“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello
speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato
ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di
piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in
uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o
rimandata, a vostro piacimento.
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Più o meno a tutti è capitato, nel periodo scolastico, di avere un compagno di classe un pelino sovrappeso.
A quell’età per molti è quasi inevitabile, fisiologico, e non gliene si può dare nemmeno la colpa.
Dal
punto di vista medico, per spiegare lo sviluppo del sovrappeso o obesità infantile, è necessario infatti
tenere in considerazione l’interazione di fattori genetici, biologici, psicologici, comportamentali,
interpersonali e ambientali. È tuttavia innegabile che tra le prime cause vi è l’elevato consumo di bevande
zuccherate e di cibo a basso contenuto di nutrienti e ricco di grassi saturi, ma la disponibilità di cibo
appetitoso, economico e ingegnosamente pubblicizzato è sempre stato uguale per tutti.
Comprensibilmente, i genitori che lavorano possono avere una maggiore dipendenza da opzioni comode,
come per esempio il fast food, rispetto alla spesa e alla preparazione di pasti freschi e sani per i loro figli.
Potrebbero non avere l’energia o i mezzi economici per sostenere l’attività fisica dei loro figli. Potrebbero
infine non avere abbastanza tempo per imporsi ed educare i figli a non trascorrere troppo tempo davanti a
uno schermo.
Tutto ciò, come è stato dimostrato, è assolutamente deleterio in quanto, oltre a favorire la
sedentarietà, può anche influire negativamente sui ritmi del sonno, il che può condurre all’obesità perché
provoca un cambiamento dei livelli degli ormoni che regolano l’appetito. Ma non è solo questo: dalla
letteratura scientifica è emerso che esiste una relazione tra obesità e livelli elevati di stress materno in
gravidanza o di stress materno post-natale durante il primo anno.
I ragazzini in età scolare però non prestano attenzione alle cause, bensì agli effetti, che in questo caso si
traducono nell’avere a fianco un compagno di classe con il quale è facile confrontarsi e uscirne vincitori.
Ai tempi del mio biennio delle superiori avevo in classe questo ragazzino che si chiamava Francesco che,
per tutti, neanche a farlo apposta, era “Ciccio”. E quando dico “per tutti” significa che non era solo una
questione di episodi di bullismo da parte di alcuni, che ovviamente c’erano, quanto di un comportamento
scorretto generalizzato. D’altra parte, a quell’età quando ci si trova, per usare un termine calcistico,
lontani sia dalla zona scudetto che da quella retrocessione, è molto più facile voltare lo sguardo altrove.
Personalmente mi trovavo più o meno nel mezzo, ma defilato osservavo e immaginavo che il ragazzo
meno popolare della classe potesse prendersi un giorno la sua rivincita.
Ritrovo quella mia fantasticheria in un film spagnolo uscito nelle nostre sale un paio di anni fa, ma da me
notato su non ricordo quale piattaforma di streaming abbastanza di recente. Si tratta di “Piggy”
(“Cerdita”, 2022) della regista madrilena Carlota Pereda, che qui sviluppa un soggetto già proposto
nell’omonimo cortometraggio che le valse il Premio Goya 2019.
È la storia di Sara, una giovane ragazza in sovrappeso che viene pesantemente presa di mira da un trio di
cattive ragazze: Piggy, naturalmente, è il suo soprannome. L’ambientazione non è quella scolastica, ma fa
niente: siamo comunque in una piccola comunità dove tutti sanno tutto di tutti, il che equivale a fare della
persona sovrappeso lo zimbello del paese, specie se alle spalle c’è, come in questo caso, anche una madre
iperprotettiva che non fa che amplificarne le debolezze. Uno sguardo alla famiglia di Sara ci fa capire che
la sua obesità non è affatto un incidente di percorso, ma piuttosto l’inevitabile conseguenza della sua
genetica unita a abitudini di vita scorrette; i genitori peraltro non sembrano accorgersi affatto di ciò che
accade attorno a Sara e della sofferenza della figlia.
Dopo l’ennesimo episodio di bullismo, che vede Sara
derisa mentre fa il bagno in piscina e quindi derubata dei suoi abiti, giunge il momento che cambierà il
corso della sua vita. Mentre cerca di rientrare a casa inosservata, vestita solo di un imbarazzante bikini,
Sara assiste al rapimento da parte di un maniaco delle sue aguzzine. Sara è testimone di tutto: vede il
sangue, vede il furgone, vede la targa, vede e riconosce l’uomo che le ha rapite. E l’uomo, che a sua volta
vede Sara, anziché trascinarla a bordo, in un inaspettato gesto di altruismo offre a quest’ultima un
asciugamano con il quale coprirsi. Un gesto che equivale a un tacito patto di non tradimento, che Sara
accoglie.
Da quel momento in avanti Sara è complice. Una complicità che non tradisce nemmeno quando
una serie di crimini sconvolge il villaggio e nemmeno quando la guardia civile inizia a interrogare tutti, lei
compresa. Appare chiaro a tutti che la ragazza sa più di quanto dice. Il rapitore ne è conscio e la prende in
simpatia, inizia a seguirla e alla fine, quando i due si incontrano, per qualche motivo Sara sembra
invaghirsi di lui.
Non racconterò altro perché non ne vedo la necessità, ma è innegabile che
Carlota Pereda ha qui avuto
una grande intuizione. Quel compagno di classe, che tutti noi abbiamo avuto seduto a pochi passi da noi,
mai avrebbe potuto affidarsi alle proprie sole forze per trovare un riscatto immediato. Ho anche assistito a
qualche timido tentativo di ribellione, quando andavo a scuola, ma le conseguenze di quei tentativi,
inevitabilmente patetici, erano ancora più tremende. Nulla poteva, d’altro canto, l’intervento di genitori
(quasi sempre inconsapevoli) o insegnanti (quasi sempre indifferenti, per non dire complici). Ecco, quindi,
che l’idea di trovare un alleato in un feroce serial killer potrebbe essere, se non altro (e
cinematograficamente parlando), l’unica soluzione.
Il film lascia quindi intuire uno sviluppo molto interessante, decisamente originale, ed è subito difficile
non fare il tifo per la protagonista maltrattata che si vendica dei suoi bulli con l'aiuto del cattivo. Peccato
che qualcosa a un certo punto si inceppi; e “Piggy” sembra puntare diritto, e in maniera frettolosa, verso
un finale che lascia perplessi. Perché Sara piace al maniaco? Perché a Sara piace il maniaco? Perché poi
all’improvviso non le piace più? La psicologia dell’uomo non è mai chiarita, e se è facile pensare che
possa aver rivisto in Sara una versione più giovane di se stesso o di qualcuno che amava, non abbiamo
nessun elemento a indicarci se siamo o meno vicini alla verità.
Quanto a Sara, il suo desiderio di vendetta
le ha fatto dimenticare ogni principio, oppure la paura di essere a sua volta rapita e uccisa la rende vittima
di una sorta di sindrome di Stoccolma anticipata? E ancora, ha semplicemente subito il fascino del male?
Non lo sappiamo. Posso solo dire che c’è qualcosa che sembra mancare nello sviluppo dei due
personaggi, mentre il film, ormai del tutto deragliato, contraddice se stesso in un epilogo buonista che,
viste le premesse, non ha alcun senso.