lunedì 21 maggio 2018

L’inferno di una donna

Through the Looking Glass
L'inferno di una donna

Frugando bene in quella che oggi è citata come “golden age of porn” (l'età d'oro del porno) è possibile accorgersi di come nel 1976 videro la luce ben due pellicole, di qualità medio-alta, ispirate ai due famosi romanzi scritti da Lewis Carroll con protagonista la piccola Alice, intitolati rispettivamente Alice in Wonderland e Through the Looking Glass. Di queste due pellicole, una, Alice in Wonderland: An X-Rated Musical Fantasy di Bud Townsend, ripercorre abbastanza fedelmente la storia del primo dei due romanzi, mentre l'altra, Through The Looking Glass di Jonas Middleton, preleva un po' da entrambi. Sebbene forse, ancor più che nelle due opere dello scrittore irlandese, i riferimenti più diretti dei due film vadano ricercati all’interno dello stesso medium espressivo: il cinema. E qui la distanza si fa ancora più marcata, poiché mentre Townsend, con il suo musical a luci rosse, strizza chiaramente l’occhio al cartone disneyano, Middleton sembra piuttosto avere in mente l'Alice in Wonderland del 1933, diretto da Norman Mc Leod.

Vi è in ogni caso, per quel che riguarda Through the Looking Glass, il film di Middleton oggetto di questo post, una seconda influenza cinematografica che stabilisce una ulteriore separazione dal musical di Townsend, ed è certo curioso che ad anticiparcela sia nulla di meno che il titolo italiano della pellicola: L’inferno di una donna, in cui è compreso un riferimento esplicito, intenzionale o frutto del caso che sia, al film Inferno di Francesco Bertolini, Arturo Pirovano e Adolfo Padovan, kolossal ante-litteram che nell'anno della sua uscita nell’edizione definitiva, il 1911, determinò un punto di svolta nel cinema, non solo italiano ma mondiale. Come dire che l'ispirazione di Middleton si protende, nel suo percorso a ritroso, dagli anni settanta del porno agli anni trenta di Alice in Wonderland e poi fin quasi agli albori della settima arte. Due caratteristiche in comune rendono evidente in particolare l'ispirazione di Inferno: l'utilizzo della colorazione monocromatica e la scelta di mostrare "en plein air", e non come luogo chiuso, l'ambiente infernale. 

In alto a sinistra (e poi in senso orario): Attraverso lo specchio: Catharine Burgess in Through the Looking-Glass (1976); Attraverso lo specchio: Charlotte Henry in Alice in Wonderland  (1933); Catharine Burgess e Jamie Gillis in Through the Looking Glass (1976); Dante (Salvatore Papa) e Virgilio (Arturo Pirovano) in Inferno (1911)
Certo, il film di Middleton, a differenza dei due riferimenti citati, è privo di qualsiasi aspirazione al colossal cinematografico, e questo gli permette se non altro di concentrarsi sulla storia. Perché, anche se ciò ad alcuni potrà sembrare strano o perfino inaudito, è esistito un periodo (non a caso denominato “golden age”) in cui anche i film porno potevano raccontare una storia, e talvolta perfino una bella storia. Non era inoltre impossibile trovarsi ad assistere a delle contaminazioni di generi, come è appunto il caso di Through the Looking Glass. Ma anche in quest'ultimo, più ristretto ambito, il film di Middleton ci riserva comunque delle sorprese, poiché al suo interno, a differenza che in altri esperimenti analoghi, più o meno illustri o famosi, le situazioni horror non vi compaiono come meri accessori atti a creare varietà ma in ogni caso asservite ai meccanismi tipici del porno, bensì emergono, come vedremo, in tutta la loro specificità. 

