venerdì 17 maggio 2024

Fuori speciale: fino a che punto ti spingeresti per sembrare giovane?

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 

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Nel corso dello speciale che viaggia parallelo a questi brevi intermezzi, abbiamo avuto e avremo modo di entrare nel fenomeno che vede il corpo come oggetto di un’ossessione. Secondo la definizione comune, per ossessione si intende quel fenomeno patologico che si manifesta con la presenza, persistente o periodica, di una rappresentazione mentale, un impulso, un affetto, che la volontà non riesce a eliminare, e che risulta accompagnata da un sentimento sgradevole di ansia paragonabile a quello di una minaccia incombente. In pratica è un fenomeno psicologico del tutto incoerente con la ragione o la logica. L’ossessione per il cibo è certamente tra i fenomeni più comuni, ma, come abbiamo già visto, lo è anche il suo esatto opposto, ovvero l’ossessione per la dieta, che in modo del tutto naturale è spesso associata all’altra grande ossessione della modernità, quella per la bellezza. Ma esiste un punto di contatto tra cibo e bellezza, oppure una cosa esclude l’altra? Sarà proprio questo l’argomento del film che ho scelto oggi per voi: per restare bella e giovane, una donna si abbandona al gusto malato e disgustoso di un menù ripugnante. Ma andiamo con ordine. 

Le cronache di tutti i giorni ci confermano che le persone sono capaci delle cose più assurde per arrivare a ottenere qualcosa per loro importante. Basti pensare a come molti arrivino a prostituirsi, metaforicamente parlando, per ottenere qualche piccolo vantaggio sul posto di lavoro, o a come molti altri non esitino a buttare nel cesso la dignità personale, addirittura rinunciando a elaborare opinioni proprie, per uniformarsi a ciò che è ritenuto socialmente accettabile. Sono tutte forme di ossessione, se ci pensate bene, il più delle volte ingiustificabili. Da che mondo è mondo, tuttavia, l’umanità è sempre stata a caccia della cosiddetta “perfezione”, chiamalo se vuoi Santo Graal, chiamalo se vuoi Paradiso, da raggiungere possibilmente attraverso la strada più comoda e breve. 
Uno dei casi storici più noti è stato quello che nel XVII secolo vide protagonista la contessa ungherese Erzsébet Báthory, la cui vicenda sfuma nella leggenda (si narra che la nobildonna finì con il convincersi che fare abluzioni nel sangue di giovani vergini potesse garantirle eterna giovinezza), ma nella pratica la Báthory non era probabilmente altro che una squilibrata che amava torturare la servitù nei modi più creativi. 
Non molto dissimile è la storia di Li Qing, personaggio di fantasia portato al cinema dal regista hongkonghese Fruit Chan, una donna la cui ragione principale di vita è la ricerca del ringiovanimento per riconquistare l'affetto di suo marito, il signor Li Sije, un donnaiolo privo di emozioni e lui stesso un fanatico della salute. 

Dumplings” (Jiǎozi, 2004) nasce in una versione “corta” che era già stata proposta nello stesso anno all’interno del film a episodi “Three… Extreme” girato da Fruit Chan e da altri due registi di culto del cinema orientale come Park Chan-Wook e Takashi Miike. Se l’avete già visto in questo formato non vi occorre molto altro: la versione estesa, infatti, aggiunge solo qualche superfluo dettaglio della vita delle due protagoniste. 
Li Qing, come stavo dicendo, si sente invecchiare, suo marito ha una relazione con una donna più giovane e le prospettive di carriera (è un’attrice) non sembrano sorriderle. La sua vita giunge a un bivio nel momento in cui incontra una misteriosa donna che si fa chiamare Zia Mei, una specie di fattucchiera dei nostri tempi che conosce una formula segreta per la giovinezza. Si tratta della ricetta di una varietà particolare di “dumplings”, i tipici ravioli cinesi cotti al vapore che tutti noi abbiamo assaggiato almeno una volta nella vita, magari dopo averli affogati nella salsa di soia. La differenza ovviamente sta nel ripieno. 

