venerdì 10 maggio 2024

Fuori speciale: cronache del pianerottolo

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 

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Tra le perle che la cinematografia sul vicinato ci ha regalato (“neighborhood cinema”, come direbbero gli anglofoni) c’è un misconosciuto film coreano del 1995 intitolato “301, 302” di Cheol-su Park, che narra l’impossibile amicizia tra una donna che ama cucinare e un'altra che odia mangiare (301 e 302 sono i numeri dei loro rispettivi appartamenti al terzo piano di uno stabile di Seul). Spoilerarne ampiamente il finale è il prezzo da pagare per spiegare come mai mi è stato impossibile incasellare questo film in una parte precisa dello Speciale: se da un lato parla in lungo e in largo del rapporto disfunzionale con il cibo, dall’altra è innegabile che si tratti di base di un film cannibalico, e neppure di uno di quelli dove la rivelazione arriva come un colpo di scena inaspettato. Tutt’altro. La necessità di una tale conclusione s’insinua sottile sotto la pelle durante tutta la visione, una sorta di sublimazione del rapporto d’amicizia tra le due protagoniste; in tal senso, non c’è una vittima e non c’è un carnefice, ma (pare asettico definirlo così, ma così è) un semplice incontrarsi di domanda e offerta. Riparleremo di questo meccanismo nel corso dello Speciale, quando arriverà il turno di affrontare il cinema cannibalico e di accennare a tutti quei casi di cronaca nera (clamoroso il caso Meiwes-Brandes) che rendono spesso la nostra realtà più cruda (e incredibile) di quella mostrata dei film. 

Tornando a “301, 302”, il regista riesce a creare inquietudine, tensione e genuina claustrofobia con abbondanza di primi piani e con l’uso di colori molto saturi usati ovunque, nell'arredamento, nel cibo e nei vestiti dei personaggi; insomma, tutto l’armamentario di certo cinema coreano, che ama esaltare i contrasti (in questo caso quello tra la semplicità dell’immagine e i contenuti talvolta sgradevoli). La recitazione è brillante, anche se il trucco utilizzato per mostrare i numerosi cambiamenti di peso di uno dei personaggi è irrealistico e distrae. La sceneggiatura si regge sulle iperboli, come spesso accade nei film orientali; tuttavia, è molto efficace e (per fortuna) non cede alla tentazione di far evolvere il rapporto tra le due protagoniste in direzione saffica, come forse avverrebbe o sarebbe avvenuto in altri luoghi ed epoche. 

In teoria, “301, 302” è un thriller, o un horror soprannaturale, ma la verità è che del racconto poliziesco ha solo la cornice (un detective interroga la donna dell’appartamento 301 in merito alla scomparsa della sua dirimpettaia del 302, in quanto potrebbe essere stata l’ultima a vederla), mentre l’incursione nell’horror avviene fuori campo, sebbene sia anticipata da un’atmosfera densa di presagi fin dal primo minuto (come detto sopra, non si può dire che il colpo di scena finale sia inaspettato). 
A prevalere è la dimensione drammatica, che si mescola spesso e volentieri al grottesco, in una narrazione che scava nella psiche delle protagoniste Song-hee, cuoca lussuriosa e sensuale, e Yoon-hee, scrittrice freelance anoressica e sessualmente repressa; due donne la cui vita apparentemente normale nasconde segreti dolorosi e che si trovano invischiate in un rapporto morboso fatto di offerte da parte di Song-hee di cibo preparato da lei che Yoon-hee non è in grado di mangiare (quest’ultima accetta le pietanze per cortesia ma poi le getta nella spazzatura, incapace anche solo di sopportarne la vista o l’odore). 

Nessuna delle due ha evidentemente un rapporto sano con il cibo, su cui sembra abbiano operato una sorta di transfert psicologico, proiettandovi le pulsioni inespresse legate al sesso e all’amore a loro negati. Il motivo viene spiegato in lunghi flashback che ci mostrano il passato delle due donne. Song-hee è stata sposata, ma il suo appassionato matrimonio è naufragato in un traumatico divorzio; la donna ama il sesso e il cibo, ma è anche sguaiata e vanitosa, e alla lunga queste caratteristiche hanno esasperato il marito, sfinito dalla sua ossessione per la cucina e dall’insistenza con cui sua moglie pretendeva riconoscimenti per la sua bravura ai fornelli. Mentre l’uomo si era trovato un’amante, lei compensava la sua mancanza di attenzioni cucinando, mangiando e mettendo su peso. Tuttora la cucina è per lei un amplificatore del piacere: la sua quotidianità ruota attorno alla ricerca di nuove ricette e nuovi ingredienti per i suoi piatti. 
Al contrario, Yoon-hee è algida e silenziosa, legge e scrive e sembra vivere di acqua e d’aria; scopriremo che ha subito abusi sessuali da parte del patrigno, un macellaio, nell’indifferenza della madre, interessata unicamente agli affari. Inoltre, la giovane Yoon-hee rimase traumatizzata dalla morte di una bambina che aveva innocentemente invitato a giocare a nascondino per togliersela di torno, e che si era tragicamente nascosta nella cella frigorifera della macelleria. 

Da quel giorno, Yoon-hee non è più stata la stessa, dimostrando una vera e propria avversione per il sesso e i rapporti umani, come se il sesso, la violenza e il cibo si fossero interconnessi e non potessero più essere separati; vive di sottrazione, rifugge il cibo come rifugge i rapporti umani, lo rifiuta per annichilire se stessa, farsi piccola, invisibile, impalpabile, desiderio che si avvera nella sua nuova dimensione di fantasma, l’unica in cui, perdendo Yoon-hee la corporeità, il suo legame di amicizia con Song-hee può davvero avverarsi. 
Non è forse un caso che Song-hee avesse desiderato far ingrassare la sua vicina di casa e sia finita invece per dimagrire e tagliarsi i capelli, assomigliando proprio a colei che ha accolto e assimilato dentro di sé... 

301/302” non è solo un film deliziosamente avvincente, ma esamina anche indirettamente la natura elementare del cibo, il suo simbolismo e il profondo effetto che esso ha sulla psicologia femminile. Senza un accenno di autoindulgenza, il film solleva e risponde alle difficili domande sulla complessa questione della donna contro il cibo, del rapporto tra cibo e sesso, e sulla possibilità che un trauma o una frustrazione sessuale portino a disturbi alimentari o a comportamenti ossessivi. 
Nulla di così originale, direte voi, a ragione, ma è la speciale caratterizzazione di questi due bizzarri ma al tempo stesso credibili personaggi femminili a rendere “301/302” una visione decisamente consigliata, se non altro per il piacere perverso di vederle tormentarsi a vicenda. 
Una sola raccomandazione: anche se di primo acchito la vista del cibo gourmet potrebbe indurre alcuni spettatori a considerare il cibo come il piacere più importante della vita, pensateci due volte prima di guardare “301/302” subito dopo mangiato. “301/302” è pieno di immagini anche piuttosto disgustose della preparazione del cibo e del suo consumo, e pur non essendo affatto questo un film moralista, nel vederlo la maggior parte degli spettatori potrebbe essere portata a cambiare la propria prospettiva generale sull’alimentazione.



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