Era inevitabile che prima o poi il post odierno sarebbe arrivato. Era nell’aria dalla fine di settembre del 2016, dal giorno cioè in cui tirai le fila e misi la parola fine a uno degli speciali più complessi mai apparsi qui su Obsidian Mirror.
Sto parlando ovviamente dello speciale Ghost in the Well, ovvero quel lungo percorso in cui ci addentrammo in un franchise che, senza girarci troppo attorno, possiamo considerare il “gemello” di questo. I motivi per definirlo gemello sono molteplici: entrambi affondano le loro radici in leggende giapponesi risalenti al periodo Edo; entrambi hanno riscosso i primi successi sui palcoscenici Kabuki; entrambi sono stati ideati, guarda caso negli stessi anni, da registi che ne hanno fatto il proprio marchio di fabbrica; entrambi sono stati esportati e apprezzati in Occidente; entrambi raccontano di un defunto la cui anima è rimasta intrappolata nella nostra realtà da una sete di vendetta; entrambi estendono il loro rancore a macchia d’olio, colpendo indistintamente dove capita.
Entrambi i franchise, inoltre, sono stati riproposti fino alla nausea e continuano ostinatamente a sopravvivere come le maledizioni che essi descrivono.
Oggi, ormai tardo 2022, ancora vengono annunciati futuri capitoli e prima o poi, inevitabilmente, ci ritroveremo di nuovo al cinema, in parte speranzosi di nuovi sussulti e in parte rassegnati, ma in qualche modo masochisticamente preparati a subire l’ennesima sconfitta. La verità è che brand come “Grudge” e come “Ring” creano dipendenza e, volenti o nolenti, anche i più risoluti tra noi finiscono, esattamente come le zanzare che sfidano il destino battendo le ali attorno alle plafoniere, per cedere al richiamo delle due spettrali antagoniste. Era da quel settembre di sei anni fa, come dicevo poco fa, che prevedevo di scrivere questo post. A quel tempo “Sadako vs Kayako” era per noi ancora solo un trailer; uscito in Giappone all’inizio di quella stessa estate, nessuno altrove lo aveva visto e io stesso ne scrissi giusto per dovere di completezza, cercando di indovinare cosa avrei provato il giorno in cui la pellicola mi sarebbe scivolata davanti agli occhi. A conti fatti, potrei dire che il post di oggi è quasi completamente superfluo: l’averlo visto non mi mette in una posizione di vantaggio rispetto a sei anni fa e, come dentro di me avevo ampiamente previsto, nulla è riuscito davvero a sorprendermi.
Siamo di fronte al crossover di due franchise, se ancora non lo si fosse capito. Il crossover, giusto per essere prolissi, è uno spudorato artificio che ha lo scopo di ricreare interesse attorno a due concetti che, presi singolarmente, hanno perso quasi del tutto il loro smalto. Negli Stati Uniti abbiamo vissuto le esecrabili esperienze di “Freddy vs. Jason” (2003), “Alien vs. Predator” (2004) e “Batman vs Superman” (2016), tanto per citarne alcuni, ma la lista potrebbe essere di molto più lunga. Mentre in Italia, oltre mezzo secolo fa, Umberto Lenzi era riuscito a mettere insieme un modesto “Zorro contro Maciste” (1963), nel paese del Sol Levante epiche battaglie andavano in scena con successi di pubblico ben più strepitosi, e qui citerei giusto un paio di grandi classici come “King Kong contro Godzilla” (Kingu Kongu tai Gojira, 1962) e l’anime “Mazinga Z contro Devilman” (Majingā Zetto tai Debiruman, 1973). Se la storia ci ha sempre raccontato di come i giapponesi fossero più bravi di noi nel far scontrare i loro personaggi più iconici, allora l’attesa per uno scontro demonicida tra Sadako e Kayako non poteva che essere arroventata. E tutto ciò nonostante i due franchise non fossero ormai altro che fiacche parodie di se stesse.
La macchina del marketing si rimise in moto e in tal frangente si superò: in origine furono lanciati sondaggi “esca” su Twitter nel quale si chiedeva di scegliere la propria icona horror preferita tra Kayako e Sadako (la seconda vittoriosa sulla prima, per dovere di cronaca), dopodiché, giusto per creare l’hype, furono lanciate sul mercato linee di prodotti dove le due protagoniste venivano utilizzate contemporaneamente (epiche le esclusive agende e gli zainetti a tema di Hello Kitty). La tragica verità venne infine rivelata nel corso della partita di baseball giapponese tra le squadre dei Nippon-Ham Fighters e degli Yakult Swallows, quando una sfida in carne e ossa tra due cosplayer di Kayako e Sadako fece vibrare la spina dorsale di tutti gli astanti. Kayako, assieme al fido Toshio (che indossava una maglietta con scritto "I love Kayako") giocavano in difesa, mentre Sadako all’attacco lanciava palle a una velocità di oltre 154 km orari! Questa, per inciso, fu in realtà la terza apparizione di Sadako alle partite di baseball in Giappone.