La cornice in cui si inserisce la storia narrata in Through the Looking Glass è quella, ricorrente in molti film, della famiglia dell’alta società americana, la cui vita invidiabile nasconde in realtà, dietro la facciata, un intero inventario di insoddisfazioni e ipocrisie. A comporre la famiglia sono, in questo caso, marito, moglie e figlia, e dei tre è soprattutto la donna adulta, Catherine Johnston coniugata in Burgess (interpretata dall'avvenente Catharine Burgess), a interessarci all'inizio, in qualità di protagonista indiscussa del film ma anche perché, per il momento, sola detentrice del segreto indicibile che si nasconde tra le pareti di casa. Gli altri due membri della famiglia sono il marito Richard Burgess (Douglas Wood) e la loro figlia dodicenne Jennifer (Laura Nicholson, in realtà quattordicenne), a cui vanno aggiunti altri due abitanti della casa, i domestici Lisa e Abel (interpretati rispettivamente da Terry Hall e Michael Jefferson). E se sono spesso cantine o solai, cioè le zone più in ombra e meno frequentate degli edifici, a ospitare nelle storie horror i segreti indicibili, il film di Middleton in questo non fa eccezione. Prepariamoci, in ogni caso, a fare le scale in salita. 

A sinistra: la scena iniziale del film: Catherine che sogna a occhi aperti dietro una maschera di bellezza; A destra: l'irraggiungibile padre/coniglio bianco che attira Catherine/Alice nel "paese delle meraviglie"
Il film ha inizio nel locale di un coiffeur per signora, dove l'avvenente Catherine si affida alle mani del suo parrucchiere di fiducia in vista di un lungo viaggio. Nel frattempo che viaggia già a suo modo, in un sogno a occhi aperti forse provocato dallo specchio che ha di fronte, poiché, come scopriremo nel seguito del film, la donna è particolarmente propensa a farsi rapire dalla vista del riflesso della propria immagine. Il sogno la vede impegnata a rincorrere suo padre (Jamie Gillis) in un viale di giardino, senza però che riesca mai a colmare la distanza che li separa. 
E a questo punto è doverosa una nota: Through the Looking Glass e L'inferno di una donna non sono proprio la stessa cosa. E non perché siano due film diversi e distinti, ma perché l'edizione italiana compie un'operazione di censura che fa sì che colui che nell'edizione originale è il padre carnale della protagonista Catherine, nello stivale italico si trasformi nel suo... tutore. Così che le prime parole che noi udiamo nella versione originale del film, rivolte nel pensiero da Catherine al padre che le sfugge: Father! Wait me... father!, nella "traduzione" italiana diventano: Amore! Amore, aspetta... amore! E così sarà in tutto il seguito del film: ogni volta che la donna pronuncia le fatidiche parole, father o papa, da noi si corre ai ripari o con una omissione o con una traduzione alternativa. 

A evocare il paese delle meraviglie di Carroll vi è nel sogno di Catherine, oltre all’atmosfera generale, anche la chiara sovrapposizione della figura paterna da lei inseguita con il coniglio bianco che attira Alice verso l'ignoto. Poi, dopo che il padre ha fatto perdere le sue tracce, il sogno prosegue con un'altra scena carrolliana, popolata stavolta dalla versione sognata delle altre persone presenti in quel momento nel negozio di parrucchiere, comprese le clienti che tipicamente, in attesa del loro turno, malignano e spettegolano sulla bella Catherine. Con il risultato che il regista insinua nello spettatore il forte dubbio che il tutto vada letto in realtà in chiave psicologica, cioè come un delirio allucinatorio della protagonista. 

Comunque stiano le cose, quando poi l’autista riconduce Catherine, fresca di acconciatura, alla sua sontuosa dimora, Middleton, che ha fin qui diretto con mano sicura, dimostra perfino un certo virtuosismo con la macchina da presa, riuscendo a trasformare una scena di assoluta normalità in qualcosa di decisamente spiazzante per lo spettatore. La scena della bambina che corre con il suo cane all'interno del vasto giardino di casa Burgess assume infatti, inquadrata com'è dalla prospettiva di Catherine, dei connotati incerti al punto da farci chiedere se la donna non sia per caso scivolata in un nuovo sogno a occhi aperti. È forse una Catherine di tanti anni prima la figura in corsa nella cornice del finestrino? 

