lunedì 3 aprile 2017

Bangkok Dangerous

È praticamente impossibile affrontare un discorso coerente sul cinema thai senza fare alcun riferimento agli avvenimenti storici che hanno drasticamente segnato, tra le tante cose, il punto di rottura tra la old e la new vawe del cinema tailandese. Sto parlando della grave crisi economica il cui momento più delicato, per le economie del Pacifico, arrivò mercoledì 2 luglio 1997, giorno in cui le autorità di Bangkok decisero di slegare il "baht" tailandese dal dollaro americano. 
Una decisione inevitabile, dopo i ripetuti attacchi speculativi che avevano costretto la Banca centrale a sacrificare, nella difesa della moneta, più di quattro miliardi di dollari in un mese. Le ragioni della crisi finanziaria più grave nella storia del continente asiatico sono da ricercare nella crescita tumultuosa e disordinata vissuta dalla Tailandia nel decennio precedente, nel corso del quale i flussi di capitale dall'estero avevano favorito un aumento incontrollato degli investimenti, finanziati esclusivamente con l'indebitamento, e un boom indiscriminato del comparto immobiliare. È una storia che vi ricorda qualcosa? 
Quando poi, infatti, i nodi vennero al pettine, la moneta tailandese finì sotto pressione, con i risultati che sappiamo. I tentativi di difendere la moneta, prima attraverso il ricorso alle riserve di valuta, poi mediante svalutazioni sempre più incontrollate e il rialzo dei tassi di interesse, non ebbero seguito alcuno se non quello di spingere nuovi speculatori ad approfittare dell'ulteriore debolezza della divisa e a provocare il fallimento di moltissime aziende. Le conseguenze, nello scenario orientale, furono più o meno le stesse che anche noi siamo abituati a conoscere bene: levitazione dei tassi di interesse, taglio della spesa pubblica e aumento della pressione fiscale. Risultato? Calo dei consumi, disoccupazione… le solite cose. 

Cosa c’entra il cinema con tutto questo? Credo sia evidente che l’industria cinematografica, così come l’economia in generale, abbia dovuto fare i conti con la drammatica crisi che si era abbattuta sul paese. Non è infatti un caso che il 1997 sia l’anno in cui il cinema tailandese ha toccato il punto più basso della sua storia: le cronache riferiscono di una sola decina di film prodotti in tutto il paese nell’arco dei dodici mesi, una cifra ben lontana da quella alla quale l’industria locale aveva abituato appassionati e addetti ai lavori. Curiosa la coincidenza che il 1997 fosse anche l’anno in cui il cinema tailandese avrebbe voluto adeguatamente festeggiare il suo centesimo compleanno (si considera come data di nascita il 1897, anno in cui ebbero luogo in Tailandia le primissime proiezioni in pubblico). I festeggiamenti per l’anniversario non ebbero ovviamente luogo ma, paradossalmente, il 1997 sarebbe in seguito passato alla storia come l’anno della rinascita, inteso come il nuovo anno zero del cinema tailandese, morto e poi risorto dalle sue ceneri. 
La crisi produttiva rientrò infatti rapidamente, con una repentina ripresa non solo dal punto di vista meramente numerico, ma anche qualitativa, particolare questo che regalò al cinema tailandese, per la prima volta nella sua storia, una considerevole visibilità all'estero. Teniamo a mente infatti che negli ultimi anni di quel decennio il cinema asiatico aveva trovato nuova linfa attraverso la (ri)proposta di un genere horror al quale il mondo occidentale non era ancora preparato, ma al quale si sarebbe ben presto rivolto, invischiato com’era in fiacche riproposizioni di film già visti che lo avevano consegnato alla disattenzione più totale. Era il caso del durissimo Whispering Corridors (Park Ki-hyung, 1998), dell’ipnotico Cure (Kiyoshi Kurosawa, 1997) o del celeberrimo e quanto mai attuale Ringu (Hideo Nakata, 1998): tre titoli che avrebbero spostato per sempre gli equilibri dell'horror, dando il via a una tendenza che, seppure meno intensamente, esiste ancora oggi. 

