mercoledì 25 maggio 2011

Papa Formoso

Tutto è pronto per l’inizio del processo. Se, come trama di un racconto, si fosse immaginato di celebrare un processo ad un cadavere forse l’idea sarebbe apparsa stravagante ed eccessiva persino per un romanzo gotico. Invece qui il fatto è vero; ed è storia; il cadavere è quello di una papa; il processo avviene nella basilica lateranense nel gennaio 897. Si processa il cadavere di papa Formoso.

Per l’occasione era stato allestito un apposito trono. Una sorta di tribunale d’inquisizione “ante litteram” di fronte all’altare e dietro ai lunghi banchi coperti da un tessuto rosso che suonava sinistro. La curia giudiziaria si era sistemata ai lati del papa, dall’una e dall’altra parte; conosceva ormai dettagliatamente quali erano le imputazioni a carico dell’accusato. Tutti ne parlavano da tempo. L’alto clero fatto di teologi, cardinali, vescovi, i prelati più importanti della curia e i vescovi venuti da quasi tutta l’Italia erano seduti in appositi stalli, ai lati, lungo la navata. Il banco dei giudici e quello dei prelati riquadravano tre lati dello spazio. Al quarto lato c’era il popolo in piedi e ammassato di fronte al banco dei giudici. Nelle chiese medievali le sedie e gli scanni non erano ancora entrati nelle comuni usanze; nella fila davanti, pigiati come il loglio, c’erano naturalmente i più solleciti e i più curiosi che si erano presi il posto buono.

Il cadavere di Formoso, già oggetto di venerazione era collocato in posizione seduta in mezzo al riquadro, perché citato a comparire personalmente. Era stato ricoperto con sacre vesti pulite, “sacratis vestimentis”, dopo essere stato denudato. Sul corpo nudo, inaspettatamente, s’era scoperto il cilicio ancora conficcato nelle carni. Il dorso ne portava le tracce simili ad una flagellazione. Un taglio più profondo all’emitorace sinistro tra la quinta e la sesta costola pareva procurato da una lancia. Il capo ripiegato sulla clavicola; la fronte libera dalla mitria pontificia, portava, a corona, dei segni come di rami spinosi dell’acantus orientalis. Il corpo irrigidito sullo scanno pendeva da una parte come se l’opprimesse il braccio trasversale di un’invisibile croce. Le mani vuote con le dita piegate sul palmo non lasciavano vedere segni di fori. Era impossibile distogliere lo sguardo da quel volto, da qual corpo. Formoso in quella positura sembrava una deposizione. Il lezzo del cadavere rendeva irrespirabile l’aria dolciastra, invano contrastata dalle fumigazioni dell’incenso sui bracieri.

Con queste parole Mario Bacchiega, nel suo libro “Papa Formoso – processo ad un cadavere” (che vi invito caldamente a leggere), descrive la scenografia di ciò che sarebbe passato alla storia come “il Sinodo del Cadavere”, una delle aberrazioni più orrende e forse meno note di cui si è macchiato il Vaticano in duemila anni di storia.

Se chiedete a qualcuno di citarvi uno qualunque degli “X-files” vaticani, vi sentirete certamente nominare i casi più eclatanti, quali la molto opportuna morte di papa Luciani, l’attentato a papa Wojtyla e i giochi di potere durante la guerra fredda, i vari banchieri, cambiavalute e faccendieri che hanno da sempre presidiato le stanze vaticane, la sinistra figura di Marcinkus, il crollo del Banco Ambrosiano, compresa la tragica fine del suo presidente Roberto Calvi, il caso Sindona, lo IOR, l’Opus Dei, il sequestro di Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente del Vaticano, la scomparsa di Mirella Gregori, il caso Estermann… tutti avvenimenti recentissimi di cui conserviamo memoria proprio perché li abbiamo vissuti (stiamo solo parlando degli ultimi 30 anni.. niente male, eh?). Cosa può essere successo prima di allora? L’inenarrabile. Le Crociate, il massacro dei Templari di Jacques De Molay, la Santa Inquisizione, il caso della papessa Giovanna, ritornato agli onori della cronaca grazie ad un recente film del regista tedesco Sönke Wortmann

Nessuno però ricorderà quello che fu il processo più osceno, surreale e macabro della storia. Il processo al corpo in putrefazione di un Papa morto da mesi, fatto estrarre dalla tomba dal suo successore, rivestito, sistemato, fissato con i lacci a una poltrona, accusato, interrogato e condannato.

