giovedì 20 aprile 2017

Kuman Tong: Ghost Delivery

Kuman Tong (© Reuters)
Novembre 2010. In un tempio buddista di Bangkok vengono ritrovati i resti di oltre 2.000 feti umani conservati in sacchi di plastica. La polizia afferma di aver investigato a seguito di diverse lamentele relative a cattivi odori provenienti dalla camera funeraria del tempio e sospetta che i resti derivino da aborti praticati illegalmente (l’aborto in Tailandia è consentito solo se la gravidanza deriva da una violenza sessuale o se può mettere a rischio la vita della madre): un membro del personale del tempio avrebbe confessato di essere stato pagato da alcune cliniche per disfarsi dei resti. (Fonte: bbc.co.uk.) 
Sappiamo che le derive magico-esoteriche nel Buddismo, con il proliferare delle sette più diverse, non sono cosa rara, pertanto il sospetto più grande è che questi feti venissero conservati per essere trasformati in Kuman tong, gli spiriti-bambini della tradizione tailandese. Quanto avvenuto nel 2010 non sarebbe né il primo, né l’ultimo caso del genere. Parlare di Kuman tong significa immergersi completamente nell’oscuro mondo della magia nera. Un tempo, fra gli atti di magia nera più comuni nel sudest asiatico c’era la creazione di questi spiriti familiari, che venivano tramandati da una generazione all’altra perché servissero gli appartenenti alla stessa famiglia (un po’ come i famigli che, nella tradizione occidentale, sono i compagni delle streghe).
Kuman tong è il nome tailandese, ma in altri paesi esistono spiriti molto simili noti come Toyol, Pelesit e Bajang (Malesia), Tiyanak (Filippine), Cohen kroh (Cambogia). In letteratura il Kuman tong ha un posto d’onore, perché compare addirittura in una delle opere letterarie più importanti della Tailandia, il poema epico “Khun Chang Khun Phaen”, studiato nelle scuole e trasposto e rivisitato più volte in romanzi, lakorn, balletti, drammi, film, serie tv, cartoni animati e persino figurine.
Quest’opera è ispirata a un antico racconto popolare che fu messo per iscritto solo all’inizio del secolo scorso, benché sia certamente anteriore al XVIII secolo: tuttavia, non è chiaro se la “nascita” del Kuman tong si possa ricondurre a questa leggenda o se la leggenda si sia limitata a render conto di una figura del folclore che già esisteva.

Sop dek 2,002 (The Unborn Child, 2011)
Fra l’altro, proprio perché veniva tramandata solo oralmente, nessuno sa più come questa leggenda fosse in origine. Anticamente, infatti, una delle forme d’intrattenimento più apprezzate nel paese era la recitazione di epopee da parte dei cantastorie, una forma di “teatro stilizzato” con l’ausilio di bastoncini di legno noto come Sepha. È possibile che questa storia si sia via via arricchita di nuovi particolari nel lunghissimo periodo durante il quale venne messa in scena, forse assorbendo in sé parti di altre leggende o fatti realmente accaduti. Il “Khun Chang Khun Phaen” ha tre protagonisti che incarnano altrettanti archetipi: la fanciulla giovane e bella (Wanthong), l’eroe bello ma povero (Khun Phaen), il rivale ricco e brutto (Khun Chang). Wanthong sposa Phaen, ma a causa delle macchinazioni del rivale questi è costretto a lasciarla e a partire per la guerra. Wanthong resta fedele al marito, ma quando lui torna a casa con un’altra moglie cede alle lusinghe di Chang e va a vivere nel suo palazzo. In seguito Phaen si pente e fugge con Wanthong, e così via, in un turbinio di eventi che si dipana per oltre cinquant’anni fino alla sua tragica conclusione, e in cui momenti leggeri e romantici si intervallano alle guerre, alle lotte, agli inganni e alle vendette, anche condotti con l’ausilio di incantesimi e altri atti di magia – il che ci regala alcuni passaggi realmente orrorifici, uno dei quali è proprio quello in cui il nostro Kuman tong fa la sua comparsa.
In un famosissimo capitolo del poema, Phaen si prepara alla guerra interrogando degli indovini, in modo da sapere in anticipo se il tempo e la direzione prescelti per la marcia sono propizi, ma soprattutto apprendendo l’arte di formulare mantra e altre formule magiche per acquisire poteri sovrannaturali come cambiare forma, aprire catene e lucchetti (e perfino sedurre le donne, il che fa di lui un amante leggendario, una sorta di Casanova locale).
Con questi nuovi poteri, Phaen crea un suo esercito di spiriti invincibili per combattere il nemico. Il più potente fra questi è lo spirito del suo bambino mai nato, che lui stesso ha estratto dal ventre di una delle sue mogli. Un atto terrificante, più ancora di ciò che quell’atto stesso è in grado di produrre.
Fantasmi e spiriti, per quanto spaventosi possano essere, appartengono alla natura, ma i Kuman tong derivano da un atto intenzionale di creazione: anche il Luuk graawk è lo spirito di un bambino, ma in quel caso la sua morte e la successiva trasformazione in un fantasma è un processo spontaneo, mentre il Kuman tong esiste perché viene posto in essere un rituale volto a catturare l’anima del bambino.