Furono sostanzialmente due i registi ai quali il paese asiatico deve la propria attuale fortuna, due nomi che forse non diranno nulla a chi non si è mai avvicinato al genere, ma che hanno rappresentato la pietra angolare sulla quale è stata costruita la new wave del cinema tailandese. Il primo risponde al nome di Pen-Ek Ratanaruang, di cui qualcuno ricorderà forse il lavoro più significativo, Last Life in the Universe (2003), un dramma dai forti risvolti sociali che vanta nel cast due volti di rilievo internazionale: Tadanobu Asano, il Johnny Depp giapponese, qui nel ruolo di un libraio con manie suicide, e Takashi Miike, il poliedrico artista che ammiriamo nel ruolo a lui più congeniale, quello del gangster yakuza. 
Pen-Ek Ratanaruang riuscì in qualcosa che da tempo nessuno nemmeno osava sperare: portare il proprio film d’esordio niente di meno che al Festival di Berlino. Fun Bar Karaoke (1997) racconta la storia di un uomo che malauguratamente si innamora della donna di un boss: il killer che sarà inviato per uccidere l’incauto si innamorerà invece della giovane figlia di lui. Si tratta ovviamente di una pellicola piuttosto ingenua e nella quale l’immaturità del giovane regista è alquanto evidente, ma che misteriose congiunzioni astrali hanno elevato a leggenda. 

Se il primo è per voi un perfetto sconosciuto, il secondo potrebbe avere maggiori chance: Nonzee Nimibutr dovrebbe infatti suggerirvi, se non altro, il celeberrimo Three (2002), horror a episodi il secondo dei quali (The Wheel) reca proprio la firma di Nonzee (ove si narra di un maestro burattinaio tailandese e delle sue marionette portatrici di morte). Lo ricordate? No? Beh, pazienza. 
Nonzee Nimibutr è comunque uno dei nomi più importanti del panorama tailandese e, per rimanere in tema, fece anche lui il suo esordio nello stesso anno con Dang Bireley's and Young Gangsters (1997), violentissimo crime movie sulla carriera di un gangster, ben scritto, sapientemente diretto e brillantemente interpretato. 
Teniamo a mente il nome Nonzee Nimibutr, perché avremo modo di incontrarlo nuovamente all’interno di questo speciale parlando di uno dei suoi lavori meglio riusciti: Nang Nak (1999), primo titolo in grado di innalzare l’asticella dell’horror tailandese al livello dei complementari fenomeni asiatici noti come J-horror e K-horror. Intendiamoci, il cinema horror tailandese è lontano anni luce da quello al quale ci hanno abituati giapponesi e coreani: si tratta infatti di una variante di più ardua accessibilità, farcito com’è di elementi estranei ai suoi canoni quali la comedy, il romance o il grotesque. La qualità è inoltre spesso sotto i minimi sindacali (scelta dettata invariabilmente dai budget risicati) il che rende, unitamente ad alcune discutibili scelte stilistiche, il Thai-horror difficilmente digeribile. 


Sempre in tema di Thai-horror, che è poi il genere che in questa sede a noi interessa di più (oltre che ad essere l’unico genere in qualche modo esportabile), vi sono ovviamente diverse eccezioni, un paio delle quali sono state già oggetto di analisi su questo blog. Se ne avete voglia vi invito pertanto a consultare le recensioni di Colic (2006) di Patchanon Thammajira e di Coming Soon (2008) di Sopon Sukdapisit
Ma le più importanti eccezioni sono in sostanza tre, tra l’altro gli unici titoli che, a quanto mi risulti, abbiano goduto di una distribuzione (e quindi di un doppiaggio) anche nel nostro paese: sto parlando di Shutter (2004), del duo Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom, del film a episodi 4bia (Phobia, 2008) e di The Coffin (La bara, 2008) di Ekachai Uekrongtham

La trama di Shutter è arcinota, dal momento che da questo film è stato tratto anche un remake a stelle e strisce dal titolo Ombre dal passato (2008): nel buio della notte, il fotografo professionista Tun e la sua fidanzata Jane investono accidentalmente una sconosciuta e scappano senza soccorrerla. I giorni passano e tutto tace, almeno all’apparenza; infatti, figure femminili e lampi di luce cominciano ad apparite sulle fotografie di Tun, mentre persone loro vicine cominciano a morire. La sconosciuta, Natre, si è trasformata infatti in uno spirito vendicativo degno della migliore tradizione tailandese: un tema usato e abusato, d’accordo, ma questo nulla toglie alla potenza di un film che riesce a mantenere un ritmo serrato fino alla grande rivelazione finale, confermandosi a parere di chi scrive uno dei migliori horror degli ultimi vent’anni. 

