Chiunque sia appassionato di romanzi gialli conosce perfettamente, e certamente apprezza, i
cosiddetti “delitti della camera chiusa”, ovvero quel particolare sottogenere in cui l'indagine ruota
attorno a un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili, generalmente una camera
chiusa dall'interno. Il vero fulcro di questo sottogenere non è quello classico del poliziesco, cioè
scoprire il responsabile, bensì scoprire come il crimine sia stato commesso, visto che la prima
impressione degli investigatori e dei lettori è che il criminale, dopo aver compiuto il delitto, sia
letteralmente svanito nel nulla.
Uno dei primi esempi è probabilmente il racconto di Edgar Allan
Poe “I delitti della Rue Morgue”, ma sono certo molto più noti agli appassionati veri capisaldi del
genere come “Il mistero della camera gialla” di Gaston Leroux e “Le tre bare” di John Dickson Carr.
Quasi tutti i romanzieri più famosi, prima o poi, si sono cimentati con questa particolare tecnica, da
S.S. Van Dine a Edgar Wallace a Ellery Queen, senza naturalmente
dimenticare la regina del giallo, Agatha Christie, che con “Dieci piccoli indiani” e “Assassinio
sull'Orient Express” ha ampliato l’area di indagine, trasferendola dalle quattro mura in cui era
relegata alla vastità di un’isola o di un treno, rispettivamente, mantenendo però rigorosamente
inalterato lo schema generale dell’ambiente delimitato e impenetrabile.