost" e alcuni membri del cast. Assieme a loro il produttore esecutivo Takashige Ichise, un nome a cui noi appassioni di J-horror dovremmo essere per sempre riconoscenti, avendo lui a curriculum tutta la serie “Ju-On”, tutta la serie “Ring”, e capolavori e titoli sparsi come “Dark Water” (Hideo Nakata, 2002), “Infection” (Masayuki Ochiai, 2004), “Premonition” (Norio Tsuruta, 2004), “Reincarnation” (Takashi Shimizu, 2005), “Noroi the curse” (Kôji Shiraishi, 2005), “Apparition” (Hideo Nakata, 2007) e “Shutter” (Masayuki Ochiai, 2008). 
L’occasione era ovviamente quella di presentare al pubblico i due film che avrebbero dovuto celebrare in pompa magna il decennale del franchise. Le cose che i giornalisti si sentono raccontare in queste conferenze sono il più delle volte banalità: “Ho cercato di creare il mio Ju-on avendo bene in mente che stavo lavorando ad un'opera horror che rappresenta tutto il Giappone” (Ryuta Miyake, regista); “Ho avuto paura e ho pianto quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta. Ho pensato: non posso farlo" (Akina Minami, attrice); “Sono onorato di poter partecipare alla serie Ju-on. Il risultato finale è piuttosto spaventoso" (Hiroki Suzuki, attore); “Sono sempre stato un grande fan della serie, e quando mi hanno proposto di realizzare un nuovo capitolo ho deciso di trasformare un fantasma bianco in uno più personale, completamente nero” (Mari Asato, regista). 

mercoledì 12 ottobre 2022

Black Ghost, White Ghost

Black Ghost
Dopo quattro film giapponesi tutti praticamente uguali l’uno all’altro, e altri tre film americani ancora più uguali dei precedenti (se non per la deriva di questi ultimi negli abissi del trash), il franchise mostra inequivocabili i segni dell’età. In un mondo ideale, nel quale si fa solo ciò che ha un senso fare, la serie sarebbe terminata almeno cinque anni prima, subito dopo il primo remake hollywoodiano a fungere simbolicamente da pietra tombale. Ma il mondo in cui viviamo è tutt’altro che ideale, e per quanto una salma venga interrata in profondità ci sarà sempre qualcuno disposto a spellarsi le mani per riesumarla, casomai fosse rimasto un grammo di carne marciulenta su un ossicino. 
Sul finire di quel decennio, noi qui in Occidente eravamo ormai convinti di esserci lasciati definitivamente alle spalle Kayako, e assieme a lei tutto il J-horror in blocco. Solo uno sparuto manipolo di appassionati continuava a scribacchiarne sui blog, pur senza troppa convinzione, per ricordare i bei tempi andati. D’altra parte, lo stesso Shimizu si era lasciato questa storia alle spalle ormai da un bel po’, e nel frattempo aveva anche messo in archivio “Marebito” (2004), la storia di un cameraman freelance che indaga su certi spiriti misteriosi che infesterebbero le metropolitane di Tokyo, e “Reincarnation” (2005), la storia di una troupe cinematografica al lavoro in un hotel che fu un tempo teatro di una serie di omicidi. 

sabato 8 ottobre 2022

Yotsuya Kaidan

Lo stereotipo della donna fantasma vendicatrice vestita di bianco e con i capelli arruffati si è sviluppato durante il periodo Edo del Giappone (1603-1868), un periodo caratterizzato da una vivace cultura popolare. Questi revenant fecero la loro apparizione nei libri illustrati, sui palcoscenici, nei giochi di carte e nelle tradizioni orali del periodo. Sebbene i fantasmi femminili fossero esistiti in precedenza in Giappone, in particolare in letteratura e nel teatro Nō, fu durante il periodo Edo che si sviluppò il loro aspetto classico e il personaggio divenne una misteriosa icona pop premoderna. 
Il più famoso di questi fantasmi Edo è Oiwa, protagonista della commedia “Tōkaidō Yotsuya Kaidan” (Ghost Story of Yotsuya, 1825) del drammaturgo kabuki classico Namboku Tsuruya IV (1755-1839), noto per le sue opere a tema soprannaturale e i suoi personaggi macabri e grotteschi. In italiano il titolo potrebbe essere reso letteralmente come “Storia di fantasmi a Yotsuya, lungo il Tōkaidō”, dal nome del quartiere di Edo (l'antico nome dell'odierna Tokyo) in cui le vicende sono ambientate. 
Messo in scena per la prima volta, come dicevamo poc’anzi, nel luglio del 1825, Yotsuya Kaidan apparve al Teatro Nakamuraza di Edo in una sorta di double-bill (oggi lo chiameremo così) con il popolare dramma kabuki “Kanadehon Chushingura”, basato sul tema classico dei quarantasette ronin.

martedì 4 ottobre 2022

The Ghost of Oiwa

Shunkosai Hokushu, 1826
Non poteva mancare in questo speciale un tuffo nel grande spettacolo della tradizione giapponese, alla ricerca delle origini delle spettrali figure di Kayako e Toshio. Già a tempi del nostro speciale “Ghost in the well”, che dedicammo quattro anni fa alla fortunata saga cinematografica di “Ring”, avevamo tentato un esperimento simile, giungendo infine alla conclusione che Sadako potesse identificarsi in Okiku, un personaggio leggendario le cui gesta vengono narrate in Giappone sin dal XVIII secolo all’interno di uno spettacolo teatrale dal titolo Banchō Sarayashiki (The Dish Mansion at Banchō). La correlazione tra Sadako e Okiku non fu ai tempi un’impresa troppo ardua, per essere onesti, considerato che il tragico destino di Okiku, gettata viva in fondo a un pozzo, fu palesemente lo stesso della protagonista di “Ring”. Più difficile è, al contrario, trovare una figura che si adatti così perfettamente a Kayako, considerata l’abbondanza di spiriti vendicativi nel folclore orientale (non solo giapponese). Cerchiamo quindi di riguardarci i film di Shimizu con carta e penna a portata di mano, appuntando quelle che possiamo considerare le caratteristiche salienti dei suoi personaggi.
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