Basta però soltanto che la donna un momento dopo scenda dall'auto, e si metta a parlare con la bambina, perché tutto sia bruscamente ricondotto alla sua dimensione di normalità quotidiana: non si tratta di altri che della figlia di Catherine, Jennifer. Resta comunque ugualmente difficile sottrarsi all’idea che il regista abbia voluto offrirci, di proposito, l'indizio di qualcosa, una nuova tessera del puzzle che siamo chiamati a ricomporre. È poi in occasione della cena di quella sera che, tramite i coniugi Manchester (i pornoattori Jeffrey Hurst e Ultramax) che vi figurano come ospiti, ci vengono fornite le tessere successive. Quando infatti la signora Manchester, a un certo punto, si lamenta con Catherine della circostanza che il giorno prima aveva cercato di contattarla al telefono senza riuscirvi, ecco che Richard Burgess ci rivela che la moglie ha la particolare abitudine di scomparire per ore. Ma lo fa con il tono poco partecipato di chi è ormai venuto a patti con le stranezze della donna, che d'altronde non è più lei dal momento della morte del padre, avvenuta sei anni prima, così che anche la passione, nel loro rapporto di coppia, ha da un po' ceduto il passo a una rassegnata routine e finanche alla noia. Scopriamo inoltre, sempre in occasione della cena, che quella dove la coppia vive è in realtà la magione di famiglia dei Johnston, cioè la casa dove Catherine è nata e ha trascorso tutta la sua vita. E se questo rende comprensibile il suo attaccamento all'illustre dimora, come anche agli oggetti in essa contenuti, l'evidente morbosità del suo sentimento rende subito difficile, a noi spettatori, credere che Catherine possa davvero partire per il viaggio in Europa con la sua famiglia previsto di lì a due giorni. 

Ma è in particolare una zona della magione a esercitare su Catherine un'attrazione irresistibile: il solaio adibito a mansarda. Che scopriamo così essere il suo misterioso luogo di ritiro, quello dove lei a detta del marito scompare per ore. A motivo soprattutto di un grande specchio che vi è collocato all’interno in compagnia di un gran numero di altri oggetti, tra cui un orologio a pendolo, su cui l'occhio della cinepresa ama tornare e indugiare a lungo, e una serie di candele nere. Una volta, al tempo della sua infanzia e adolescenza, quello stesso grande specchio era appeso nella sua stanza e lei amava contemplarlo a lungo. Ed è appunto per immergersi in questa stessa attività del suo lontano passato che Catherine, presumibilmente dal momento della morte del padre, si ritira nel solaio-mansarda. Ma non basta solo guardare. Ogni volta, la donna agisce secondo un preciso rituale, allo scopo di attivare il potere dello specchio, che scopriamo essere in realtà una porta. E una porta a due vie: perché se Catherine guarda lo specchio, anche lo specchio, o meglio qualcuno o qualcosa che vi dimora, guarda Catherine. Nella prima delle "sedute" mostrate nel film, Catherine inizia, secondo il rituale, a dialogare con il proprio riflesso, poi si pettina e si trucca, si denuda e si accarezza, decanta la propria bellezza, si masturba; il tutto in un lento crescendo condotto fino al parossismo, nel corso del quale alla sua voce e alla sua immagine si sovrappongono e si sostituiscono, con gradualità, la voce e l'immagine dell’entità che scopriamo abitare il mondo al di là dello specchio: un demone infernale che, nelle sembianze di suo padre (il che significa che è sempre interpretato dal bravo Jamie Gillis), allunga al di qua della superficie dello specchio le sue braccia e le sue mani, a sostituire nella loro azione quelle di lei. 

