Avrete senz’altro sentito parlare di fame d’amore. È un disturbo noto in psicologia e, a quanto pare,
abbastanza diffuso, poiché è all’origine di una serie di disordini e dipendenze alimentari. Trasformare il
proprio corpo attraverso l’assunzione del cibo può essere una maniera inconscia per sottrarsi allo sguardo
altrui (dimagrire per svanire, letteralmente) o per richiamare l’attenzione su di sé (ingrassare per affermare
la propria esistenza). Abusare di cibo spazzatura o alcol può allo stesso modo divenire un surrogato di
relazioni autentiche che nella propria vita sono carenti. Il grado di felicità e soddisfazione personale e il
senso di appagamento nelle proprie relazioni familiari, amorose e sociali determinano spesso la capacità
di ognuno di avere un atteggiamento sano ed equilibrato a tavola. Il cinema non poteva certo sottrarsi al
richiamo di un tema così sentito e attuale, benché troppo complesso per necessitare di semplificazioni: e le
opere che riescono ad affrontarlo in modo non banale, per fortuna, non sono poche.
Per esempio, il rapporto psicologico con il cibo è il tema di “301, 302”, film coreano diretto da Cheol-su
Park nel 1995. Una morbosa prova di forza contrappone la scrittrice anoressica Yoon-hee e la vicina di
casa Song-hee, con la prima che non riesce a mangiare e la seconda che vorrebbe imporle il cibo da lei
cucinato assieme alla propria amicizia, a costo di costringerla fisicamente; solo dopo che entrambe si
saranno messe a nudo, raccontando l’una all’altra la propria storia, questo rapporto evolverà e un gesto
tragico ma ineluttabile farà sì che le esigenze dell’una trovino soddisfazione in quelle dell’altra, ma ne
parleremo più nel dettaglio in un articolo dedicato, a costo di fare spoiler.
Questo tema è affrontato anche
nel lungometraggio italiano “Primo amore” (2004), ma nel senso opposto: laddove in “301, 302” si tenta
di somministrare il cibo a forza, nel film di Matteo Garrone lo si nega intenzionalmente, mostrandoci i
meandri più reconditi di due psiche disturbate. Non solo la vittima è malata: se il cibo è prima di tutto un
legame con il passato e la storia personale di ognuno, negare il cibo di proposito, a se stessi o ad altri,
deve avere un significato profondo. Nel caso in questione, si tratta prima di tutto di un tentativo di
esercitare una forma totale e devastante di controllo. Tutte le relazioni umane, perfino quelle
apparentemente più sane, sono in fondo basate su uno scontro di volontà che si misurano e ora si
affermano, ora soccombono. Genitori e figli, mariti e mogli, fratelli e sorelle, amici, conoscenti, colleghi
di lavoro: tutti navighiamo in un perenne ignoto nel quale, con la vicinanza e la distanza dagli altri,
cerchiamo di affermarci, delineando noi stessi.
Nessuno ha mai saputo dare una definizione di controllo migliore di questa: "Chi controlla il passato
controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato". Certo, quella di George Orwell è la descrizione
di una realtà distopica in cui il controllo avviene a livello sociale e globale, ma tolta dal contesto originale
penso si presti bene anche a descrivere nelle sue linee generali un rapporto personale manipolato da una
parte a sfavore di un’altra, ma soprattutto in favore di se stessa. Credo che ognuno di noi, ad esempio,
conosca coppie in cui il marito decide quali debbano essere l’abbigliamento o le frequentazioni della
moglie (l’inverso è molto più infrequente, anche se le donne oggi sembrano ansiose di appropriarsi di
tutte le peggiori abitudini maschili).
Qui, in questo contesto, parliamo di cibo concesso o negato per
esercitare il dominio su un’altra persona, ma nel caso del cibo giocano un ruolo ancora più centrale le
emozioni, per tutte le implicazioni psicologiche che abbiamo già espresso in precedenza. Una
sopraffazione come quella che ci apprestiamo a descrivere non è evidente a chi la sta subendo, ma è
lampante per chi osservi questa dinamica dall’esterno, neppure quando è patologica come in “Primo
amore”, film tremendo e angosciante ma neppur lontanamente quanto la storia vera da cui trasse
ispirazione: quella di Marco Mariolini, antiquario di Brescia e “anoressofilo”, come lui stesso si
definisce nel suo libro autobiografico del 1997 “Il cacciatore di anoressiche”.
Nel libro, Mariolini si
definisce “un potenziale serial killer” e racconta della sua ossessione per le donne scheletriche, le uniche
per cui sia mai riuscito a provare del desiderio sessuale, e di come abbia costretto tutte le donne della sua
vita a dimagrire drasticamente tramite diete estreme che sfociavano in digiuni prolungati (a partire da
Lucia, sua moglie, che dopo aver ossessionato per anni perché raggiungesse il peso ideale (per lui) di 33
chili, aveva lasciato per dedicarsi alla ricerca di nuove prede).