Lo spettatore viene gradualmente informato dell'ingrediente segreto e i dettagli diventano sempre più orribilmente espliciti. State già ipotizzando un ripieno di carne umana? Magari! Vi giuro che è anche peggio di così! L’ingrediente segreto (sto per fare spoiler, fate attenzione) sono dei feti abortiti. Perché è peggio, vi starete chiedendo? Mah, forse semplicemente perché Fruit Chan ci è andato pesante quando si è trattato di rappresentare visivamente le interruzioni di gravidanza e la preparazione del ripieno, ma anche nell’usare un effetto sonoro piuttosto disturbante, lo scricchiolio emesso da Li Qing nello sgranocchiare, pardon nel masticare, i ravioli; e anch’io che di solito mi faccio scivolare tutto addosso mi sono trattenuto appena dal vomitare, al punto che l’idea di riguardare il film per scrivere questo post era sin dall’inizio fuori questione. In realtà, vado a sensazione, forse la cosa più ripugnante per me è stata, seppur nella consapevolezza della finzione cinematografica, il dover assistere a gente che si infilava in bocca quelle mostruosità. 

Ho comunque un vago ricordo di un film ben fatto, grazie soprattutto all’ottima fotografia di Christopher Doyle e a un montaggio azzeccato. Del regista posso solo dire che è uno che un paio d’anni prima aveva girato “Public Toilet”, un bizzarro viaggio tra acque reflue e bagni pubblici sporchi e ripugnanti. Una persona malata? Non saprei. Ciò che rende comunque degno “Dumplings” di una visione, al netto dell’ingrediente speciale che può piacere o non piacere, è il fatto che il regista ha voluto dipingere una società fondamentalmente malata in cui le donne (ma chiaramente non solo loro) sono in qualche modo vittime di una mentalità perversa e materialistica in cui l’apparire ha la precedenza sull’essere. 
Nonostante ciò, tuttavia (e questo è l’aspetto curioso), tutto ciò non è mai criticato o condannato, ma piuttosto visto come naturale e accettabile, anzi inevitabile. Tanto chi pagherà alla fine, nella finzione così come nella vita reale, così come pagò Faust che si dannò l’anima, sarà il singolo, sarà colui (o colei) che ha scelto la sua strada da solo e che non è tornato indietro quando avrebbe potuto ancora farlo. 

Comprendo perfettamente la posizione neutrale del regista (o di Lilian Lee, celebre per l'immortale "Addio mia concubina", che ne ha scritto la sceneggiatura). Nonostante si tratti senz'ombra di dubbio di un horror in cui tutto è portato all'estremo, il tema è da sempre molto caldo e lascia la porta aperta a una serie interminabile di questioni etiche, morali, filosofiche, biologiche e giuridiche, oltre che essere da lungo tempo fonte di dibattiti, polemiche e attivismo da una parte e dall'altra. 
Sarà un caso (e sicuramente lo è) che proprio nell'anno in cui "Dumplings" uscì nelle sale, in Italia usciva in Gazzetta Ufficiale la legge 40 sulla fecondazione assistita, che pose un divieto assoluto all’utilizzo ai fini della ricerca scientifica delle cellule staminali embrionali, a detta degli scienziati una vera "miniera d'oro" per la cura di malattie neurodegenerative e non solo. Stiamo parlando chiaramente di due cose diametralmente diverse per l'obiettivo perseguito, ma simili abbastanza da convincere regista e sceneggiatrice a mantenersi neutrali. 
In fondo, e qui mi ricollego al titolo di questo post, c'e sempre da chiedersi "fino a che punto ti spingeresti" per una cosa o per l'altra. La scienza, o cosiddetta tale, non mi pare essersi mai posta alcun limite e, giusto per fare un esempio, vale la pena ricordare lo scalpore suscitato diversi anni fa dalla vicenda di Senomyx, un’azienda americana fondata nel 1998 che attorno al 2001 brevettò degli esaltatori di sapidità che si scoprì poi essere fatti usando cellule renali di feti umani abortiti (il famoso embrione HEK293, dove HEK sta per Human Embryonic Kidney, reso immortale attraverso una modificazione genetica, già usato per la ricerca medica e farmacologica) e ampiamente utilizzati in prodotti di marchi famosi come Pepsi, Nestlé e Kraft. Una volta resa pubblica, la notizia è stata bollata come falsa, ma i brevetti depositati dall’azienda parlano chiaro: sebbene in piccole quantità, questi aromi sono stati fatti assumere a ignari consumatori per anni. Roba da far sembrare terribilmente invitanti la birra prodotta con acqua di fogna o quella fatta col lattobacillo vaginale...