La seconda seduta avviene invece al contrario. È Catherine, stavolta, ad attraversare lo specchio e gettarsi nelle braccia del demone, che si veste però in questo caso delle sembianze di una ex amica d’infanzia di Catherine di nome Karen (la pornostar Nancy Dare). Appagato finalmente con lei il suo desiderio così a lungo rimandato, Catherine cerca comunque di trattenere l'amica ancora con sé, così come aveva cercato di trattenere il padre, ma l’altra le si sottrae a sua volta, e lo fa con le stesse parole: “È tardi… è tardi” del coniglio bianco della storia di Alice. Non sorprende quindi che Catherine si ritrovi nuovamente proiettata, l’istante successivo, nel suo personale paese delle meraviglie, dove assiste stavolta alle varie fasi di un banchetto all’aperto, il cui piatto forte è rappresentato da una donna nuda dal volto mascherato servita al centro del tavolo imbandito. Nulla però di cannibalesco, giacché l’interesse mostrato dagli invitati nei confronti della portata è di natura puramente sessuale. Il party termina con Catherine che scopre che il volto dietro la maschera è quello a lei più familiare di tutti: il suo. 

È comunque probabile, almeno a giudicare dai vari elementi che la caratterizzano, che tale sequenza formasse in origine un tutt'uno con il sogno a occhi aperti vissuto da Catherine dal suo coiffeur e che la divisione in due parti e la ricollocazione della seconda più avanti nel film possa esser stata una scelta effettuata a posteriori. A mio parere neanche troppo felice, per l’inevitabile effetto di frammentazione e duplicazione che ne risulta, ma probabilmente motivata dall'esigenza del regista di procedere per gradi e non dare troppo in pasto allo spettatore in un'unica volta fin dall'inizio. 
Così come risulta ormai chiaro, a questo punto del film, che caratteristica precipua delle visioni di Catherine è quella di soddisfarla sessualmente, in particolare per quel che riguarda i suoi desideri di trasgressione e deviazione da ciò che è socialmente accettabile in materia. Mentre restano ancora da capire alcune altre cose; se, per esempio, nel passato della donna l'incesto con il padre sia un dato reale o qualcosa da lei solo desiderato, oppure se la sua apparente vocazione alla perversione sessuale sia in lei connaturata o, viceversa, qualcosa di indotto dall’esterno.

Ma qualunque sia la risposta, da ora in avanti - e siamo circa a metà del film - l'interpretazione in chiave psicologica, cioè allucinatoria, degli eventi a cui Catherine va incontro perde sempre più terreno. Il paese delle meraviglie, che conserva un'aura fiabesca pur anche in una tale versione perversa, scompare una volta per tutte dalla scena, e la storia si arricchisce di elementi sempre più propriamente orrorifici. Quel che scopriamo di nuovo, per cominciare, è che l'esperienza di Catherine non è isolata come si poteva pensare, bensì parte di un oscuro patto demoniaco che da secoli percorre come linfa contaminata, di madre in figlia, il ramo femminile della famiglia. In altre parole, quel che le sta accadendo è già accaduto in passato a sua madre e a sua nonna, e accadrà anche a sua figlia Jennifer, se lei non riuscirà ad evitarlo. Per il momento ha severamente proibito alla figlia di accedere alla mansarda, e quando la ragazzina, spinta dalle circostanze, finisce per salirvi comunque e per trascorrervi più del tempo del necessario, si mostra fortemente contrariata e le rinnova il suo divieto.
Quale sia la circostanza che spinge Jennifer a salire in mansarda è presto detta. Catherine vorrebbe portare con sé, in Europa, un set d'argento formato di uno specchio e una spazzola e chiede a Lisa, la domestica, di salire su a prenderglielo. Ma Jennifer si offre di farlo lei, e senza che la madre, impegnata nella prova di un abito, abbia tempo e modo di fermarla, si precipita verso il luogo proibito, dove poi, una volta dentro, non resiste al fascino dello specchio. 