Sotto il piccolo gioco di parole offerto dal titolo 4bia si alternano quattro diversi registi: Paween Purikitpanya, Yongyoot Thongkongtoon e i già citati Parkpoom Wongpoom e Banjong Pisanthanakun. Si tratta di quattro brevi storie, tutti riuscitissime (contrariamente a ciò che sa offrire solitamente il cinema a episodi), che raccontano vicende di fantasmi perlopiù vendicativi. Esiste, per inciso, anche una sorta di sequel (Phobia 2, 2009) girato l'anno successivo e che ripropone più o meno gli stessi temi, spalmati su cinque diversi episodi.

Le vicende narrate da The coffin affondano invece maggiormente nel folclore le proprie radici. Gli avvenimenti prendono infatti il via da un rituale buddista scaccia-sfortuna: si ritiene che attraverso l’atto di sdraiarsi in una bara sia possibile ingannare la morte e prolungare la propria vita o quella dei propri cari. Chris e Sue, che affrontano il rito in momenti diversi, si trovano però a dover affrontare anche delle spiacevoli controindicazioni scatenate dal rituale stesso. Della serie: la morte non si può eludere, ma al massimo dirottare su qualcun altro. 
L’assunto non è nuovo e deluderà coloro che cercano l’originalità a tutti i costi, ma il film non è male e, come detto, ha anche il pregio di essere uno dei pochi horror tailandesi disponibili in italiano.

Discorso a parte sarebbe necessario fare a proposito della coppia di registi horror più celebre del pianeta: i gemelli Danny e Oxide Pang. Sebbene originari di Hong Kong, i Pang Brothers devono molto all’industria cinematografica tailandese, grazie alla quale hanno fatto il loro debutto alla regia con Bangkok Dangerous (1999), altra classica crime story incentrata sulle vicende di un gangster sordomuto a Bangkok (pellicola che verrà poi rivisitata nel 2010 dalla fabbrica dei sogni americana, che manterrà lo stesso titolo, confermerà i fratelli Pang alla regia e aggiungerà alla ricetta originale il faccione inespressivo di Nicholas Cage). 
Ma i Pang Bros sono, come detto, molto più celebri per la loro vena horror, alimentata da titoli made in Hong-Kong come Ab-normal Beauty (2004), Re-cycle (2006), Forest of Death (2007), The Child’s Eye (2010), ma soprattutto dalla mitica trilogia The Eye (2002, 2004, 2005), che conoscerete senza dubbio benissimo, ma sulla quale soprassediamo in quanto fuori contesto. Questa piacevole carrellata attraverso il cinema horror tailandese non si conclude ovviamente qui. Avremo modo di analizzare più nel dettaglio i titoli che, più di quelli visti sinora, si adattano alla logica di questo speciale, e lo faremo partendo da quelli dedicati alla inquietante figura di Mae Nak, senza ombra di dubbio lo spettro più celebre di tutta la Tailandia.

14 commenti:

  1. Bella panoramica. Nonsapevo neppure che alcuni film prodotti in Thailandia avessero ispirato dei remake a Hollywood.

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    1. Hollywood ha pescato a piene mani in ogni angolo del mondo, anche il più remoto. Per quanto riciclano, più che una fabbrica (dei sogni) pare più un termovalorizzatore...

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  2. Ci credi che non ho mai sentito parlare di nessuno dei film e dei registi che menzioni? Se fossi una tua studentessa, sarei sempre dietro la lavagna! Ahahaha! :-D La trama di Ombre dal passato mi attira molto, dato che il fantasma vendicativo è il mio soggetto preferito.

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    1. Nemmeno i fratelli Pang avevi mai sentito nominare? La lavagna è tua di diritto!
      P.S.: Dimentica Ombre dal passato. Buttati sull'originale.