Una volta uscito nelle sale, come d’altra parte era ampiamente prevedibile, il tanto conclamato scontro tra i due vendicativi titani si è risolto purtroppo nel giro di un minuto scarso (e intendo letteralmente) a pochi ciak dalla fine. Niente di nuovo: nemmeno Batman e Superman hanno combattuto più a lungo tra loro, così come non combatterono mai davvero tra loro Hulk, Spiderman, Thor e la Cosa negli albi a fumetti più mercificati della nostra giovinezza. Il concetto di “versus”, in altre parole, è solo un ignobile trucco per portare al cinema i fan di entrambe le bandiere (che a mio parere sarebbero comunque andati a vedere il film a prescindere, combattimento o meno).
L’impostazione di Sadako vs Kayako (in Italia uscito, per inciso, con un titolo di rara stupidità) è abbastanza ordinaria: si tratta in pratica di due mini-film che procedono ignorandosi a vicenda e ripetono pedissequamente i topoi dei franchise a cui appartengono. Solo negli ultimi quindici minuti i due mini-film convergono e si realizza la tanto agognata resa dei conti tra i due ghoul giapponesi.
Yuri consulta il suo professore di antropologia Morishige (Masahiro Komoto), autore di un libro sulle leggende metropolitane, che a sua volta decide (entusiasticamente!) di guardare il video. L’allegra brigata finisce quindi di chiedere aiuto a una strana sacerdotessa shintoista, ma l’esorcismo che viene messo in scena è pura farsa: senza alcuna spiegazione l’insegnante muore, la sacerdotessa muore e con lei muoiono anche tutti i suoi accoliti. Natsumi, che a questo punto non vuole morire da sola, decide di mettere il video su Youtube e mettere nella sua stessa merda quanta più gente possibile.
Parallelamente, un’altra studentessa di nome Suzuka Takagi (Tina Tamashiro) si trasferisce con la famiglia in un quartiere alla periferia di Tokyo. La casa accanto, i cui cancelli sono sigillati da nastro adesivo giallo, suscita la sua curiosità. Viene a sapere che quella era la famigerata casa di Takeo Saeki, che dieci anni prima aveva ucciso la moglie Kayako (Rina Endo) e il figlio Toshio (Rintaro Shibamoto). Il giorno che alcuni ragazzini scompaiono dopo essere entrati nella casa per una sfida, Suzuka decide di indagare.
Già raccontato così, è evidente come il soggetto di Kōji Shiraishi (che di quest’opera ha curato anche regia e sceneggiatura) conceda sorprendentemente poche attenzioni a Kayako, mostrando più che apertamente una sua netta preferenza nei confronti della star di Ring. Un atteggiamento, quello di Shiraishi, che non può che lasciare insoddisfatta metà della platea.
A ogni modo, i racconti paralleli rimangono tali fino a quando non arriva finalmente un collegamento sotto forma di due personaggi che paiono dei cosplayer capitati sul set per caso: trattasi di Kyozo (Masanobu Ando), uno sciamano, e Tamao (Maiko Kikuchi), una ragazzina sensitiva cieca. Da qui in avanti la vicenda ha più il sapore di una parodia piuttosto che di un horror in senso stretto e la cosa, se devo essere onesto, un po’ mi ha sconcertato.
L’idea geniale a questo punto quale sarebbe? Grazie alla provvidenziale assistenza dei due esorcisti, allo scadere delle quarantotto ore le protagoniste riunite trasportano un bel televisore nella vecchia casa dei Saeki e si mettono in attesa del momento cruciale. L’idea del maldestro quartetto sarebbe quella di mettere Sadako e Kayako una di fronte all’altra in modo che possano annichilirsi a vicenda.
Avrete già capito che l’idea non è esente da criticità. All’ora fatidica la nostra Sadako, come da copione, salta fuori dal televisore e si ritrova faccia a faccia con Kayako. Le due anime ultraterrene si studiano, bisticciano giusto quei trenta secondi e, sorpresa!, anziché annullarsi vicendevolmente, uniscono le forze e danno vita a una creatura ibrida che chiameremo Sadakaya (o Kayadako, o Sadayako, se preferite). Sui malaccorti protagonisti calano quindi i titoli di coda. Non calano invece i titoli di coda su questo speciale, ancora piuttosto lontano dall’esaurire il materiale a sua disposizione.
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 52 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del progetto "Ju-On, speciale rancore" che è iniziato qui lo scorso 7 settembre. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 52° candela...
In effetti questi film "x vs. y" sono uno dei punti più bassi fra le varie tecniche di allungamento del brodo di una serie nel tentativo di sfruttare ancora una volta la buona fede della fanbase.
RispondiEliminaC'è da dire che il lancio tramite un incontro fra comparse sul campo di una match di baseball è una bassezza kitsch che in Italia (almeno quello) non abbiamo ancora raggiunto, ma forse solo perché le grandi produzioni nipponiche e americane fanno questo genere di lanci pubblicitari solo a casa propria e mai all'estero (anche se ricordo che per il lancio del telefilm Blindspot in Italia organizzarono un flashmob a Milano con una modella completamente nuda e ricoperta di tatuaggi come la protagonista della serie, peraltro non disprezzabile. Intendo la serie eh, a vedere la modella nuda non c'ero).
Nemmeno io c'ero ma da quello che ho visto googlando la modella era tutto fuorché disprezzabile. Ben vanga, visto che il concetto di cosplay, diffusissimo in Giappone (ovviamente, visto che l'hanno inventato loro), in Italia è praticamente limitato a pochi giorni in quel di Lucca.
Elimina