Come questo set d'argento sia finito nelle mani di Catherine, Middleton ce lo spiega ricorrendo all'ennesima "allucinazione", ma nella forma di un flashback stavolta in cui Catherine adulta si ritrova proiettata indietro nella sua stanza, quando ancora vi era appeso lo specchio. E qui assiste disarmata alle varie fasi dell'iniziazione sessuale di una Catherine adolescente da parte del demone nelle sembianze del padre. Ma prima riceve anche, dalle mani del presunto padre, il set d'argento con lo specchio a mano e la spazzola destinato a passare, nella sua famiglia, di mano femminile in mano femminile attraverso le generazioni. È questo passaggio, a quanto pare, a provocare, o a sancire, l'inclusione della nuova proprietaria nel patto demoniaco. Dopodiché il demone, al termine del flashback ma sempre all'interno della visione, rivolge alla Catherine del presente un pressante invito a compiere il passo definitivo, quello del non ritorno. Solo allora la donna comprende di non trovarsi al cospetto del suo vero padre. 

Catherine è senza dubbio turbata dal mondo dietro lo specchio, perché ha ormai compreso che quel che vi incontra altro non è che una rappresentazione della sua lordura interiore, ma ne è anche affascinata e non può fare a meno di tornarvi ogni volta possibile. Tituba però davanti all'offerta del demone di seguirlo una volta per tutte in quel suo aldilà di cui lui non manca di illustrarle i vantaggi. Non solo sarà affrancata per sempre dalla compagnia di un marito insopportabile e di gente noiosa, senza né classe né stile, ma abiterà anche un luogo in cui, le dice il demone, ...la tua bellezza potrà splendere in eterno... dove attraverso i tuoi sensi, attraverso la tua stupenda carne, potrai saziarti di piaceri... 
Catherine rifiuta con decisione, ma il demone non ne sembra minimamente turbato. Le dà anzi appuntamento per quella notte all'una davanti allo specchio, dopo che avrà però anche adempiuto a due condizioni preliminari: gettare via tutti i suoi gioielli e affidare le chiavi della mansarda alla figlia Jennifer, affinché prenda il suo posto. 
A quel punto la donna tenterà di tutto per correre ai ripari, accennando perfino per la prima volta al marito della presenza di un'entità malefica nella loro casa, ma niente servirà a modificare il corso predestinato delle cose. Catherine finirà anzi per seguire alla lettera le istruzioni del demone, scaraventando così i propri gioielli fuori della finestra e affidando la custodia dello specchio a mano e della spazzola alla figlia. Che istruirà poi anche su come truccarsi secondo le preferenze del demone. E per finire le consegna la famosa chiave. 
Da questo momento in poi, il film cambia vistosamente di ritmo, e al passo lento utilizzato dal regista per l'assemblaggio di tutti gli elementi della storia si sostituisce quello rapido e turbinoso dell'epilogo. E anche la discesa agli inferi abbandona a questo punto ogni pretesa metaforica per farsi letterale. Nell'ultima seduta di Catherine, il demone si mostra nella sua vera natura e il suo assalto sessuale su di lei è stavolta selvaggio, senza freni; finché le alte grida della donna non sovrastano il suono dello scatenarsi, all'esterno, degli elementi naturali e svegliano tutti gli altri abitanti della casa: il marito, la figlia e i due domestici. 