Hian (The Unborn, 2003)
Dunque, come si crea un Kuman tong? La nascita e la morte sono i momenti culminanti dell’esistenza di un individuo, sono in pratica delle “soglie” che attirano irresistibilmente gli spiriti verso il nostro mondo: quando nascita e morte si sovrappongono, come nel caso di un bambino che muore durante o prima della nascita, è il momento più propizio per richiamarne lo spirito smarrito e confuso e intrappolarlo nella nostra dimensione. Di notte, in un cimitero, l’officiante o lo stregone dovrà rimuovere chirurgicamente il feto dal corpo della madre e arrostire il povero corpo su una fiamma finché la pelle e il grasso non siano completamente bruciati. Questo processo ha anche l’effetto di ridurre le dimensioni del bambino, che verrà poi dipinto con una sorta di lacca e ricoperto interamente di foglie o pagliuzze d’oro (Kuman tong, infatti, significa “bambino dorato”) mentre vengono pronunciate le formule magiche necessarie per realizzare l'amuleto. Se il rito viene compiuto correttamente prima dell’alba, il bambino diverrà un potente talismano che rassomiglia a una statuina di legno o argilla, ma che è allo stesso tempo vivo e morto, essere vivente e oggetto, e che porterà fortuna al suo possessore.
Ma... c’è un ma. Quello che ritorna è uno spirito vampirico, che si può controllare solo fintanto che lo si ricompensa ogni giorno con giocattoli, cibo o altri doni. Kuman tong va accudito come se fosse un vero bambino, e se necessario nutrito con ciò che desidera di più: il sangue. All'occorrenza, Kuman tong scatenerà il suo potere maligno sui nemici del suo padrone, bevendone il sangue fino all’ultima goccia. Se non lo si onora o non lo si soddisfa a dovere, sarà invece fonte di sventura.
Al giorno d’oggi la legge vieta di creare i Kuman tong, ma se ne trovano in commercio, nei negozi di articoli religiosi, esemplari fatti di legno, avorio, argilla, gesso, bronzo o altri metalli, oppure plastica o altro materiale sintetico. Il fatto che un Kuman tong non sia fatto di materiale organico non significa che non possa essere efficace: semplicemente, la statuina dovrà essere sottoposta a un breve rito perché si “attivi”, dopodiché dovrà essere accudita e viziata esattamente come se fosse un vero Kuman tong.