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  3. Un inizio coi fuochi d'artificio: davvero complimenti ^_^
    Oltre a Shutter (e remake), mi hai ricordato d'aver visto "Coffin": ricordo perfettamente la scena del rituale ma sai che non ricordo come continuava? Non ricordo neanche in che lingua l'ho visto...
    "Bangkok Dangerous" è una splendida crime story, che non aveva alcun bisogno di Cage: c'è bisogno di dire che l'originale è mille volte meglio del remake?
    "Forest of Death" mi sa che l'ho visto nell'edizione AVO Film, quando la casa nostrana - buonanima - cominciò a comprarsi qualche piccolo titolo thai.
    M'hai fatto venir voglia di tanto thai-horror, ma anche di rispolverare gli action! Ricordo che in un'intervista al compianto Panna Rittikrai il grande coreografo raccontava che negli anni Novanta dirigeva fiumi di filmetti marziali pieni di botte e sparatorie per un pubblico di basso profilo. Dopo il successo di "Ong-bak" sono stati recuperati e ne ho visto qualcuno: ok, sono prodotti rozzi ma c'è più qualità tecnica dei prodotti medi americani! Ad avercene di film di basso profilo come quelli thailandesi...

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    1. The coffin (La bara) è arrivato in Italia più o meno un lustro dopo la sua data di rilascio tailandese. Niente di più probabile tu l'abbia visto in originale, come ho fatto io secoli prima di trovare il DVD in offerta in un cestone.
      Su Nicola Gabbia stenderei un velo pietoso: quell'uomo riesce a trasformare in merda tutto quello che tocca (praticamente una pietra filosofale all'incontrario).
      Ho visto nel mio blogroll un post su "Ong-bak", infatti. Appena riesco a chiudere questo speciale vedo di recuperare tutto (inclusa quella figata su Gaston Leroux di qualche giorno fa).

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    2. "Ong-bak" è stato quello che mi ha aperto le porte al cinema thai, visto quando Luc Besson lo portò in Europa: era circa il 2003, avevo la febbre a 39 e vidi questo film in lingua thai sottotitolato in spagnolo... fu un'esperienza mistica :-D Però Tony Jaa (che all'epoca ancora non si chiamava così) combatteva in modo talmente geniale, con coreografie mai viste prima nel nostro asfittico Occidente, che mi fece da tachipirina!!
      Però è tutta roba marziale infarcita di folklore locale - la cerimonia che apre l'inizio sembra copiata dal "Dragon Lord" di Jackie Chan: facile che con Hong Kong ci siano tradizioni in comune - e quindi niente fantasmi né alcun elemento soprannaturale. "Ong-bak" 2 e 3 sono ambientati nel passato thai e vanno bene per spaccati di colore locale: per le botte di qualità tocca andare altrove :-P
      Cercando solo titoli thai marziali non ho mai approfondito l'aspetto "fantastico", quindi il tuo ciclo è oro per me ^_^
      P.S.
      Vai con calma, che ho diversi incipit del Nero in Italia che ho ripescato dopo un secolo di silenzio: emuli di Holmes e Lupin totalmente dimenticati in Italia che ripresento nell'unica versione nella nostra lingua mai apparsa, quasi un secolo fa. Ne avrai da leggere :-P

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    3. Grande notizia! Quella del recupero di vecchi testi dimenticati è un'iniziativa fantastica da parte tua! Non mancherò!

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  4. Credevo fosse il krasue lo spettro più celebre di tutta la Thailandia...

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  5. Io come Cristina: all'asciutto di horror thailandese, ma molto curiosa. :)

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    1. Sono qui apposta per soddisfare ogni curiosità! ^__^

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  6. Ecco, inizio il viaggio in vostra compagnia! *__*
    Credo di aver visto la versione Usa di Bangkok Dangerous... ci credi che non ricordo nulla? :D
    Le cose si fanno interessanti con lo spettro cui accenni in chiusura (pian piano recupero tutto!) *_*
    Gran bella partenza TOM! ^^

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    1. Quello è proprio un genere di film di cui infatti si tende a non ricordare nulla. Non sei l'unica, stai pur serena!
      Non pensavo fossi così indietro con lo speciale: adesso ti aspetta un bel lavorone, se vuoi andare in pari. Scusa se non ti aspetto... io nel frattempo devo andare avanti anche con ritmi piuttosto elevati.

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