Sono trascorsi altri cinque anni e nessuno ormai si aspetta un nuovo capitolo di Ju-On. Troppo tempo è passato, il cinema dell’orrore guarda ormai in altre direzioni e, aspetto niente affatto trascurabile, i due capitoli celebrativi del 2009 non hanno avuto da pubblico e critica quel riscontro che ci si aspettava. In Giappone qualcuno sta però trafficando nell’ombra per mantenere disperatamente in vita la saga, ed ecco che il 26 febbraio 2014, nel corso di una conferenza stampa tenutasi al Santuario Akagi a Tokyo (il cui momento clou è stata una cerimonia di purificazione per placare gli spiriti), viene annunciato “Ju-On; the beginning of the end”, conosciuto in patria anche con il titolo di “Ju-On 3”, sottolineando in tal modo un collegamento diretto con le opere originali, a discapito dei discutibili esperimenti a stelle e strisce del decennio precedente.
Alla conferenza stampa farà seguito un teaser trailer rilasciato il 14 marzo, e il trailer cinematografico rilasciato il 9 maggio. “The beginning” debutterà sul palcoscenico internazionale il 30 luglio nell’ambito del Fantasia Film Festival di Montreal.
Ammetto che la mia prima reazione ai tempi non fu delle migliori. La possibilità che qualcosa di buono potesse mai essere aggiunto a una saga che aveva già esalato più volte l’ultimo respiro mi pareva del tutto improbabile. Lo stesso titolo (“Ju-On: l’inizio della fine”) è qualcosa che già di per sé non promette niente di buono, e non solo perché “inizio della fine” a me fa pensare al primo passo in direzione di una morte orribile, ma anche perché giudico insopportabili tutti quei film, sequel di qualcos’altro, che promettono di essere l’ultimo capitolo e poi non lo sono mai. In particolare, il titolo di questo nuovo capitolo comunica esplicitamente due cose: 1) la serie è in prossimità del traguardo e 2) a sua volta è l’inizio di qualcosa. Se la prima promessa si regge, come vedremo, sul nulla, la seconda si avvererà già l’anno successivo con “Ju-On: the final curse”, che analizzeremo in questo stesso articolo.
Ma torniamo a noi.
Ho conservato “The beginning” e “The final” su un hard disk per anni prima di trovare il giusto stimolo per una visione. In altre parole, li ho guardati solo perché ne avevo bisogno per scrivere questo speciale, altrimenti sarei andato avanti per la mia strada senza grandi rimorsi. A posteriori sono state visioni interessanti, molto lontane dalla tragedia che mi ero figurato, e ciò per il tentativo, a mio parere piuttosto ben riuscito, di inventare qualcosa di nuovo.
Iniziamo col dire che, a dispetto del titolo alternativo “Ju-On 3” qui siamo di fronte a un completo reboot della saga. Ciò però non significa che sia possibile ignorare tutto il resto e godersi “The beginning” come fosse un’opera a sé stante. Oddio, in parte è anche possibile, ma verrebbero a mancare delle basi fondamentali per apprezzare alcuni simpatici passaggi che, come vedremo, riescono a spezzare la drammaticità di alcune situazioni strappando allo spettatore una risata (ed è successo anche a me, che sono uno che non ride mai).
Come sempre prodotto da Takashige Ichise, che qui per la prima volta firma anche la sceneggiatura, “The beginning” è il primo film del franchise che non vede in alcun modo la partecipazione di Shimizu. Dietro la macchina da presa troviamo invece Masayuki Ochiai, affermato regista di classici J-horror come “Infection” (2004) e “Shutter” (2008) oltre che della trasposizione cinematografica (datata 1997) di “Parasite Eve” di Hideaki Sena, uno dei più celebri romanzi di fantascienza giapponese, a sua volta sfociato in un multimedia franchise impressionante (ne abbiamo parlato molto tempo fa anche qui sul blog).
Direttore della fotografia è il semi-esordiente Hirofumi Okada, che sceglie di darci un’atmosfera molto più luminosa, contrastando i colori più scuri dei due film precedenti. Come da tradizione, “The beginning” conserva la struttura a segmenti presentati in ordine cronologico sparso: Yui, Nanami, Kayako, Yayoi, Rina, Aoi, Naoto e Toshio.
La vera novità è che qui la trama si concentra maggiormente sul personaggio di Toshio anziché su quello di Kayako, anche se quest’ultima ha ancora un ruolo non trascurabile. Altra novità è che vengono rivelate per Toshio delle origini completamente diverse. Tecnicamente non è nemmeno il figlio dei Saeki, o per dirla in altro modo, come vedremo, entra a far parte della famiglia solo successivamente e in maniera tutt’altro che canonica.
Questo particolare è molto più rivoluzionario di quanto non possa sembrare di primo acchito, perché gli autori di “The beginning” ci stanno indirettamente già dicendo che Kayako e il marito Takeo cadranno essi stessi vittime di una maledizione già in essere e che non ha nulla a che fare con la morte violenta di Kayako.