Sop dek 2,002 (The Unborn Child, 2011)
Impresa quasi impossibile è quella di identificare, nell’immensa filmografia tailandese, dei titoli incentrati sulla figura del Kuman tong. Altrettanto impossibile (a meno di non avere una fortuna sfacciata) recuperare delle semplici citazioni del Kuman tong all’interno di pellicole insospettabili, sul genere drammatico o commedia, in cui il Kuman tong (inteso come la statuetta) appare di contorno a vicende diverse, come un qualsiasi soprammobile può apparire in uno dei nostri film.
Molto più probabile invece è incappare in film horror dove sono protagonisti spiriti di bambini morti prematuramente, al momento del parto o ancora prima. Basta infatti una breve ricerca sul web ed ecco apparire due titoli piuttosto simili, almeno per come sono stati distribuiti all’estero. Sto parlando di “Hian” (The Unborn, 2003) di Bhandit Tongdee e di “Sop dek 2,002” (The Unborn Child, 2011) di Poj Arnon. Ma se il primo si rivela essere il solito clone di mille horror asiatici alla Ju-On, con tanto di intramontabile spettro femminile, vestito di bianco e dalla lunga chioma corvina, diverso è il caso di “Sop dek 2,002”, dove il 2.002 del titolo fa riferimento all’episodio del ritrovamento di 2.002 feti umani accennato in apertura di questo articolo.
Come abbiamo visto, qualcuno avrebbe suggerito che dietro quell’orrendo fatto di cronaca possa nascondersi una criminale attività di raccolta delle “materie prime” destinate al rito del Kuman tong. Un’ipotesi che, se confermata, darebbe molto da pensare.
Le vicende narrate in “Sop dek 2,002” (letteralmente “2.002 bambini mai nati”) ricalcano abbastanza fedelmente la cronaca di quei giorni aggiungendo una marcata aurea sovrannaturale alla vicenda. Una giovane coppia di sposi si rende conto che la propria piccola figlia ha recentemente iniziato a parlare con un amico invisibile, che lei chiama “little one”. Sin qui nulla di anormale, finché piccoli indizi sparsi qua e là non convincono i due genitori, dapprima scettici, che una presenza è effettivamente entrata in contatto con la piccola.
Sullo sfondo, una coppia di studenti alle prese con una gravidanza non pianificata che non riescono a gestire. Ci si addentra pian piano nel mondo degli aborti illegali, una pratica piuttosto diffusa in Tailandia dove, secondo il codice penale, l’interruzione di gravidanza è proibita, in quanto contraria agli insegnamenti del Buddismo.