Con la celebrazione di questo rito processuale a carico di Formoso, Stefano VI si riprometteva di cancellare il suo predecessore dalla storia; di estinguerne il ricordo: “extiguere nomen”, come si diceva nel primo Medioevo. Questa era, fin dal tempo dell’antica religione romana, un’operazione indispensabile se si voleva distruggere anche l’entità che sopravviveva al morto: una persecuzione raffinata. La sopravvivenza dopo la morte era legata, tra le altre cose, anche alla “memoria” dei vivi verso i defunti. Riuscire a sopravvivere nella memoria dei vivi a causa delle proprie azioni illustri voleva dire anche continuare a vivere dopo la morte. Cancellare i segni visibili della vita terrena, cioè la lapide, il nome inciso sui monumenti, le figure affrescate sui muri, voleva dire per i defunti distruggere il legame con la vita e precipitare nel nulla. Questa operazione distruttiva era chiama “damnatio memoriae”. Il processo a Formoso fu dunque celebrato per questo motivo. Il peccatore va maledetto e scomunicato finché non si ravveda. Non vedo come Formoso, morto, avrebbe potuto ravvedersi, ma è inutile indagare con i mezzi della nostra logica disincantata.

Ci si domanda se la presenza del cadavere durante il dibattito processuale abbia avuto un preciso significato. Non si poteva celebrare il processo “absente cadavere”? Lo scopo che il sinodo di Stefano VI si era proposto consisteva, come sappiamo, nella “damnatio memoriae”: questo proposito era più facilmente realizzabile se il morto fosse stato presente. La presenza del cadavere, lungi dal provocare partecipazione o simpatia, indiceva i presenti al rifiuto, alla ripulsa profonda verso quella che è da sempre l’immagine terrificante del disfacimento.

Affinché Formoso potesse discolparsi durante il processo e rispondere alle domande dei giudici, gli fu posto accanto un diacono perché parlasse in sua vece. Quando veniva data la parola al cadavere, il diacono assistente “a latere”, rispondeva, dicono i cronisti, in modo strano, con una voce rauca e profonda. Una voce che non gli apparteneva e assomigliava – narrano sempre le cronache – alla voce di papa Formoso. Alcuni pensavano fosse proprio la voce del papa che giungeva dall’aldilà attraverso il diacono. Vi lascio immaginare cosa penso io di questa boiata.

I verbali del processo non ci sono più. Sono stati distrutti dopo la celebrazione del concilio del cadavere e cioè nell’898. E’ vero che i cronisti hanno riportato ampi resoconti su questo processo, ma mentre ci sono note le accuse, ossia i capi di imputazione a carico di Formoso, non ci è noto il testo delle risposte da lui date ai padri sinodali. Mancando i verbali non conosciamo il nome dei testimoni che furono sentiti, le loro testimonianze e lo svolgimento del processo.

Il verdetto stabilì che il deceduto era stato indegno del pontificato. Il defunto papa fu accusato di ambizione smodata per l’ufficio di pontefice e tutti i suoi atti e le sue misure vennero annullati, e gli ordini da lui conferiti vennero dichiarati non validi.

Le vesti papali gli vennero strappate di dosso, le tre dita della mano destra, usate dal papa per le benedizioni, gli vennero tagliate e il cadavere infine fu gettato nel Tevere. Il cadavere percorse, per tre giorni, venti miglia trascinato dalla corrente del fiume, fino ad arenarsi su una sponda presso Ostia ove il cadavere fu riconosciuto da un monaco (si dice indirizzato lì da una visione del defunto pontefice) e nascosto dai suoi fedeli finché fu vivo Stefano VI. Dopo la morte di questi, il corpo nascosto venne inumato, per la seconda volta, nella basilica di San Pietro, per volere di papa Teodoro II, che lo avrebbe posto tra le tombe degli apostoli con una pomposa cerimonia e riabilitato fino quasi alla beatificazione. Ulteriori processi contro persone decedute vennero vietati.

6 commenti:

  1. Ho sempre considerato la damnatio memoriae una delle operazioni più atroci mai messe in atto, almeno come idea.
    Correvano tempi pazzi...

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    1. Chissà, forse un giorno definiranno pazzi (se non peggio) anche i tempi odierni. Le "porcherie", lo sai meglio di me, sono tipiche del genere umano.

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    2. Guarda, non ne dubito. Le porcherie di un'altra epoca sono sempre più difficili da capire rispetto alle nostre, e ogni epoca c'ha le sue!

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  2. questa storia non la sapevo. Solo in Vaticano possono succeder queste cose orrende e da pazzi.

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