Tokyo, 1995: dopo la denuncia di un abuso su minori avvenuto all’interno della famiglia Yamaga, l'assistente sociale e insegnante Mitsuko Yoshizaki, il fotografo Yamamoto e un agente di polizia entrano nella loro abitazione e la trovano in uno stato di disordine allucinante. Entrano nella camera da letto del secondo piano e scoprono un ragazzino, Toshio Yamaga, chiuso nell’armadio con mani e piedi legati. Mentre Yoshizaki e l'agente di polizia corrono fuori per chiedere aiuto, Toshio si alza e uccide il fotografo. Una scena che, trasportata al di fuori dell’universo Ju-On, non avrebbe assolutamente senso (un poliziotto che fugge di fronte a un bambino è difficile da digerire), ma in questo contesto l’accettiamo più che volentieri.
Anni dopo la casa che fu degli Yamaga viene messa in vendita dall'agente immobiliare Kyosuke Takeda a un prezzo stracciato a causa di strane voci su una possibile presenza di fantasmi al suo interno.
Una coppia senza figli sembra apprezzare in maniera particolare il rapporto qualità/prezzo dell’immobile e, senza preoccuparsi troppo delle chiacchere, accetta entusiasticamente di acquistarlo: stiamo parlando di Takeo e Kayako Saeki, due persone normalissime che vengono trascinate negli abissi dell’orrore nel momento esatto in cui mettono piede in casa.
Tutto questo già basterebbe per promuovere a pieni voti questo nono capitolo del franchise, anche se per uscire dalla tradizione giapponese dei Ju-On si è finito per entrare in quella americana degli Amityville (la classica coppia che compra casa a prezzo di favore per poi trovarci la sorpresa).
Che la casa fosse a quel punto già infestata ce lo conferma Aoi, la sorellina della moglie di Kyosuke che assieme alle amiche Rina, Yayoi e Nanami si era avventurata per gioco nell’edificio disabitato e si era tirata addosso l’ira di Toshio.
Non starò qui a descrivere nei particolari i destini delle quattro ragazzine, ma è interessante notare come alcune moriranno in maniera molto più “fisica”: se in passato le morti avvenivano quasi esclusivamente a causa di un terrore insopportabile, qui assistiamo, seppur parzialmente, a robe cruente tipo una mascella strappata (che è poi un sottile riferimento al film originale).
Tornando a Takeo e Kayako Saeki, ci vengono rivelate le loro difficoltà nell’avere figli. Il problema si “risolve” il giorno che lo spirito di Toshio Yamaga si introfula nel corpo di Kayako. Nove mesi più tardi viene al mondo un bel bambino a cui viene dato nome, indovina un po’, Toshio Saeki, un bambino normalissimo che cresce e, raggiunta l’età giusta, inizia ad andare a scuola.
Facciamo la conoscenza di Yui, una ragazza che ha sempre desirato fare l’insegnante e alla quale, miracolosamente, viene offerta la possibilità di fare supplenza nella classe di Toshio. Il precedente insegnante, Konishi, era svanito nel nulla dopo essersi recato a casa Saeki con l’intento di chiarire i motivi dell’assenza prolungata del ragazzino. Il solo fatto che Yui prenda possesso della cattedra di Konishi è sufficiente ad attirare su di sé quell’inarrestabile maledizione che perdura da ormai una decina di film.
Non entrerò in ulteriori dettagli, anche perché ormai li ritengo superflui, ma è necessario precisare che, nonostante la drastica alterazione dell’incipit, il film torna ben presto sui suoi corretti binari: il giorno in cui Takeo scopre di non essere il padre naturale di Toshio, la follia prende il sopravvento e il consueto familicidio ha inizio.
Avevo scritto poc’anzi che in “The Beginning” Kayako avrebbe avuto un ruolo secondario rispetto a quello della creatura da lei partorita. Ebbene, questo cambio di ruolo è suggerito anche dal modo in cui i personaggi entrano in scena: mentre nei lungometraggi di Shimizu i personaggi incontrano prima Toshio, credendolo un bambino normale, in questo nuovo capitolo è Kayako ad accogliere Konishi (e successivamente Yui) a casa sua. Altra particolarità di quest’ultimo capitolo, e qui per un cultore del franchise è facile cogliere la vena ironica, è la parte in cui si attende con trepidazione la scena madre in cui Kayako scende rantolando dalla scalinata: in questo caso il regista sorprende tutti e ci offre un’originalissima Kayako che si trascina sulle scale in salita. E vi assicuro che questa scena da sola vale tutto il film. Finale aperto che ci mostra una Yui in lacrime di fronte a ciò che resta del suo fidanzato. Non ci resta che attendere il prossimo capitolo che, come ampiamente previsto, non tarderà ad arrivare.
Non trascorre infatti nemmeno un anno dal capitolo precedente e nel mese di marzo 2015 viene annunciato “Ju-On: the Final Curse”, ovvero quello che il mondo intero auspica possa rappresentare l’epilogo di una saga ormai alle corde e che sopravvive solo grazie all’accanimento di un pugno di inarrestabili filibustieri del botteghino. Il titolo in effetti promette bene, ma esperienza insegna che di “final” in queste cose non c’è mai nulla. In fondo, volendo, basterà semplicemente cambiare l’aggettivo e ottenere capitoli ancora più finali di “final”, come ad esempio si potrebbe fare grazie a parole come “terminale”, “estremo”, “supremo”, “sommo”, “culminante”, “definitivo”, “decisivo” o “irrevocabile”.