La sua ultima compagna all’epoca è
Monica, ribattezzata per l’occasione Barbara. Monica viene affamata e spesso colpita con pugni allo
stomaco, di modo che vomiti il poco cibo ingerito, ma un giorno, dopo l’ennesima prevaricazione, lo
aggredisce mandandolo in ospedale, poi si autodenuncia alla polizia e finisce agli arresti domiciliari.
Allontanatasi da Marco, la donna ha però modo di riflettere e infine sporge a sua volta querela contro di
lui per maltrattamenti. Così si conclude il libro, ma alla sua presentazione sono in molti a non prendere sul
serio quanto narrato da Mariolini, pensando che alla base ci sia una strategia di marketing per generare
interesse nel libro. Qualche volta, invece, la realtà supera la fantasia. Un anno dopo Monica rifiuta per
l’ennesima volta di tornare con Marco e questo le è fatale: Marco la colpisce con 22 coltellate e la uccide.
Neppure dopo l’omicidio sarà mai dichiarato infermo di mente: gli daranno 30 anni di galera.
Nella finzione cinematografica Mario si chiama Vittorio e Monica diventa Sonia, ma la storia procede
parallela alla realtà nel mostrare la manipolazione, gli abusi, la degradazione, gli insulti e le umiliazioni
continue, in altre parole la schiavitù subita dalla donna, fino al finale che Garrone riscrive per donare una
nuova possibilità a Sonia. La principale differenza sta nel fatto che mentre la povera Monica era solo la
vittima di una relazione disfunzionale, il suo alter ego filmico è una vera anoressica, una persona alla
perenne ricerca di un’amore che si sente inadeguata a ricevere, sentendosi costantemente “soppesata”,
senza valore, mentre Vittorio è descritto come una persona mentalmente disturbata, in cura con scarso
successo presso un centro di salute mentale, dove si cerca di tenere a bada il suo disturbo con delle pillole.
Vittorio, che mira all’essenziale, spogliando persino i gioielli che crea di qualunque orpello, rendendoli
invendibili, Vittorio che si appropria delle cose e delle persone togliendo, sottraendo, tenta di succhiar
loro via la bellezza e la vita. Forse così facendo riafferma se stesso, sublima in desiderio di dominio la
carenza di autostima, come Sonia, e come già Marco nella realtà, ma non è dato saperlo. Trovare una
radice psicologica a questo orrore, anche se solo nella finzione, è in un certo qual modo rassicurante: ci dà
l’illusione di essere al sicuro, una volta che il mostro è morto o dietro le sbarre, come se il germe di un
mostro non si potesse nascondere anche nelle persone più insospettabili.
Già solo l'esposizione sintetica delle trame è estremamente disturbing, non credo che riuscirei a vedere questi due film.
RispondiEliminaMi sono messo a guardare il film di Garrone senza sapere esattamente cosa stessi per guardare. Il titolo non mi suggeriva niente e la trama, beh, ero troppo pigro per leggerla. Invece mi sono trovato di fronte a qualcosa di sorprendente. Disturbante? Lo è la realtà.
EliminaRicordo che quando uscii dalla sala ero fortemente disturbato, come se lo stomaco mi si fosse rappreso. Ma con una curiosità incredibile per Vitaliano Trevisan che interpretava l'orafo protagonista del film. Negli anni successivi ho letto tutti i suoi libri, per me davvero notevoli.
RispondiEliminaNon ho mai letto nulla di suo ma è una lacuna che di sicuro mi piacerebbe colmare.
EliminaTerrificante questa storia, creduta marketing e invece drammaticamente vera: ignoravo tutto, sia i libri, sia il film che la storia di cronaca, mi stai aprendo un universo oscuro in cui sto finendo con tutte le scarpe! :-P
RispondiElimina...e il peggio deve ancora venire.
EliminaUna storia drammaticamente vera che a suo tempo avevo approfondito. Mariolini era stato intervistato dalla Leosini, interviste che andavano in onda su Rai3 in tarda serata. Lui aveva mezza faccia rasata e mezza barbuta, ci marciava parecchio sulle sue stranezze, chiamiamole così
EliminaGrazie della testimonianza: io ho scoperto la storia solo qualche anno dopo e mi sono ripromesso di cercare di recuperare il suo libro, prima o poi, ma non sapevo di quest'intervista. Certamente Mariolini voleva dare l'immagine di quello che non è molto in sé, anche se la giustizia per fortuna ha deciso il contrario.
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