Tutti si mettono alla ricerca affannosa di Catherine, che appare misteriosamente scomparsa, ma solo la figlia Jennifer, in possesso della chiave, si spinge fin dentro la mansarda. Trovato vuoto il locale, la ragazzina si siede davanti allo specchio a invocare la madre, che intuisce, o sa, trovarsi nel mondo al di là dello specchio. Ma se anche l'eco della sua voce si riverbera al di là della superficie riflettente, Catherine è ormai presa da altro. Ingannata dal demone, il mondo in cui lei si trova adesso non è più il paese delle meraviglie delle sue precedenti esplorazioni, bensì un vero e proprio inferno dantesco dove lei può sì saziarsi di piaceri a volontà, ma solo al prezzo della massima depravazione e degradazione possibile. In quanto ai suoi abitanti, sono gli stessi di prima, compreso suo padre, ma hanno tutti abbandonato la loro aria rassicurante e le vesti sfarzose e luccicanti per rivelare la loro vera natura di dannati. Nel cui novero lei stessa è destinata a figurare, d'ora in avanti e per l'eternità. Intanto che Jennifer, seduta di fronte allo specchio, è assorta ad adempiere alle varie fasi dello stesso rituale che fu della madre. 

A sinistra: Nancy Dare nei “panni” del demone in versione Karen, l’amica d'infanzia desiderata da Catherine; A destra in alto: una locandina del film; A destra in basso: Jamie Gillis, una delle maggiori star maschili del porno degli anni ’70, nella versione demoniaca del padre di Catherine.
Un film senza speranza, dunque, duro e truce, e anche per questo lontano mille miglia dallo scanzonato musical a luci rosse di Bud Townsend, a cui l'ho accostato all'inizio, per la comune derivazione dalle storie di Alice di Lewis Carroll, ma anche per l'oggettivo valore artistico di entrambe le pellicole. Eppure niente mi dissuade dall'idea che Jonas Middleton avrebbe potuto, o dovuto, fare di più: Through the Looking Glass manca infatti di sferrare il colpo decisivo proprio là dove lo spettatore se lo aspetta, con il climax del film che rimane confinato alla scena dell'assalto definitivo del demone ai danni di Catherine, mentre nella parte relativa all'inferno dantesco si ha più l'aria di assistere a una specie di perverso spettacolo circense che a una vera e propria discesa nell'Abisso. 
Avrebbe inoltre aiutato una maggiore leggibilità della storia, mentre il regista sembra godersela un mondo a lasciare tutto nell'incertezza, soprattutto per quel che riguarda la relazione tra le identità del padre di Catherine e del demone dello specchio. Senza contare l'evidente asimmetria tra le due iniziazioni, di Catherine e Jennifer. Se infatti nel caso di Jennifer è la madre, come appare logico che sia, a tramandargli il set di argento, nel caso di Catherine è viceversa il padre, o il demone mimetizzato da padre, a provvedere al passaggio di consegna degli oggetti stregati. E non solo Middleton non spiega perché sia così, ma in tutto il film non vi è un solo accenno al destino della madre della protagonista. Forse le risposte a questi e altri dubbi sono tutte contenute nella novelization del film, scritta da Molly Flute (pseudonimo della scrittrice Eileen Lottman) e uscita nello stesso anno della pellicola (1976), ma non dovrebbe essere comunque obbligatorio leggere un libro per capire un film. Non soprattutto quando il film si propone di raccontare una storia con un inizio, uno svolgimento e un finale ben riconoscibili.

E ora, per concludere, una serie di note finali di carattere appena un po' più tecnico. 
• In contemporanea alla versione hard core, Jonas Middleton ha diretto altre due versioni, queste soft core, del film. 
• Il manifesto originale (riprodotto all'inizio dell'articolo) faceva precedere il nome di Laura Nicholson dalla frase "la stellina di 14 anni", poi rimossa nelle successive edizioni del poster. 
• Tra i crediti finali del film figura anche citata la ditta fornitrice gli specchi del film: la Banner Corp., di Brooklyn, N.Y. 
• Di impatto, ma sottoutilizzata, la colonna sonora firmata da Harry Manfredini (autore anche delle musiche per il ciclo horror di Venerdì 13) e Arlon Ober
• Cito infine, a titolo di curiosità, che tre delle attrici di questo film - Terry Hall, Nancy Dare (come Suzan Swanson) e Kristen Steen (come Marie Taylor), che interpretano nell'ordine la domestica, l'ex amica d'infanzia di Catherine e la Catherine adolescente - figurano anche tra le interpreti dell'altro, coevo Alice a luci rosse, il già citato Alice in Wonderland: An X-Rated Musical Fantasy di Bud Townsend.