Come fu per “The Beginning” anche per “The Final”, in conferenza stampa, si è assistito al solito siparietto della cerimonia di purificazione volta a placare gli spiriti (lungi da me trattare ironicamente questa pratica, ma diciamo che all’undicesimo film ormai avrebbe dovuto esser chiaro che nessuno spirito intendeva mettersi di traverso).
In patria il film è conosciuto anche con il titolo di “Ju-On 4”, sottolineando ancora una volta la totale indifferenza del popolo giapponese per le boiate a stelle e strisce del decennio precedente. “The Final Curse” debutterà nel mese di luglio, ancora una volta in perfetto sincrono con il Fantasia Film Festival di Montreal.
Al termine di “The Beginning” avevamo lasciato una piangente Yui alle prese con ciò che era rimasto del suo fidanzato. Avevamo pochi dubbi sul fatto che anche lei fosse rimasta vittima della maledizione, e infatti così è stato. Facciamo invece subito la conoscenza di Mai, sorella di Yui, che, preoccupata della sua scomparsa, va a cercarla, e ignara del rischio di poter diventare lei stessa il prossimo bersaglio inizia a indagare. Il passaggio da un film all’altro, come avrete certamente notato, è identico a quello già visto nel secondo Grudge americano, nel quale Karen Davis (Sarah Michelle Gellar) appare brevemente all’inizio per poi lasciare tutta la scena alla sorella Aubrey.
Il fantasma di Yui inizia ad apparire a Mai, spesso curiosamente al fianco di Toshio, guidandola nelle indagini e dandole indizi sul suo destino.
In tutto questo, un perseverante Toshio, rimasto orfano, viene adottato dalla zia paterna, che vive con la figlia adolescente Reo. Quest’ultima decide di ficcare il naso (cosa che mai si dovrebbe fare in un film di Ju-On), e assieme alle sue amiche Midori e Madoka finisce per scoprire cosa è successo agli zii.
Nel frattempo, Kyosuke Takeda, l’agente immobiliare sorprendentemente sopravvissuto al precedente episodio, decide di demolire la casa dei Saeki nella mal riposta speranza che ciò possa fermare la maledizione. A questo punto non credo ci sia la necessità di raccontare altro.
Come vedete la carne al fuoco (ovvero: le vittime predestinate) è già parecchia e comunque abbastanza per tenerci compagnia fino alla fine.
Potrei a questo punto anche rivelare il finale, visto che il trailer ufficiale, in maniera piuttosto goffa, aveva già provveduto a mostrarlo per intero. Non lo farò, ma mi limiterò a riportare le ultime parole: “la maledizione non può essere fermata, Kayako ucciderà sempre e il suo rancore non farà che crescere e rafforzarsi”. Se questo è il presupposto, temo ci aspetteranno molti altri capitoli negli anni a venire.
A conti fatti non c’è niente di veramente nuovo in questi ultimi due Ju-On. C’è stato, questo è innegabile, un tentativo di riscrivere le origini della maledizione, ma tutto il resto è rimasto pressoché invariato. Kayako passa la maggior parte del suo tempo strisciando ossessivamente avanti e indietro, Toshio continua a materializzarsi negli armadi e sotto le scrivanie, le vittime continuano a congelarsi nel momento in cui invece dovrebbero iniziare a correre.
Dopo dodici film non c’è ormai più nulla che possa sorprendere lo spettatore, anche perché il giochino è ormai chiaro: chiunque entri anche lontanamente in contatto con la maledizione (il che significa anche avere la sfiga di essere parenti o vicini di casa di chi è coinvolto in prima persona) è destinato a morire male. Non solo, ma anche i metodi che Kayako e Toshio utilizzano per portarsi via le loro vittime sono replicati all’infinito (la celebre scena della mano fra i capelli sotto la doccia o la scena di Kayako che sbuca da sotto le lenzuola, giusto per fare due esempi, sono implacabilmente presenti anche in questi ultimi capitoli).
Ma il problema semmai è un altro: con il passare del tempo (e dei capitoli) Ju-On ha quasi completamente abbandonato quella particolare atmosfera delle origini. Non saprei dire come e quando ciò possa essere successo, ma è certo che andando oggi a riguardare il primo film, o semplicemente andando a rileggere il relativo post, che ho pubblicato di recente, la differenza è evidente.
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 51 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del progetto "Ju-On, speciale rancore" che è iniziato qui lo scorso 7 settembre. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 51° candela...
La mancanza delle atmosfere delle opere iniziali non potrebbe anche essere una sensazione da spettatore per il quale non c'è più "novità" in una serie ormai decennale?
RispondiEliminaE' possibile che sia proprio come dici tu. Resta il fatto che, a differenza di questi, il primo Ju-On un giorno me lo riguarderò. Non prestissimo, ma tra un anno o due. Oggi come oggi ho la nausea.
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