8 commenti:

  1. Particolarmente brutale e disgustoso in effetti... Non so se il regista sia stato ispirato, ma esiste un piatto tipico vietnamita che riproduce lo stesso principio: uova lessate con il pulcino dentro già quasi interamente formato, che muore durante la cottura ovviamente (lo chef deve essere particolarmente bravo a calcolare i giorni precisi in modo da non fare schiudere l'uovo ma neppure lessarlo quando il pulcino è ancora troppo piccolo).
    Non lo mangerei neppure se mi pagassero.

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    1. Sì, conosco (per sentito dire , eh!) questo piatto: chi l'ha assaggiato dice che sa contemporaneamente di uovo e di pollo, una combinazione davvero molto molto strana. Ma neppure io lo mangerei, neanche sotto tortura.

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  2. Ho visto la versione breve di questo film, ho il DVD. Una storia (volutamente) rivoltante, con questa compravendita immorale, particolari piuttosto disgustosi, e la mancanza di qualsiasi giudizio etico.
    E ci sono cento film che ricalcano questo assolutismo sul patrimonio da non perdere, la giovinezza e la bellezza. La Abuela, Old, The Neon Demon e via dicendo...
    Se devo rispondere alla domanda: non farei nulla per alterare il mio aspetto.
    Ma se potessi ringiovanirmi per davvero, avere un'altra vita da vivere, anche a scapito di qualcun altro, be', è un altro discorso. Ho scritto anche un libro su questo.

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    1. Sì, il film è volutamente provocatorio, amorale e sopra le righe: per fortuna, l'horror (o una parte di esso) sa ancora fregarsene del politicamente corretto.

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  3. Inquietantissima l'idea del film ma mette ancora più i brividi il collegamento che hai fatto con la cronaca reale. Per la bellezza e in generale per l'anti-età concordo di mettere un freno, mentre per la ricerca sulle malattie neurodegenerative mi piacerebbe si avessero più strumenti, ma certo è una questione davvero scottante.

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    1. Io personalmente sono convinto che le malattie neurodegenerative, se non comparse in tarda età (e a quel punto diciamo che fanno parte di un processo di invecchiamento triste, ma naturale e inevitabile), siano sempre dovute a qualche forma di avvelenamento dell'organismo, quindi in parte imputabili allo stile di vita del singolo e in parte all'ambiente. Vorrei vivere in un mondo dove la medicina anziché buttare miliardi nella ricerca (facendo vivisezione sugli animali, tra l'altro) si preoccupi di promulgare uno stile di vita sano, per esempio un'alimentazione prevalentemente vegetale
      (non dico di non mangiar carne, ma diminuirne il consumo) e in generale il cibo biologico, disincentivando invece il cibo e le bevande ultraprocessati. Certo, bisognerebbe poi dare a tutti la possibilità di mangiare biologico, cosa che oggi possono fare in pochi... E anche così, resterebbe il problema grave dell'avvelenamento ambientale, che in una società industriale e progredita incide molto sulla salute. Si tratta di una questione poco nota alla maggior parte della gente, che la vede come una teoria del complotto. Un buon punto di partenza per comprendere il problema potrebbe essere la lettura del saggio del 2021 "La Tempesta Invisibile. Storia dell'inquinamento elettrico" di Arthur Firstenberg. L'argomento è complesso e non si può certo trattare in un commento: è ovvio che non possiamo tornare a vivere nelle caverne, sperare però che la medicina fornisca tutte le risposte e le soluzioni mi sembra però irrealistico. Mio umilissimo parere.

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  4. Non conosco questo film, ma mi sembra che faccia quello che lo horror intelligente debba fare: provocare, far pensare, tirar fuori argomenti scomodi... Inquietante, anche se a me basterebbe meno per farmi inorridire (sono vegano da molti anni e vegetadal 1999, anche i dumpling di carne umana che avevi paventato mi avrebbero stomacato abbastanza)!

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    1. Immagino, a differenza tua io la carne la mangio ma se ripenso alle varie scene in cui i ravioli vengono preparati e consumati... al rumore della masticazione... brrr... mi vengono i brividi.

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