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Permettetemi di invadere questo spazio e di ricollegarmi rapidamente al post introduttivo di questo speciale.
Il buon Ivano Landi, dopo la lettura di ciò che scrissi, lasciò in un commento le seguenti parole: "La mia esperienza con Hellraiser era troppo poco approfondita per permettermi di arrivarci da solo, ma ora vedo chiaramente che anche la storia che ho raccontato io si basa sullo stesso equivoco. Non c'è che da sostituire lo specchio al cubo e l'estratto di dialogo che hai presentato qui potrebbe benissimo stare di là."
In pochi quel giorno avrebbero potuto cogliere il significato di quella criptica frase, se non lo stesso Ivano e, per la mia posizione privilegiata di timoniere, il sottoscritto. In realtà non è nemmeno esatto dire che io riuscì a coglierla: fu infatti Ivano, con un messaggio privato, che mi illuminò d'immenso raccontandomi i retroscena di una stranissima coincidenza che si era improvvisamente materializzata.
Non mi resta quindi che invitarvi a correre sul blog dell'esimio collega più volte citato e leggere con la dovuta attenzione la sua postfazione a L'inferno di una donna!

12 commenti:

  1. Grazie infinite, TOM, per l'ospitalità e per l'ottima resa grafica dell'articolo, con tutti quei bei collage di fotogrammi del film.
    E grazie anche per le parole (e il link) dedicatemi nello spazio della Voce di ossidiana.
    Ovviamente spammo in giro, come ho del resto fatto con tutti i precedenti articoli dello speciale.

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  2. Oddio, Alice è un personaggio così iconico per me che non riuscirei proprio a vedere un film porno ispirato alla sua storia. Mi sembrerebbe quasi un sacrilegio, sebbene ho letto da qualche parte che ci sarebbero addirittura degli psicanalisti che ritengono di scorgere ossessioni sessuali di Lewis Carroll nascoste nelle avventure di Alice... Bah!

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    1. Ti dirò, Ariano, che personalmente trovo molto riuscite queste due rivisitazioni XXX di "Alice nel paese delle meraviglie" degli anni anni '70, in particolare il musical di Townsend.
      Ma un po' tutte le fiabe si prestano secondo me bene a questa operazione, proprio per il soggiacente elemento sessuale che le caratterizza. Vale per Cenerentola come per Pinocchio, sebbene in questo secondo caso il risultato cinematografico sia stato disastroso (ma non c'entra la fiaba o l'idea, c'entrano gli autori del film). Del resto queste rivisitazioni continuano a produrre anche oggi discreti risultati, per esempio con il musical softcore "Emmanuelle in Wonderland" del 2012, che rifà il verso a molte fiabe, un po' nello stile Shrek.

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  3. Spettacolare viaggio in una Wonderland davvero particolare ed intrigante: mi sa che vado a coprire lo specchio che ho in casa, non si sa mai :-D

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    1. Tu soprattutto, che potresti facilmente attirarti in casa un demone etrusco, fai bene :-D
      Grazie per aver apprezzato il viaggio in questa sexy-horror Wonderland, Lucius.

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  4. Ciao Ivano e ciao Voce di Ossidiana.
    Ivano ,intanto complimenti per la recensione molto ricca ed esaustiva.
    Diciamo che leggere di "Through the Looking Glass" mi ha risolto il dubbio su quello che intendevi te come cinema erotico e quello che intendevo io come cinema porno.
    Anche se il dubbio era sorto leggendo di fumetti nel tuo blog.
    La differenza che intendevo io sta proprio nella descrizione che fai tu della Golden age del cinema porno.
    Il porno di quegli anni rispetto a quello del nuovo secolo credo avesse in più l'importanza di raccontare comunque una trama.
    Abitudine che il cinema Hard odierno ha comunque dimenticato a favore di un frettoloso usa e getta tipico credo di questo genere.
    Curioso il tuo intento di associare Hellraiser a questo film del 1976.
    Effettivamente ci sono dei punti in comune con il film e il racconto di Barker.
    Adesso mi devo solo riservarmi di leggere quello che è stato scritto di hellraiser in questo blog.
    Massimiliano