Black Magic Woman (2004)
Anche in mancanza di dati certi, in Tailandia vengono stimati oltre 300.000 aborti illegali ogni anno, la maggior parte dei quali eseguiti da persone che si improvvisano medici e in luoghi spesso privi delle più essenziali condizioni igieniche. Nel caso non si fosse capito, stiamo parlando di tre volte e mezzo i casi registrati in Italia, nello stesso periodo, a parità di popolazione. Non stupisce affatto che ogni anno diverse migliaia di aborti si concludano in tragedia. In definitiva “Sop dek 2,002” si rivela essere un film dai forti risvolti sociali, attraverso il quale l’illegalità dell’aborto è condannata senza appello. Per chiudere il discorso senza scendere nel merito della questione abortista (tra l’altro di un’attualità preoccupante anche nel nostro paese, anche se per altri motivi), “Sop dek 2,002” tenta anche di dare una precisa forma al Kuman tong, facendo intuire la possibilità che lo spirito del “little one”, l’amico invisibile citato sopra, possa effettivamente entrare in simbiosi con una statuetta (in questo caso un semplice giocattolo antropomorfo). Un tentativo non riuscitissimo ma che, in mancanza di altro, ci accontenta.
Tutt’altra faccenda è invece un film praticamente sconosciuto dal titolo “Black Magic Woman” (2004) di Surbsak Chalongtham. In questo caso, finalmente, a comparire è proprio un Kuman tong.
E quando dico “finalmente”, intendo sottolineare le difficoltà e il lungo tempo speso per trovare qualcosa di veramente adeguato per corredare l’articolo di oggi: un film dove appare, anche se in pochi fotogrammi, un Kuman tong vero e proprio e non un semplice fantasma vendicativo. Paradossalmente ho recuperato questo film all’interno di una vecchia chiavetta USB che avevo quasi dimenticato di avere (e di cui non conosco la provenienza), ed è stato quindi un puro miracolo poterne usufruire, visto che in giro per la rete ne esiste solo una versione di qualità imbarazzante, priva di sottotitoli.
Helen, creativa di una quotata agenzia pubblicitaria, sta passando un periodo stressante a causa di un collega che le ruba l'idea vincente per un’importante campagna. Appena trasferitasi in un nuovo appartamento, si vede recapitare a casa un pacco postale contenente una statuetta Kuman tong con tanto di istruzioni per l’uso evidentemente destinata al precedente inquilino. Helen intravede nella statuetta una possibilità di rivalsa nei confronti di chi sta mettendo a dura prova la sua carriera lavorativa. In realtà, il Kuman tong ha un peso molto relativo nel proseguo della storia, in cui Helen apprende come manipolare gli eventi e le persone a suo piacimento. Peccato anche (ma forse è davvero così e non dovrei stupirmene) che il tutto venga presentato come qualcosa alla portata di chiunque disponga un computer e di un accesso a internet e, attraverso il web, si prenda la briga di trovare le formule magiche più disparate che sono, come parrebbe, letteralmente alla portata di un clic.
Il finale naturalmente insegna che la magia nera non è per tutti e che le scorciatoie nella vita richiedono un salato pedaggio. Personalmente, se ne avessi la possibilità, ci sarebbero diversi colleghi sui quali mi piacerebbe intervenire con un Kuman tong, e se un prezzo da pagare mai ci fosse, almeno potrei dire di essere riuscito a togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Quanto al giudizio globale sulla pellicola, meglio soprassedere.
Se “Sop dek 2,002”, aldilà del suo intento "moraleggiante", è un film fatto con tutti i crismi, “Black Magic Woman” lo si può apprezzare solo come curiosità folcloristica, perché la regia, la recitazione e soprattutto l'onnipresente colonna sonora da soap opera fanno venir voglia di spegnere il televisore dopo i primi quindici minuti.

Kuman Tong

8 commenti:

  1. Davvero inquietante. Ha qualche elemento in comune con la tradizione germanica del "coboldo", però in quel caso si tratta di un bambino già nato da qualche anno e viene trasformato in una "divinità".
    Questa pratica del Kuman Tong è impressionante per i suoi risvolti materiali.

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    1. A me è venuto subito in mente il dipinto Incubo di Johann Heinrich Füssli (raffigurante un coboldo, se non ho inteso male) scrivendo qualche giorno fa del Phi Am, uno spirito che grava sul petto delle sue vittime fino a soffocarle nel sonno.
      Ora che ci penso anche i miei gatti sono sempre stati soliti agire in tal modo....

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  2. Episodio inquietantissimo, e a proposito... sei sicuro che il ritrovamento fortuito di quella chiavetta sia un "miracolo" e non invece un effetto del Kuman Tong... che ora verrà a chiedere il suo compenso??? :-P (musica da soap opera in sottofondo!)

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    1. Sento già distintamente una musichetta da soap avvicinarsi, infatti. Se volevi togliermi il sonno, comunque, direi che sei sulla buona strada...

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  3. Interessante articolo! *O* Probabilmente la conosci già, ma mi hai fatto ricordare una pratica dei Tana Toraja che prevede la sepoltura dei bambini piccoli (qui si parla di morti naturali) nel tronco degli alberi, perché il loro spirito venga assorbito e continui a vivere nell'albero.

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    1. Ricordo di aver visto, anni fa, un documentario incentrato proprio su questa pratica funeraria, che avevo trovato niente affatto spaventosa e a suo modo poetica. L'area geografica è contigua ma là, sul continente, le pratiche si fanno molto poco naturali e molto più spaventose.

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  4. Che siano statuette o feti veri e propri, queste pratiche sono comunque spaventose. Vero è che, come scrivi, i momenti di nascita e morte sono i più delicati in assoluto.

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    1. La magia (nera, bianca o rossa che sia) è una pratica che spesso è praticata senza una vera consapevolezza di ciò che si sta facendo, ed è questo ciò che la rende così spaventosa.

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