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    1. Ciao Max,
      grazie a te per il commento, denso e articolato com'è nel tuo stile.
      In realtà anche oggi ci sono delle belle cose nel porno, solo che non è per niente facile rinvenirle nel mucchio delle schifezze. Penso in particolare alla pluri-premiata Jacky St. James degli inizi (2011-2014), cioè di prima che si perdesse per strada, con la sua scrittura di tipo letterario, centrata in gran parte sull'introspezione dei personaggi, e che nei suoi film omaggia esplicitamente, fin dai titoli, la Golden Age.
      Mentre ti assicuro che per quel che riguarda questo film e "Hellraiser", il collegamento da parte mia è stato tutt'altro che premeditato, come racconto anche nella postfazione.
      Per il resto, mi pare di capire che sei un fan di Hellraiser, quindi posso solo consigliarti di rimanere sintonizzato su queste pagine e augurarti buona lettura.
      A presto!

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  5. Bhe fan è una parola grossa.
    Credo che l’unico film horror di cui ho un rispetto quasi religioso sia La casa di Raimi.
    Il resto è tutto opinabile.
    Di Hellraiser ho i primi tre film della saga , il terzo è quello che mi è piaciuto di più.
    Forse perché si slega un po’ dal binomio sesso/dolore caratteristica predominante dei primi due.
    Dal quarto film ha cominciato a stancarmi..poi ho lasciato perdere.
    Magari mi tornerà la voglia di recuperare i successivi della saga dopo che avrò letto il vostro tributo alla saga dei cenobiti.
    Ho letto la tua postfazione..ti risponderò.
    Ciao a presto

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    1. Allora ti farà piacere sapere che in un mio post ho citato "La casa" tra i miei film preferiti degli anni '80. E ho aggiunto questa motivazione, che non so se condividerai:
      "Raimi è un genio del cinema, come dimostra questo suo film di esordio. Un vero peccato che abbia poi finito per farsi addentare da quella macchina frantuma-sogni che spesso e volentieri si dimostra essere Hollywood."

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  6. Ciao Ivano.
    Torno sul tuo post cronologicamente dopo aver letto gli articoli dei vari blogger dedicati allo speciale .
    Non ho niente da aggiungere a quello che avevo già scritto.
    Unica cosa: se nelle biografie ufficiali e non di Barker o interviste varie lui non abbia mai menzionato il film di Middleton come fonte di ispirazione...potresti fare delle ricerche tu!
    Magari scrivergli per chiederglielo tu ...personalmente!
    Ipotizzo sai....!
    La sparo...!
    Provaci...non so come ma io farei un tentativo....magari ci riuscirai chi lo sa?

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  7. Grande Ivano, gran bell'articolo! Intanto non sapevo nemmeno che esistesse una "golden age of porno". Dalle foto pubblicate e dalla trama, specialmente nelle scene più stranianti, il film mi sembra piuttosto raffinato. Peccato la solita edulcorazione italica sulla figura del padre...

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    1. La "golden age of porno" è considerata durare circa quindici anni. Ha inizio con lo svedese "Ur kärlekens språk" (Il linguaggio dell'amore, 1969) e termina a metà degli anni '80, con l'avvento dell'home video.
      "L'inferno di una donna" ne è un più che degno rappresentante, anche se non rientra fra i miei dieci titoli preferiti del genere. Anzi, forse lo amo addirittura di più come horror.
      Grazie del passaggio estivo, del commento e per avere apprezzato, Cristina!

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